Razzismo, controllo delle nascite e diritti riproduttivi – Seconda Parte

Prima Parte

Mentre le donne hanno probabilmente sempre sognato metodi contraccettivi infallibili, fu soltanto a partire dal movimento per i diritti riproduttivi che questa rivendicazione acquistò legittimità. In un saggio intitolato “Matrimonio”, scritto durante gli anni Cinquanta dell’Ottocento, Sarah Grimke sostenne il «diritto della donna di decidere quando diventare madre, quanto spesso e in quali circostanze».1 Alludendo all’osservazione scherzosa di un medico, Grimke concordava che se le mogli e i mariti dessero alla luce i loro bambini una volta ciascuno «nessuna famiglia ne avrebbe più di tre: uno partorito dal marito e due dalla moglie».2Ma, come insiste l’autrice, «il diritto di affrontare la questione è stato quasi sempre negato alla donna».3

Sarah Grimke difendeva il diritto all’astinenza sessuale. Nello stesso periodo si tenne il famoso “matrimonio emancipato” di Lucy Stone e Henry Blackwell. Questi abolizionisti e attivisti per l’emancipazione femminile si sposarono con una cerimonia che metteva in discussione la completa rinuncia da parte delle donne ai loro diritti individuali, al loro nome e alla proprietà. Concordando che in quanto marito non dovesse rivendicare alcuna pretesa di «custodia della persona di sua moglie»,4Henry Blackwell giurò che non avrebbe mai tentato di imporle i suoi desideri sessuali.

L’idea che le donne potessero rifiutarsi di sottomettersi alle richieste dei loro mariti, nel tempo, divenne l’idea centrale dell’appello per una maternità consapevole. A partire dagli anni Settanta dell’Ottocento, quando il movimento per il suffragio femminile aveva raggiunto il suo apice, le femministe difesero pubblicamente la maternità come libera scelta. In un discorso tenuto nel 1873 Victoria Woodhull rivendicò che
[…] la moglie che si sottomette a rapporti sessuali contro la propria volontà o il proprio desiderio, commette un suicidio virtuale; il marito che la obbliga, invece, commette un assassinio e merita di essere punito come se avesse strangolato la moglie per essersi rifiutata.5

Woodhull naturalmente era una promotrice dell’“amore libero”. La sua difesa del diritto delle donne all’astensione, in quanto metodo contraccettivo, andava di pari passo con una critica più vasta del matrimonio come istituzione.

Non è un caso che la coscienza sui diritti riproduttivi delle donne sia nata all’interno del movimento per la loro uguaglianza politica. Del resto, perennemente oppresse dal peso della gravidanza e degli aborti spontanei, come potrebbero le donne esercitare i propri diritti politici? Inoltre i sogni di fare carriera o di realizzarsi al di fuori del matrimonio e della maternità potevano concretizzarsi solo limitando e pianificando le gravidanze. In questo senso lo slogan “maternità scelta” conteneva una nuova visione autenticamente progressista della condizione femminile. Tuttavia questo era possibile solo nelle vite delle classi medie e borghesi. La rivendicazione della maternità scelta non si confaceva alla situazione delle donne della classe lavoratrice, impegnate com’erano nella lotta per la sopravvivenza economica. Poiché questo primo appello al controllo delle nascite fu associato a obiettivi perseguibili dalle benestanti, molte donne povere e lavoratrici trovarono difficile identificarsi con questo movimento embrionale.

Verso la fine del diciannovesimo secolo il tasso di natalità tra i bianchi negli Stati Uniti registrava un significativo declino. Poiché nessuna innovazione contraccettiva era ancora stata ufficialmente introdotta, la diminuzione delle nascite sottintendeva di fatto che le donne stessero limitando la loro attività sessuale. A partire dal 1890 la “tipica” donna bianca statunitense non metteva al mondo più di quattro bambini.6 Poiché la società si stava progressivamente urbanizzando, questa nuova tendenza non poteva sorprendere. La vita di campagna richiedeva famiglie numerose che non erano adatte alla vita in città. Eppure questo fenomeno fu pubblicamente interpretato in chiave razzista e anti-operaia dagli ideologi del capitalismo monopolistico. Poiché le donne bianche statunitensi stavano mettendo al mondo sempre meno bambini, negli ambienti ufficiali iniziò ad aggirarsi lo spettro del “suicidio della razza”.

Nel 1905 il presidente Theodore Roosevelt concluse il suo discorso alla cena del Lincoln Day proclamando che «la purezza della razza deve essere salvaguardata».7 A partire dal 1906 equiparò esplicitamente il tasso di natalità in declino tra i nativi bianchi con la minaccia incombente del «suicidio della razza». Nel suo messaggio agli stati dell’Unione quell’anno Roosevelt ammonì le donne bianche in buona condizione economica che si ostinavano alla «sterilità volontaria».8
Questi commenti iniziarono a diffondersi in un periodo di accelerazione del razzismo e di grandi ondate di linciaggi e sommosse razziste in tutto il paese. Inoltre il presidente Roosevelt stava cercando di guadagnare sostegno al tentativo di conquista delle Filippine, ovvero l’ultima avventura imperialista degli Stati Uniti.
Come rispose il movimento per il controllo delle nascite all’accusa di Roosevelt di promuovere il suicidio della razza? Secondo una studiosa di storia, attivista del movimento, la strategia propagandistica del presidente fu un fallimento perché, ironia della sorte, contribuì a legittimarlo. Eppure, come afferma Linda Gordon, questa controversia «fece emergere proprio quelle questioni che separavano radicalmente le femministe dai poveri e dalla classe lavoratrice»:9

Accadde in due modi. In primo luogo le femministe enfatizzarono il controllo delle nascite come soluzione per fare carriera e accedere ai livelli più alti della formazione, obiettivi fuori dalla portata delle donne povere, con o senza contraccezione. Nel contesto complessivo del movimento femminista la questione del “suicidio della razza” era un fattore che identificava il femminismo quasi esclusivamente con le aspirazioni delle donne più privilegiate della società. In secondo luogo le femministe a favore del controllo delle nascite iniziarono a diffondere l’idea che le persone povere avessero l’obbligo morale di controllare la grandezza delle proprie famiglie perché i nuclei numerosi assorbivano le spese fiscali e caritatevoli delle famiglie agiate, e perché i bambini poveri avevano meno probabilità di ascesa sociale.10

Il sostegno alla tesi del suicidio della razza da parte di persone come Julia Ward Howe e Ida Husted Harper rifletteva la condizione di un movimento, quello per il suffragio femminile, che aveva ormai ceduto alle posizioni razziste delle sudiste. Mentre le suffragiste tolleravano le tesi sull’estensione del voto alle donne come arma per la salvaguardia della supremazia bianca, le fautrici della contraccezione acconsentivano o almeno tolleravano il controllo delle nascite come mezzo per prevenire la proliferazione delle “classi inferiori” e come antidoto al suicidio della razza, che poteva essere evitato attraverso l’introduzione del controllo delle nascite tra le persone Nere, immigrate e povere in generale. In questo modo le fertili bianche avrebbero potuto conservare la superiorità numerica della loro sana stirpe yankee. Così classismo e razzismo fecero breccia nel movimento per il controllo delle nascite quando era ancora nelle sue primissime fasi. Progressivamente negli ambienti del movimento si iniziò a sostenere che le donne povere, Nere e immigrate avessero il «dovere morale di ridurre la grandezza delle loro famiglie».11 Ciò che veniva rivendicato come un “diritto” dalle privilegiate finì per essere interpretato come un “dovere” per le povere.

Quando Margaret Sanger diede inizio alla sua lunga crociata per il diritto al controllo delle nascite – un termine che lei stessa coniò e diffuse – sembrava che i toni razzisti e classisti del passato potessero essere lasciati alle spalle. In effetti Margaret Higgens Sanger proveniva da una famiglia di classe operaia e conosceva bene la devastante pressione della povertà. Sua madre era morta a quarantotto anni dopo aver messo al mondo undici bambini. Le sue successive memorie sulle difficoltà familiari ne confermavano la convinzione che le donne della classe operaia avessero diritto a pianificare e distanziare in autonomia le proprie gravidanze. La sua adesione al movimento socialista fu un’ulteriore ragione per sperare che la campagna per il controllo delle nascite prendesse una direzione progressista.

Aderì al Socialist Party nel 1912 assumendo la responsabilità di reclutare i club delle donne lavoratrici di New York.12 The Call – il giornale del partito – pubblicò i suoi articoli sulla pagina delle donne. Sanger ne scrisse una serie nella rubrica “Quello che ogni madre dovrebbe sapere”, poi continuò con una seconda rubrica intitolata “Quello che ogni ragazza dovrebbe sapere”. Scrisse anche dei reportage sugli scioperi portati avanti dalle donne. La familiarità di Sanger con i quartieri popolari di New York derivava dalle sue numerose visite come infermiera professionale nelle zone più povere della città. Nella sua autobiografia racconta che durante queste visite incontrò tantissime donne che chiedevano disperatamente come controllare le nascite.

Racconta anche di come, in una delle sue tante visite nel Lower East Side di New York, decise di intraprendere una crociata personale per il diritto al controllo delle nascite. Recatasi a una delle sue visite di routine venne a conoscenza della storia di Sadie Sachs, una ragazza di ventotto anni che aveva cercato di provocarsi un aborto. Una volta rientrata l’emergenza la giovane aveva chiesto al medico di turno di darle qualche consiglio per non rimanere più incinta. Come riferisce Sanger, il dottore le consigliò di «dire a [suo marito] Jake di dormire sul divano»:13

Rivolsi velocemente lo sguardo verso la signora Sachs. Attraverso le lacrime sgorgate senza preavviso potevo vedere stampata sul suo volto un’espressione di disperazione assoluta. Ci guardammo l’un l’altra, senza dire niente, fino a quando la porta della stanza non si chiuse dietro al dottore. Allora lei sollevò le mani affusolate, piene di venature blu, e le congiunse supplicando: «Lui non capisce, è un uomo. Ma tu puoi capirmi, vero? Ti prego, dimmi il segreto e non lo dirò ad anima viva. Ti prego!».14

Tre mesi più tardi Sadie Sachs morì per un altro aborto auto-indotto. Quella notte Margaret Sanger giurò, racconta, di dedicare tutte le proprie energie alla diffusione legale delle misure contraccettive:
Andai a letto sapendo che avrei smesso per sempre con le cure palliative e superficiali. Decisi di andare alla radice del problema, di fare qualcosa per cambiare il destino delle madri e le loro infinite sofferenze.15

Durante la prima fase della sua crociata per il controllo delle nascite rimase iscritta al Socialist Party e la campagna fu strettamente associata al partito. Tra i suoi più tenaci sostenitori si annoveravano Eugene Debs, Elizabeth Gurley Flynn ed Emma Goldman, che rappresentavano rispettivamente il Socialist Party, gli Industrial Workers of the World e il movimento anarchico. Margaret Sager a sua volta definì la prospettiva anticapitalista del movimento attraverso le pagine del suo Woman Rebel, giornale «dedicato agli interessi delle donne lavoratrici».16 Continuò a marciare nei picchetti con chi scioperava e condannò pubblicamente la loro repressione. Nel 1914, per esempio, quando la guardia nazionale massacrò centinaia di minatori chicani a Ludlow, in Colorado, si unì al movimento operaio per denunciare il ruolo di John D. Rockfeller in questo bagno di sangue.17

Purtroppo l’alleanza tra la campagna per il controllo delle nascite e il movimento operaio radicale non durò a lungo. I socialisti e gli altri attivisti della classe lavoratrice continuavano a rivendicare questo diritto ma non occupava una posizione centrale nella loro strategia. Dal canto suo Sanger iniziò a sottostimare la centralità dello sfruttamento capitalistico nella sua analisi della povertà, argomentando che la famiglia numerosa fosse responsabile della miseria dei lavoratori. Inoltre «le donne stavano perpetuando, per ignoranza, lo sfruttamento della classe lavoratrice», diceva lei, «continuando a inondare il mercato del lavoro di nuovi lavoratori».18Probabilmente Sanger fu influenzata dalle idee neomalthusiane di alcuni ambienti socialisti. Alcune figure straordinarie del movimento socialista come Anatole France e Rosa Luxemburg avevano proposto uno «sciopero delle nascite» per prevenire il continuo flusso di forza lavoro nel mercato capitalista.19

Continua nella Terza Parte

Note

1Lerner, The Female Experience, op. cit., p. 91

2Ivi

3Ivi

4“Marriage of Lucy Stone Under Protest”, in Hstory of Woman Suffrage, vol. I, citato in Schneir, op. cit., p. 104.

5Discorso di Victoria Woodhull, “The Elixir of Life”, citato in Schneit, op. cit., p. 153

6Mary P. Ryan, Womanhood in America from Colonial Times to the Present, Franklin Watts, New York 1975, p. 162.

7Melvin Steinfeld, Our Racist Presidents, Consensus Publishers, San Ramon 1972, p. 212.

8Bonnie Mass, Population Target. The Political Economy of Population Control in Latin America, Women’s Educational Press, Toronto 1977, p. 20.

9Linda Gordon, Woman’s Body, Woman’s Right. Birth Control in America, Penguin Books, New York 1976, p. 157.

10Ibid., p. 158.

11Ivi

12Margaret Sanger, An Autobiography, Drove Press, New York 1971, p. 75.

13Ibid., p. 90.

14Ibid., p. 91.

15Ibid., p. 92.

16Ibid., p. 106.

17Mass, op. cit., p. 27.

18Dancis, op. cit., p. 96.

19David McKennedy, Birth Control in America. The Career of Margaret Sanger, Yale University Press, New Heaven – London 1976, pp. 21-22.