Comitato Triveneto per il SLD, “Procreazione: lotta di classe” – Seconda Parte

Prima Parte

 

Trento, 15 Febbraio ‘74: 273 donne incriminate per aborto
Il 15 Febbraio a Trento muovere una donna, si sospetta a causa di pratiche abortive praticate da un medico di Trento. La polizia fa irruzione, prende dallo schedario del medico 273 cartelle relative a donne che sospetta tutte di aver abortito. Il medico fugge all’estero ove si trova tuttora, tutte le donne vengono raggiunte e incriminate per aborto. Lo Stato decide, pensiamo dopo l’esperienza di Padova, visto che le donne non si “pentono”, la linea delle lezioni esemplari e si propone di processare tutte le 273 donne.
Inizia con questo fatto di Trento la fase “grottesca” della persecuzione. Lo Stato in fondo era riuscito fino ad allora a mantenere il terrorismo, a mandare pure in galera delle donne, ad appoggiare imprese di miliardi costruite sugli aborti clandestini, cosa che tutti sapevano, senza poi apparire così “violento” e così “rigido” sulla questione”. Anzi si poteva pensare che fosse “tollerante” se non avesse puzzato che proprio attraverso quel tipo di tolleranza, manifestata nell’indiscusso mantenimento di una legge assurda, si garantiva da un alto, determinati livelli di intimidazione delle donne (e va sempre bene terrorizzare gli sfruttati), dall’altro, l’interessato consenso di una casta medica che sull’aborto clandestino si è sempre largamente rimpinguata. Se si fosse in vena di scherzare verrebbe da chiedersi se uno Stato travolto, specie in questi ultimi anni, da ogni tipo di scandali, non ultime le “stragi di stato”, tenti ora di ricostruirsi una “verginità” sulla questione dell’aborto.
C’è anche chi pensa a determinati equilibri da spostare più a sinistra invece che più a destra e allora per questo occorrerebbe creare l’occasione, il dibattito, ricostruire determinati schieramenti. Tutto questo alle donne non interessa. Quello che conta è che il gioco a qualunque cosa tenda, lo si vuol giocare sulla loro pelle, o meglio, sul loro utero e sulle loro braccia, di cui tutti indistintamente, democratici e non, profittano. Il Movimento Femminista allarga l’organizzazione in vista della battaglia politica che sarà il futuro processo. Si cercano gli avvocati, si pubblicano dei recapiti di comitati di difesa in modo che tutte le donne denunciate, anche se disperse in paesi, possano mettersi in contatto e ricevere le prime indicazioni su come comportarsi fino a quel momento del processo. Il Movimento Femminista discute anche cosa sia meglio per le imputate stesse, considerata la loro situazione di vita, di ambiente e di lavoro: se preparare una grossa battaglia in occasione del processo e raccogliere le autodenunce di molte altre donne o se fare una grossa battaglia politica pretendendo che il processo non sia fatto. E questo per negare da subito l’aborto come reato e tutelare allo stesso tempo le precarie condizioni di lavoro e quindi la ricattabilità cui sono esposte quasi tutte le donne incriminate. Parlando con alcune di loro prevale questa decisione, fermo restando che tutto viene predisposto nel caso che il processo si faccia in ogni caso. Anche nel processo di Padova l’atteggiamento del Movimento Femminista era stato lo stesso: non creare capri espiatori per costruire battaglie politiche; le donne sono già abbastanza capri espiatori di tutte le battaglie politiche; non è il caso che anche noi ci mettiamo da questo punto di vista. Gigliola Pierobon era stata d’accordo con tutto il Movimento che si costruisse la battaglia politica sul processo. Ma non l’avremmo costruita sollecitando un processo che le donne imputate volevano evitare. L’altro punto fermo per il Movimento era di impedire a ogni costo che le donne imputate venissero processare separatamente. È comunque dalle prime avvisaglie della possibilità del processo di Trento che le varie forze politiche cominciano a considerare una possibilità di crescita sulla questione dell’aborto. Se gli extraparlamentari concedono di essere per l’aborto libero e gratuito, i parlamentari tacciono ancora, salvo il vecchio progetto Fortuna sempre sul punto di essere ripescato.1
Fra gli extraparlamentari poi c’è chi amerebbe ancora distinguere la donna borghese dalla proletaria, chi nel distinguo si preoccupare pure di esprimere il suo disprezzo per quelle che hanno i soldi e che vanno a Londra ad abortire, chi insomma la questione dell’aborto la vede solo per le donne proletarie o addirittura per quelle che sono in fabbrica e le altre potrebbero accampare diritti se si decidessero ad andare in fabbrica pure loro. Alcune forze parlamentari sollecitano comitati e comitatoni per l’aborto che essenzialmente rivolti a far convergere su assurde piattaforme lo sforzo del Movimento Femminista non attecchiscono proprio per la diffidenza che suscita nelle donne questo improvviso organizzarsi maschile sulla questione.
NESSUNO VUOLE VEDERE NELL’ABORTO IL MEZZO ESTREMO DI RIFIUTO DI UNA MATERNITÀ CHE È INNANZITUTTO UN’INTENSIFICAZIONE DELLO SFRUTTAMENTO DELLE DONNE: OGNI FIGLIO VUOL DIRE UN MONTE DI LAVORO IN PIÙ NON PAGATO, UN GIRO DI VITE IN PIÙ ALL’ISOLAMENTO SOCIALE CHE L’ALLEVARE FIGLI COMPORTA, UN RICATTO MAGGIORE NELLA DIPENDENZA DELLA DONNA E DEI SUOI FIGLI DA UN SALARIO MASCHILE.
L’alleanza degli extraparlamentari sull’aborto diviene un pietoso pianto comune sulla donna proletaria che più di tutte paga il costo dell’aborto e altrettanto un ghigno complice sulla donna che proletaria o non proletaria deve continuare ad accollarsi gratuitamente il costo dell’allevare figli. Si vede l’aborto e non quello che l’aborto è diretto a rifiutare. La stessa richiesta che sia “gratuito” in bocca ad Avanguardia Operaia, Pdup per il Comunismo, o Lotta Continua e gli altri non si capisce che senso abbia se non di uno dei tanti “servizi” che devono essere gratuiti.
MA L’ABORTO NON È UN “SERVIZIO”, RESTARE INCINTE CONTRO LA PROPRIA VOLONTÀ È L’INCIDENTE SUL LAVORO DI CHI È DESTINATA NELLE CONDIZIONI CAPITALISTICHE ALLA PROCREAZIONE, ALLA RIPRODUZIONE DELLA FORZA LAVORO. E L’ABORTO È L’ESTREMO RIMEDIO, È UN’ULTERIORE VIOLENZA CHE LA DONNA DEVE FARSI PER RIPARARE A TALE INCIDENTE. LA DONNA CHE ABORTISCE ALLORA DEVE NON SOLO POTERLO FARE IN MODO GRATUITO MA RICEVERE UN’INDENNITÀ PER INFORTUNIO SUL LAVORO.
Ma questo è solo il Movimento Femminista a dirlo come è solo il Movimento Femminista che comincia a scrivere su muri.
FARE L’AMORE È LAVORO DOMESTICO! SALARIO AL LAVORO DOMESTICO!
Su questo piano non ci sono alleati. Tutti squagliano come neve al sole.

Firenze, Padova, Trento: cresce e si allarga l’autonomia femminista
A Firenze il 9 Gennaio ‘75 i carabinieri fanno irruzione in un ambulatorio medico arrestando 6 persone (che lavoravano all’interno) trascinando in questura 40 donne, obbligando alcune di loro ad aberranti controlli medici (attraverso una pratica del tutto illegale). Tutti sono sospettati di subire, pratica, e favorire pratiche abortive.
È la seconda grossa e ancora grottesca azione esemplare dopo quella di Trento. Nel frattempo si è celebrato a Milano un processo per aborto contro una donna costretta a presentarsi in aula con una pesante ingessatura a causa di una malformazione alla spina dorsale. Non avrebbe potuto in ogni caso continuare la gravidanza. In quei giorni le femministe a Milano sono andate a scrivere a caratteri cubitali sui due lati del Duomo: “Paolo VI boia!”
Questa volta il Movimento Femminista si trova tra i piedi anche il Partito Radicale: da un lato gli extraparlamentari che sembra siano capaci di sollevare la testa dal pietoso pianto per gridare del tutto estemporaneamente quanto impropriamente “Viva Lenin, Viva Stalin, Viva Mao Tze-Tung”, dall’altro i radicali e le radicali che si sentirebbero i “protagonisti” della questione perché avrebbero organizzato loro quell’ambulatorio di Firenze e anche il CISA di Milano. Anzi tra i protagonisti ci dovremmo mettere pure il medico di Firenze perché faceva dei prezzi “modici”, solo 100-150.0002 al colpo! La commozione è tanta che in un delirio di avvicinamento alle femministe, a dei compagni in vena di sacrificio estremo viene in mente pure di mettersi a fare i medici democratico-femministi a 50000 lire al colpo anziché 100000. Lo comunicano quasi con le lacrime agli occhi. Ovviamente gli stessi sono anche quelli contrari al salario per il lavoro domestico. È a questo punto che portare avanti la battaglia si fa sempre più dura perché si è braccate non solo dallo Stato, dai padroni, dalla Chiesa ma da tutti questi cavadenti ai morti che vogliono parlare e marciare e pigiare nelle manifestazioni femministe per l’aborto nella prospettiva di crescerci politicamente da sciacalli allo stesso modo in cui concepiscono di cavare alle stesse donne con cui marciano 50000 lire per via privata o molto di più creando “uno, due, tre, sempre più centri CISA in Italia!”. C’è chi non consuma nemmeno le scarpe a marciare, che tanto lo fanno abbastanza questi radicali e questi extraparlamentari, e progetta direttamente i nuovi progetti di legge con tanto di commissioni, autorizzazioni, casi (sempre estremi) in cui ti concedono di fare quello che hai sempre fatto. A Firenze ormai era una questione determinante rimettere a posto tutta questa gente, tappargli la bocca a ogni costo perché loro insensatezze non giungessero agli orecchi di tutte le donne con cui costruivano la mobilitazione. A Firenze, il 12 Gennaio, alla prima manifestazione organizzata dal Movimento Femminista subito dopo l’irruzione dei carabinieri, si determinarono una volta per tutte i criteri di “unità” con cui altre forze avrebbero potuto unirsi a noi in questa battaglia dell’aborto, e non certo noi a loro come piuttosto beceramente avevano assunto e cercato di fare coi loro fantomatici comitati. Ne avevamo avuto abbastanza di maschi e commissioni femminili che correvano avanti e indietro per le manifestazioni gridando “l’aborto non è reato, è diritto del proletariato!” oppure “Tutte abbiamo abortito, dentro Fanfani e tutto il suo partito!” oppure “Ragazze, sosteniamo il CISA, aiutiamo il Partito Radicale, questo coraggioso partito nella sua battaglia che è la battaglia di noi tutte!”.
Fu proprio l’approfondimento del dibattito che avvenne a Firenze nei giorni immediatamente precedenti la manifestazione tra le varie sezioni del Movimento Femminista che permise di chiarire fino in fondo non solo l’impresa di sfruttamento dell’aborto clandestino ma l’impresa di sfruttamento del lavoro domestico che proprio il ricorso all’aborto da parte delle donne tendeva in qualche modo ad arginare. E con ciò si chiarì quanta distanza si dovesse predente da chi non aveva capito o non voleva capire che l’interesse del Movimento Femminista in questa battaglia era di mettere sul piatto tutta la condizione di sfruttamento della donna di cui le condizioni in cui si è costrette ad abortire sono solo l’indice del livello di mostruosità. Nella notte precedente alla manifestazione fu comunicato per telefono a tutti i giornali da parte del Movimento il seguente comunicato, che tutti si guardarono bene dal pubblicare.

Comunicato del Movimento Femminista

Manifestazione per l’aborto a Firenze, 12 Gennaio 1975. La foto è estratta da questo pdf

Il Movimento Femminista accusa lo Stato, i padroni e i loro servi di volere, attraverso Azioni Esemplari, come gli arresti e le denunce per aborto a Firenze, l’incriminazione per aborto di 273 donne a Trento, il recente processo per aborto a Milano, organizzare una Strategia di Terrorismo contro le donne. Tale strategia è il tentativo di piegare la lotta di massa delle donne, che in tutto il mondo non solo rivendicano il diritto di decidere se, come e quando diventare madri, ma di contrattare le condizioni del lavoro che la maternità comporta. Il rifiuto della maternità, attuato a ogni costo anche con l’aborto, è la risposta di noi donne al Comando degli Stati e dei Padroni di subire:
1. IL LAVORO DOMESTICO SENZA RETRIBUZIONE, CHE L’ALLEVAMENTO DEI FIGLI COMPORTA.
2. L’ISOLAMENTO SOCIALE
3. IL CONDIZIONAMENTO DELLA NOSTRA SESSUALITÀ
4. LA DISCRIMINAZIONE SUI LUOGHI DI LAVORO SALARIATI A CUI SI È CONDANNATE.
La manifestazione di Domenica 12 Gennaio ore 15 Piazza S. Croce è indetta, organizzata e gestita esclusivamente dal Movimento Femminista.

Movimento Femminista

Firenze 12 Gennaio 1975

Furono stabiliti i criteri di partecipazione alle manifestazioni femministe (a partire da quella del 12 Gennaio) da parte di forze politiche diverse dal Movimento stesso. Riportiamo testualmente su tali criteri, un comunicato urgente diffuso in diverse città durante le manifestazioni.

Comunicato urgente da distribuire a tutte le donne e per conoscenza agli uomini.

Manifestazione per l’aborto a Padova, 11 Febbraio 1975. Le donne in corteo reggono lo striscione del “Comitato per il Salario al lavoro domestico di Padova”. Giovanna Franca Dalla Costa regge un foglio e parla al megafono.

I giornali di Firenze, che dopo l’irruzione dei carabinieri nell’ambulatorio del dottor Conciani, hanno preceduto la manifestazione del 12-1-75 sono stati impiegati da tutti i gruppi del Movimento Femminista per discutere fino in fondo i criteri secondo cui organizzare le manifestazioni femministe a partire da quella di Firenze del 12 Gennaio. La discussione verteva necessariamente sul come concretizzare anche in tali momenti il criterio fondamentale su cui è nato e si è sviluppato il Movimento Femminista e cioè l’autonomia rispetto a tutte le organizzazioni maschili. Anche su una questione come quella dell’aborto su cui i maschi non avevano mai speso una parola né pianto una lacrima, prima che il Movimento Femminista dichiarasse lotta aperta già a partire dal processo di Padova del 5 Giugno ‘73, si rischiava che l’attrezzatura, i soldi e il mestiere di cui disponevano le organizzazioni maschili, sopraffacessero i nostri livelli organizzativi e stravolgessero la nostra lotta. Non è in questione chi ha organizzato questo o quell’ambulatorio. Ma chi ha sempre pagato – e sono solo ed esclusivamente le donne – e chi da questo ha sempre tratto profitto. Precisiamo anche che: 100 o 150000 lire per un aborto è un prezzo schifoso; chi lo chiede non è decisamente dalla nostra parte; e chi lesina sull’anestesia, e si fa pregare per concederla o addirittura chiede un prezzo maggiorato, è un porco sadico profittatore bastardo.

I criteri stabili dal Movimento Femminista in quelle riunioni sono:

1. gli uomini non hanno diritto di parola e non possono portare i loro striscioni, cartelli né scandire slogan che non siano stati indicati dalle donne stesse del movimento. Essi devono stare in coda alla manifestazione.

2. solo le donne hanno diritto di parola e solo i gruppi femministi possono portare i loro striscioni, cartelli, manifesti, scandire i loro slogan etc; Anzi è sollecitato che ogni gruppo femminista porti in manifestazione i propri volantini per evidenziare tutta la condizione di sfruttamento e di oppressione della donna secondo la prospettiva politica in cui ciascun gruppo la vede. E l’illegalità dell’aborto non è una svista dei nostri legislatori, i “costi” – di soldi, di sangue, di morte e di paura – che paghiamo per l’aborto non sono “in contraddizione” con la condizione di vita complessiva che viviamo. È prezioso perciò il contributo di precisazione su tutto ciò che ogni gruppo femminista può dare mentre costruisce la lotta con tutto il Movimento.

3. le donne delle commissioni femminili dei partiti e dei gruppi maschili possono partecipare alla manifestazione non come rappresentati della propria commissione, ma a titolo personale. Quindi non sono ammessi gli striscioni, i manifesti e i cartelli di alcuna commissione femminile in quanto tale.

Chi svende facilmente tali criteri, pretendendo di imporre, come è successo a Padova in questi giorni, a un gruppo femminista di non venire in manifestazione col proprio striscione, si assume la responsabilità di tradire tali criteri faticosamente conquistati e con ciò di tentare – come i maschi fanno – di indebolire il Movimento. Non a caso è esattamente questo che hanno fatto in piazza Ferretto, a Mestre, pochi giorni fa le organizzazioni maschili.

I criteri sopra menzionati sono stati stabiliti proprio per mettere ciascuno al suo posto. Noi non permetteremo a nessun partito o gruppo maschile di pascolare su questa questione dell’aborto, trovando un facile terreno di crescita da gestire tutto contro gli interessi complessivi di noi donne. L’unità di azione e di mobilitazione a cui i radicali e tutte le altre forze democratiche ci invitano, è una totale mistificazione nei confronti di noi donne se saremo noi a unirci sui contenuti e livelli organizzativi determinati da loro.

È finito il tempo in cui i bianchi invitavano i Neri a unirsi a loro determinando essi, i bianchi, gli obiettivi e la forma della lotta. Se una unità nella lotta si può costruire, la sola garanzia che abbiamo che non si ritorca tutta contro di noi, è di determinare noi in che modo queste cosiddette forze democratiche devono unirsi a noi. La strategia maschile, sia essa riformista o “rivoluzionaria” è pronta ad assumere questo obiettivo nella sua strategia “di classe”. Ma è “di classe” solo a parole, poiché dimentica con molta disinvoltura la totalità dello sfruttamento delle donne e dei loro bisogni. I criteri che abbiamo stabilito con tutto il movimento a Firenze ci servono proprio perché ci garantiscono di non essere travolte in piazza, durante la lotta, da formule organizzative e modi di comunicazione che non ci sono propri, e di annegare nel mare della logorrea maschile!

Questa volta non è sufficiente il mestiere!

Vogliamo rivendicare le nostre lotte e affermare la totalità dei nostri bisogni senza essere ulteriormente occupate a gridare più forte di chi ha la voce più grossa.

Comitato per il SLD di Padova

Padova, 10 Febbraio 1975

Continua nella Terza Parte

 

Note del Blog

1Proposto dall’allora deputato del PSI Loris Fortuna e altri trentacinque firmatari (sempre del PSI) l’11 Febbraio 1973, fu il primo progetto di legge di parziale depenalizzazione dell’aborto. Rimandiamo sia al progetto di legge presentato (Link) che ad un articolo di Laura Remiddi, “Cosa significa per noi il progetto Legge Fortuna”, pubblicato su Effe Rivista Femminsta, Ottobre 1974. (Link)

2In quel periodo storico il salario medio era di 200-215000 lire (1975), pari oggi giorno a 1060-1140 euro. La cifra che richiedeva quel medico fiorentino nel 1975, rapportata ai giorni nostri, sarebbe di 530-795 euro. Quindi un aborto “clandestino” in Italia costava più della metà (se non addirittura tre quarti) di uno stipendio mensile di base. Una vera e propria manna per questi medici e i loro fantasiosi prezzi contenuti. Qui lo strumento utilizzato per misurare il potere d’acquisto dell’epoca in lire-euro.