Queste parole sono scritte nella fame dal nord di Gaza. Ho poche energie per andare avanti

Lu palestinesi camminano tra le macerie delle case distrutte dagli attacchi aerei israeliani. Jabalia, nord della Striscia di Gaza, 11 Ottobre 2023.

Traduzione dall’originale “These words are penned in hunger from northern Gaza. I have little energy to go on

 

di Mahmoud Mushtaha, giornalista free-lance di Gaza e attivista per i diritti umani.

 

Dall’umiliazione quotidiana nel cercare cibo ai pericoli estremi causati dal lavoro giornalistico. La vita in questo angolo buio della terra è diventata impossibile.

 

Dal 7 Ottobre, la mia vita nel nord della Striscia di Gaza è stata un incubo senza fine. Paura, ansia, fame, sete e freddo sono diventati i miei compagni quotidiani. Non riesco a comprendere la gravità della nostra situazione, né ad accettare le perdite. La nostra vita qui non può essere compresa o spiegata in alcun modo razionale.

Quasi 150 giorni di guerra brutale mi hanno privato di tutto ciò che avevo. Letteralmente, ho perso tutto: non solo la mia casa e le mie cose, ma anche la mia identità, il mio spirito, la mia mente, i miei sogni, le mie aspirazioni. E questo mi ha cambiato per sempre. Mi ha reso egoista; penso solo alla sopravvivenza della mia famiglia. Sono risentito nei confronti del mondo arabo e musulmano, il cui silenzio rimarca l’oblio della nostra situazione.

I miei pensieri sono consumati dalla domanda su quando finirà la guerra. Quando smetterà Israele di commettere crimini di guerra e deciderà di rispettare e far valere i più elementari diritti umani? Quando raggiungeranno Israele e Hamas un accordo per porre fine alle nostre sofferenze – le quali non sono sopportate dai leader di Hamas all’estero ma da tuttu noi a Gaza? E perché, mi chiedo continuamente, sto sopportando tutto questo dolore?

Qualche settimana fa sono riuscito a mettermi in contatto con il mio amico Ahmed che vive in Irlanda. Per mesi il segnale internet è stato troppo debole qui e non riuscivo a chiamarlo. Ma questa volta la fortuna è stata dalla mia parte. “Fratello mio, lascia Gaza”, mi ha detto subito Ahmed. “Cerca di andartene ad ogni costo. Non preoccuparti di ciò che potresti perdere. Una volta fuori, sarai al sicuro e sulla strada giusta.

E non parlarmi della tua carriera; sarai in grado di gestire tutto al di fuori di Gaza”, ha continuato. “Sei un giovane altamente qualificato, professionale, intelligente e lavoratore. Sei rimasto saldo di fronte a tutte le sfide di Gaza. Ma tutto ciò che hai costruito lì è stato distrutto. Per il bene della tua famiglia ti consiglio vivamente di esplorare delle opportunità al di fuori di Gaza”.

Quella telefonata, conclusasi con le lacrime, ha avuto un profondo impatto su di me. Esausto dalle difficoltà che mi circondano, non riesco più a sopportarle: ho deciso di provare a lasciare la Striscia di Gaza. Ho capito che l’unica soluzione è preservare la propria anima e fuggire da questa oscura ingiustizia. Non importa quanto si possa perdere o cosa si rischi lasciando la Striscia di Gaza; ciò che conta veramente è preservare il proprio io. Non c’è più nulla da perdere.

La lotta per la sopravvivenza

Quando Israele ha lanciato l’invasione di terra alla fine di Ottobre 2023, sono fuggito dalla mia casa di Tal el-Hawa, ad ovest di Gaza City; sono rimasto intrappolato a Shuja’iya, quartiere orientale della città palestinese. [È in quel momento] che sono riuscito a cogliere l’essenza di Gaza attraverso questo quartiere.

Ciò che mi pesa di più è la mancanza di preoccupazione e la volontà degli altri nel sacrificarsi verso chi si trova nel nord assediato. A volte mi ritrovo a desiderare di non voler essere rimasto qui.

Vorrei poter tornare ogni giorno a casa. Ma è troppo pericoloso. I carri armati israeliani stazionano costantemente nella zona e il mio edificio è stato gravemente danneggiato da un bombardamento. Tutto quello che voglio è prendere un ricordo o recuperare qualche oggetto personale. Voglio i miei vestiti invernali, soprattutto la giacca che avevo comprato con il mio amico Youssef Dawas, tragicamente ucciso in un attacco aereo israeliano il 14 Ottobre, pochi giorni dopo l’inizio della guerra. La più grande umiliazione è la lotta quotidiana per sfamarci. Per noi che viviamo a nord di Gaza, è impossibile descrivere i nostri sforzi nel [reperire e] mettere il cibo a tavola. Dall’inizio della guerra ho perso 17 chili a causa della scarsità di cibo.

Io sperimento l’oppressione e l’umiliazione ogni volta che devo aspettare il mio turno per ottenere un litro d’acqua, ad un prezzo esorbitante, da coloro che si riforniscono da un pozzo. Mi disprezzo ogni volta che cerco qualcuno che vende farina ad un prezzo ragionevole – e cerco di barattare con i mercanti disonesti e [monopolisti].

La nostra principale fonte di sostentamento è il pane d’orzo secco, che non nutre il nostro corpo, né soddisfa il nostro gusto. Siamo costretti a mangiare cibo per animali. Ma, come diceva sempre mio nonno, “Tutto ciò che entra in bocca è nutrimento”: dobbiamo mangiare tutto ciò che c’è, indipendentemente dalle nostre preferenze. L’obiettivo principale è rimanere vivi.

Scrivere tra lacrime e tremori

Come giornalista, sono alle prese con due sfide. Da un lato, c’è il peso delle mie responsabilità personali: la ricerca di cibo e acqua; stare saldamente al fianco della mia famiglia; e tentare di dare conforto e sicurezza ai miei genitori, alla mia nipotina Sila di 4 anni e al mio nipotino Wadie di 2 anni. Allo stesso tempo, ho il dovere professionale di fare informazione.

Dato che i giornalisti internazionali non possono entrare nella Striscia, il nostro ruolo è fondamentale qui, nel nord di Gaza. Abbiamo il dovere di condividere le storie delle sofferenze della gente – le grida strazianti di donne e bambini. Lavoriamo attraverso la nostra stessa fame e sete, intervistando i bambini che non riescono a trovare cibo – in modo che il mondo possa capire la nostra situazione.

Il dubbio sul mio futuro di giornalista permane. Continuare a scrivere significa esporre me e la mia famiglia al pericolo: percorrere grandi distanze per raggiungere i luoghi dei bombardamenti, o assicurarsi un punto di osservazione abbastanza alto – in luoghi totalmente esposti agli attacchi israeliani – per l’accesso alle reti internet tramite schede eSIM. In sostanza, non c’è tregua per le attività giornalistiche. Persino il Sindacato dei giornalisti di Gaza non offre alcuna assistenza per il nostro lavoro e la nostra sicurezza.

Da quel fatidico sabato di Ottobre, ho assistito al crollo della mia vita e delle mie aspirazioni. La sensazione di impotenza e di oppressione è indescrivibile; nessuna parola può catturare adeguatamente le emozioni che provo mentre scrivo – un processo di lacrime, tremori e tentativi di venire a patti con la mia situazione. Queste parole sono scritte nella fame e l’energia per continuare a resistere si sta esaurendo.

Pur essendo ambizioso e tenace per natura, mi trovo in questo angolo buio della terra dove la ricerca di un futuro sicuro deve passare in secondo piano rispetto alla cruda realtà della vita nella Striscia di Gaza assediata. Lo sforzo che ho fatto per laurearmi due anni fa e intraprendere una vita degna dei miei sforzi sembra tempo sprecato. I leader politici parlano di pazienza e resistenza, ma questa guerra ha infranto tutti i nostri sogni.