Argentina: “Il cosiddetto neoliberismo e i suoi falsi critici” – Terza Parte

Seconda Parte

Come vedi la relazione tra Milei e Jair Bolsonaro e Donald Trump?

Se c’è qualcosa che accomuna questi tre spregevoli personaggi è un populismo che non si basa sui tradizionali pilastri della sinistra. A differenza di Trump, Milei non è un protezionista: al contrario, propone di “rendere l’Argentina di nuovo grande”, aprendo il Paese alle importazioni, liberalizzando il mercato e il tasso di cambio.

L’ultraliberismo di Milei è eccezionale rispetto alle nuove destre di tutto il mondo. Se c’è una cosa che li accomuna, è il loro anti-progressismo reazionario. Nel caso argentino, vi è una combinazione tra le premesse economicamente liberali e le critiche reazionarie verso le discussioni attuali, come le questioni dell’accesso all’aborto o dell’educazione sessuale. Per quanto riguarda il curioso amalgama locale tra liberale / reazionario, è difficile trovare una coerenza che vada oltre l’opportunismo elettorale – ma che si alimenta nel contrastare certe politiche attuate dopo gli sconvolgimenti sociali del 2001. Dopo un breve periodo di stabilizzazione e crescita, queste politiche si sono rivelate inutili – o peggio – di fronte ai crescenti problemi sociali. Tutto ciò che appare in qualche modo oppositivo viene utilizzato come rinforzo quantitativo: il liberalismo economico, il costituzionalismo, le teorie del complotto, l’anticomunismo, l’anticorruzione, l’anti-picchettaggio, l’antifemminismo.

Ma al di là dell’ideologia che Milei professa, è importante riflettere sul perché quest’ultimo sia apparso in questo momento e perché sia diventato così popolare. Cosa rappresenta socialmente la sua irruzione? Coloro che votano per Milei non sembrano preoccuparsi di ciò che è accaduto cinquant’anni fa, né sembrano essere veri seguaci degli economisti della scuola austriaca. Quello che questi comunicano per strada o al lavoro è che sono stanchi di tutto. Un’altra questione che questi settori di destra strumentalizzano molto bene è la richiesta di “sicurezza” in un contesto latinoamericano, dove rapine e omicidi sono abbastanza comuni. Ciò non significa necessariamente richiedere il pugno di ferro; ma serve, [semplicemente,] per esprime il malessere di una “guerra dei poveri contro i poveri”. Questo desiderio può essere tradotto in una richiesta di pugno di ferro ma può anche essere interpretato come un istinto di autoconservazione di fronte ad una situazione grave e in assenza di altre proposte. Se guardiamo i modi in cui queste persone politiche si intersecano, lo facciamo tenendo conto di quello che sono: nient’altro che nuove aspiranti figure pronte a gestire e ad amministrare lo Stato, ognuno con le sue particolarità.1

È importante sottolinearlo quando si forma un fronte “contro la destra”, “contro il fascismo”. Per coloro che sono in campagna elettorale permanente, questa “minaccia fascista” è solo un altro argomento di conversazione. Questo ci sembra importante per non andare dietro a quei movimenti che aspirano solo a governare e ad amministrare il Capitale.

Può sembrare strano a tutti i politici terrapiattisti leggere i concetti che sono arrivati a negare: la società di classe, lo sfruttamento, le condizioni materiali dell’esistenza, la rivoluzione. In questo senso, alcuni indignati che indicano [determinate politiche] come “destra economicamente liberale”, troveranno dei punti in comune con [quest’ultima] nonostante il loro rifiuto su certe istanze. Ecco perché si parla di “falsi critici” del liberalismo economico.

Una fotografia di antifascisti all’esterno del circolo sociale e sportivo “La Cultura del Barrio” scattata intorno al 2018.

Quali sono le probabili conseguenze negative della vittoria elettorale di Milei? Cosa cambia esattamente?

Di fronte alla situazione sociale di risanamento permanente che noi stiamo vivendo (inflazione, svalutazione eccessive, prezzi degli affitti incontrollabili, salari reali in picchiata, alta disoccupazione, lavori sempre più precari e povertà crescente), le nuove politiche economiche vengono presentate come responsabili e allo stesso tempo potenzialmente salvifiche. [Il partito politico di Milei] “La Libertad Avanza” ha puntato in alto, parlando di un vero e proprio risanamento e di una brusca riduzione della spesa pubblica. Ciò che sta cambiando, quindi, è il modo in cui la borghesia realizzerà il risanamento economico, che stava già realizzando in ogni caso – indipendentemente dal governo in carica.

“Non ci sono soldi” è l’avvertimento e la minaccia del discorso di Milei prima del suo insediamento. La nostra preoccupazione principale è a livello economico poiché Milei entra in carica in un contesto critico e con un discorso a favore del risanamento – il quale sembra avere sufficiente legittimità. Allo stesso tempo, nessun risanamento può essere fatto senza repressione e tutte le forze politiche che compongono il nuovo governo sono feroci sostenitori del pugno di ferro e del rispetto della legge. Le forme di repressione, associate all’istituzionalizzazione della lotta, possono funzionare in una certa misura; sembra farsi strada un utilizzo monopolistico della violenza da parte dello Stato: manganello, proiettile e prigione.

Per quanto riguarda la “guerra culturale”, si assiste ad una crescita o ad un rafforzamento dei settori reazionari e conservatori; alcune politiche progressiste sulle questioni di genere, sui diritti umani, sull’ambiente o sulle popolazioni indigene, ad esempio, saranno ridotte. Nonostante i discorsi bellicosi dei settori della neo-destra, notiamo, in primo luogo, che essi sono molto più moderati quando salgono al potere, specialmente quando trattano tematiche politiche specifiche. Ci ha colpito, ad esempio, l’alto numero di deportazioni annuali durante l’amministrazione Obama rispetto a quella Trump. In secondo luogo, queste battute d’arresto ci invitano a ripensare sull’approccio legalistico e sul contenuto delle politiche progressiste riguardo questi temi. Non solo non risolvono ciò che si prefiggono di affrontare, ma limitano le rotture iniziali che queste lotte hanno proposto. Il “Cittadinismo” è penetrato in profondità nei movimenti sociali; invece di abbracciare lo statalismo, [adesso lo dobbiamo] mettere in discussione.

Molti temono che il nuovo governo possa favorire e dare libero sfogo ai gruppi neonazisti e a quelli evangelici e cattolici che hanno partecipato alle manifestazioni contro la legalizzazione dell’aborto. In Argentina non prevediamo che questo rappresenti un rischio considerevole per i settori in lotta, tanto meno prefiguriamo un potenziale scontro civile. Ci aspettiamo, invece, un aumento della repressione delle proteste da parte dello Stato.

 

Lu manifestanti affrontano la polizia durante una marcia in memoria di Santiago Maldonado (2017)

 

Quali forze sono disposte ad opporsi a Milei? Quali sono le prospettive della resistenza anti-capitalista?

La principale opposizione politica è rappresentata dal governo uscente e dai suoi elettori; quindi la sfida per le persone anti-capitaliste sarà quella di opporsi al nuovo governo senza reclutare elettori per l’altra fazione dello Stato – e quindi senza alimentare le false speranze della rappresentanza politica democratica o di quelle misure economiche che possano produrre un capitalismo “più umano”. Le modalità di mobilitazione dei diversi settori della società dipenderanno dalle misure concrete attuate dalle organizzazioni che le guideranno – ovvero le persone disoccupate da un lato, i sindacati statali dall’altro, così come le altre parti del settore privato. Il primo ostacolo in questo senso è la divisione e la leadership delle principali organizzazioni di tutti i settori. Possiamo scommettere che vi saranno mobilitazioni massicce contro il risanamento inflazionistico in corso e gli aumenti dei costi dell’energia e delle tariffe dei servizi – “causati” dalla rimozione dei sussidi. La protesta di massa potrebbe essere innescata da diversi fattori: dalle questioni ambientali alla repressione, dall’oppressione di genere al risanamento economico. La questione è quale sarà la prospettiva di queste lotte – se uno scontro sui risanamenti della borghesia, dello Stato e delle sue misure, si ridurrà [o meno] ad un conflitto contro un governo specifico. Abbiamo già avuto esperienza di come i progressisti reindirizzino le lotte. E sappiamo come finisce. L’esempio di Boric in Cile è istruttivo. Questo presidente, che ha riunito tutti i gruppi oppositori alla destra (compresi molti anarchici), sta ora imponendo misure brutali in campo economico, politico e giuridico – aumentando la potenza di fuoco dei carabineros [polizia], reprimendo le lotte studentesche, attaccando le comunità mapuche, approvando il veto alla “Legge sull’Usurpazione”.2 E quando tutto questo accade, c’è un settore del movimento sociale che rimane in silenzio e si rende complice perché “potrebbe andare peggio” e / o “la destra potrebbe governare”. Noi crediamo che non abbia importanza come gli oppressori e gli sfruttatori si definiscano politicamente: ciò che conta è il loro ruolo sociale ricoperto e quello che fanno. Un fascismo che riduce lo Stato sarebbe storicamente una novità; vedremo [che accadrà]. Per il momento Milei non è un fascista: è un liberale e democratico come tutti quelli che governano i Paesi di questo continente. Un regime di eccezione, che chiameremmo fascista, mira a ripristinare l’ordine statale e a reprimere l’emergenza rivoluzionaria; e questo non sembra il caso dell’Argentina.

 

Lu manifestanti si scontrano con la polizia durante una marcia in memoria di Santiago Maldonado (2017)

Quali strategie sono possibili in questo contesto? Come possono le persone provenienti da altre parti sostenere le forze di resistenza anti-capitaliste e antiautoritarie nel territorio dominato dallo Stato argentino?

Partendo dalle lotte esistenti e dalle trasformazioni delle dinamiche capitalistiche mondiali degli ultimi decenni, prestiamo attenzione alle loro manifestazioni locali e alle possibilità che esse comportano. In primo luogo il numero delle persone lavoratrici in condizioni di assoluta precarietà e gli alti livelli di disoccupazione e povertà. Questa è evidentemente una grande difficoltà per il capitale; la gestione di [tali problematiche avviene] attraverso le grandi reti di assistenza statale, minando l’autonomia che i movimenti delle persone disoccupate hanno avuto dagli anni ’90 fino all’inizio degli anni 2000.

Tra la parte più impoverita del proletariato c’è la popolazione indigena. Gran parte di questa popolazione vive nelle periferie delle grandi città. Tra la popolazione indigena che continua a vivere fuori dalle città, compresi i Mapuche in Patagonia e nelle province del nord-ovest, sono emerse importanti lotte per il recupero delle terre, la difesa dei loro mezzi di sussistenza e l’opposizione ai progetti capitalistici. Nonostante si tenga conto delle particolarità di queste espressioni di lotta e della diversità culturale della nostra classe, nel momento in cui le colleghiamo e le analizziamo, non perdiamo di vista la contraddizione essenziale dello sfruttamento del lavoro salariato e dell’imposizione della proprietà privata.

Un altro aspetto fondamentale sono le lotte delle donne e delle persone dissidenti, prestando attenzione ai cambiamenti capitalistici della divisione sessuale. Al di là delle politiche incentrate sul riconoscimento dell’identità, sottolineiamo che il capitalismo non è in grado di rispondere a molti dei problemi che si sono manifestati, a partire dalla violenza sessista.

Da un punto di vista riformista non è possibile superare la divisione sessuale – in quanto necessaria per la riproduzione della forza lavoro. Da una prospettiva rivoluzionaria è diventato chiaro che non è possibile abolire le classi sociali senza abolire la divisione di genere. Da alcuni anni stiamo scrivendo una serie di numeri di “Cuadernos de Negación” su questi temi.

Infine, siamo solidali, partecipiamo e osserviamo da vicino le cosiddette lotte ambientali. L’economia argentina è fortemente basata sulla produzione primaria, sia agricola che mineraria. La riproduzione di gran parte della forza lavoro da parte dello Stato dipende, in larga misura, da questo settore. Questo tipo di produzione non può essere delocalizzato quando la popolazione si rifiuta di lavorarci. È quello che è successo con diversi progetti minerari (come nella provincia di Chubut). Ancora oggi c’è una forma di resistenza all’estrazione del litio a Jujuy. Fermare questo tipo di offensiva è un duro colpo per lo sviluppo capitalista in Argentina. Siamo impegnatu a promuovere le profonde implicazioni di queste lotte, opponendoci al capitalismo “verde” o all’ambientalismo cittadinista.

Nella città di Rosario, dove viviamo, negli ultimi anni abbiamo sofferto degli incendi delle zone umide (distanti a pochi chilometri dalla città). Questi roghi sono stati intenzionalmente realizzati per l’agricoltura animale. Verso la fine dell’anno scorso abbiamo pubblicato un libro intitolato “Plomo y humo. El negocio del capital” [Piombo e fumo: Il business del capitale], in cui affrontiamo questo tema e la violenza legata al narcotraffico – cresciuta sistematicamente nell’ultimo decennio. Sebbene ci siano state mobilitazioni massicce contro gli incendi – i quali hanno distrutto le zone umide e causato problemi sanitari -, la questione della violenza legata alla criminalità è stata difficile da affrontare per i movimenti sociali. C’è un’opposizione al pugno di ferro e [alle connivenze tra] polizia e criminalità; ma non ci sono state espressioni di lotta massicce in questo senso. [Al massimo] si richiede “più sicurezza”, anche se ci sono stati alcuni casi specifici.

In sintesi, quindi, ci riferiamo ai diversi piani dell’attuale lotta di classe che vanno oltre la sfera della produzione e mettono in discussione il capitalismo stesso. La possibilità di una rottura rivoluzionaria è latente in queste lotte e offre una strada che possiamo percorrere anche se per il momento la pacificazione democratica è fortemente imposta.

Abbiamo concluso questa intervista il 10 Dicembre 2023, giorno in cui Javier Milei ha assunto la presidenza – e in attesa degli annunciati risanamenti economici di domani.

Manifestante durante una marcia in memoria di Santiago Maldonado (2017)

 

Una fotografia dello sciopero dei fornai del 1902 a Buenos Aires. Nel sindacato dei panettieri prevalse il pensiero anarchico.

 

Note del Blog

1Questo periodo è stato tradotto dalla versione spagnola dell’intervista

2Originale: “Ley de Usurpacion”. La legge in questione si prefigge di debellare i reati di occupazione illegale degli immobili (edifici e terreni agricoli soprattutto), stabilendo nuove pene detentive e meccanismi di restituzione più efficienti. Proposta dall’opposizione di destra nella prima metà del 2023 e inizialmente bloccata dal governo cileno (tramite un veto presidenziale) nell’estate di quell’anno, la “Ley de Usurpacion” viene approvata dai due rami del parlamento nel mese di Novembre. “La legge sull’usurpazione della terra promulgata il 24 Novembre 2023,” scrive Héctor Urbina Huircaleo delle Comunità Mapuche raggruppate di Lof Boyeco Lumaco, “è una legge che attenta al diritto alla pace nell’Araucania e non contribuisce a risolvere il conflitto Mapuche. Questa legge incita alla violenza e attenta al diritto della terra, del territorio e delle sue risorse; quindi questa legge sull’usurpazione è contraria alla pace richiesta nella Regione […] Questa legge sull’usurpazione è chiaramente un’altra strategia per continuare con la violenza il negazionismo, proteggendo gli interessi patrimoniali dei veri usurpatori di terre, che sono gli stranieri, i latifondisti e i grandi produttori di legname – i quali continueranno le loro odiosità razziali e la criminalizzazione verso i Mapuche e i loro diritti di popolo. Noi Mapuche non siamo disposti a cedere le nostre terre, né a tacere sulle intimidazioni dell’élite capitalista, che cerca solo di generare conflitti per militarizzare ulteriormente il nostro territorio. […] Questa è la vera minaccia ed è un attentato alla pace da parte dello Stato cileno e dei partiti Repubblicano, UDI, Rinnovamento Nazionale, Evopoli. Tutti loro promulgano la violenza e criminalizzano la giusta lotta per il diritto alla terra e alla sovranità territoriale. Le comunità proseguiranno nei processi di recupero delle terre, che oggi sono nelle mani dei veri usurpatori di terre. […] Ci rammarichiamo che i parlamentari abbiano adottato tale legge – la quale mira solo a creare e a generare più tensione e controversia in Araucania. Noi Mapuche non siamo disposti a rinunciare ai nostri diritti come popolo, né abbiamo dato mandato a nessuno di decidere per il nostro futuro. […](Fonte: “Ley de usurpación de tierra: ley contraria a la paz en la Araucanía”)