“La polizia israeliana reprime le proteste anti-guerra con il pugno di ferro”, dice un attivista – Seconda Parte

Prima Parte

C’è un senso di impotenza”

Il 19 Ottobre si era tenuta una manifestazione contro la guerra ad Umm al-Fahm. Il feroce respingimento della polizia – la manifestazione era stata dispersa con granate, manganelli e proiettili di gomma ed erano state arrestate 12 persone – ne aveva fatto un simbolo della repressione poliziesca dall’inizio della guerra. La polizia aveva richiesto che 11 delle persone fermate, inclusi 4 minori, restassero in custodia. La Corte dei Magistrati 1 aveva accettato la richiesta senza raccogliere alcuna testimonianza delle persone fermate perché lo Shabbat era già iniziato. Dopo averli sentiti sabato notte, nove persone detenute erano state rilasciate con la condizionale, e altre due – Ahmad Khalifa e Muhammad Jabarin, che la polizia considerava come gli organizzatori della protesta -, erano rimaste in cella. I due erano accusati di aver gridato slogan politici – giudicati dalla Corte come incitamento -, e la loro detenzione era stata estesa fino alla fine delle indagini. Probabilmente questa è la prima volta che accade solo per degli slogan. Mourani, l’avvocato di “Adalah”, rappresenta Jabarin. “Dicono che si tratti di incitamento e slogan e non per la manifestazione in sé. Ma non possono separare queste cose,” ha detto.

Questo è un cambiamento di politica,” ha continuato Mourani. “Quando abbiamo discusso delle alternative alla detenzione, ci hanno risposto che i domiciliari e il controllo remoto erano impossibili perché [i detenuti] sarebbero stati capaci, in teoria, di aggirarli e uscire di casa per andare a protestare. Quindi, in definitiva, il problema sono proprio le manifestazioni. È una persecuzione politica. Questi non sono slogan nuovi, e non c’è niente di specifico riguardo il 7 Ottobre.”

Il loro non è un caso solitario. Dal 7 Ottobre, la Procura dello Stato ha incoraggiato gli investigatori in dozzine di casi, chiedendo alla Corte di estendere la detenzione fino alla fine dei procedimenti, inclusi i casi incentrati sull’ “incitamento” sui social media.

In una delle udienze, Khalifa – uno dei due incriminati – ha descritto le condizioni della prigione di Megiddo, dove è incarcerato come detenuto di sicurezza, ad un giudice: “Le persone vengono tenute in manette…Vengono trascinate in giro come se fossero degli animali. Se alzi la testa, ti colpiscono. L’ho visto fare quotidianamente. Se una delle guardie si accorge di qualcuno che sta sorridendo, lo portano via; c’è un’area con un “punto cieco” [lontano dalla vista delle telecamere di sicurezza] che tutta la prigione conosce.

Khalifa ha inoltre dichiarato che un detenuto nella cella accanto alla sua è stato picchiato e, successivamente, è morto a causa delle ferite – facendo eco a delle testimonianze che +972 aveva riportato il mese scorso.

Secondo Shbita, a causa di storie come queste – raccontate da chi era stato arrestato -, la gente ha paura a manifestare. “Lu attivistu politicu si dicevano nel passato, “Saremo detenutu per un giorno o due, non è la fine del mondo””, ha detto. “Ma adesso c’è la sensazione che questa è la fine del mondo, anche fra le persone che partecipano regolarmente alle manifestazioni, a causa delle violenze fisiche subite durante la detenzione.

Mentre nelle recenti settimane c’erano state delle piccole manifestazioni nelle località arabe del nord, a sud, per la precisione nel Naqab/Negev, non ve ne erano state. “Mi addolora che in tutto il mondo la gente manifesta per noi – in Europa sono centinaia di migliaia – ma qui, invece, non siamo capaci di manifestare per noi stessu”, dice Huda Abu Obeid, un attivista politico del Naqab. “C’è un senso di impotenza. La sola cosa che potevamo fare prima della guerra era manifestare. Adesso non possiamo fare nemmeno quello.

Secondo Abu Obeid, prima non c’erano manifestazioni perché la gente era stata presa alla sprovvista dagli eventi del 7 Ottobre. “Fu un vero shock”, ha detto. “Siamo abituatu agli attacchi di Israele, ma questa era la prima volta che i palestinesi attaccavano in una maniera così grande. Non sapevamo come reagire.

Abu Obeid lega la mancanza di manifestazioni all’effetto agghiacciante causato dalla campagna di arresti di massa contro lu cittadinu palestinesi di Israele sulla scia della “Unity Intifada” del Maggio 2021. “Lo Shin Bet (intelligence israeliana) è riuscito ad impaurire tuttu”. “Hanno convocato e intimidito lu attivistu [durante gli interrogatori], si sono recati nei luoghi di attività politica. La sensazione è che “non importa cosa fai: anche se non sei legato alle proteste, sarai sempre perseguitatu.”

 

Siamo messi a tacere da ogni direzione”

In mancanza di proteste più grandi, la maggior parte delle attività anti-guerra consiste in piccole e locali veglie per le quali non è richiesta nessuna autorizzazione – ma anche queste sono state attaccate dalla polizia e dai passanti. Le veglie tendono a non essere annunciate pubblicamente sui social media ma solo in gruppi chiusi. Per evitare la formazione di una controprotesta di destra, [queste veglie], normalmente, durano meno di un’ora e lu attivistu arrivano e vanno via insieme per paura di essere aggreditu per strada.

L’ultima azione di questo tipo – dispersa con la forza dalla polizia – era stato un piccolo assembramento tenutosi la scorsa settimana nella città araba di Al-Batuf, vicino Nazareth. All’inizio del mese, lu attivistu a Tel Aviv avevano tenuto, per strada, una mostra di fotografie sulle condizioni recenti di Gaza; dei passanti, alcuni armati, avevano attaccato lu attivistu, strappando le foto. La polizia, in tutto questo, guardava la scena.

Mentre i media internazionali e arabi locali avevano mostrato grande interesse per queste proteste e veglie, i principali organi di stampa israeliani li avevano quasi completamente ignorati. “La nostra voce, a stento, viene ascoltata in Israele”, dice Michal Sapir, un attivista del “radical bloc”, che aveva organizzato la mostra stradale. “Siamo messu a tacere da ogni direzione. Lo Stato non mostra cosa sta succedendo a Gaza; è importante per noi difenderci e dire che l’uccisione di civili a Gaza, che avviene a nostro nome, deve finire e non vi può essere alcuna soluzione militare.

Da quando la guerra è iniziata, lu attivistu hanno dovuto trovare il modo per aggirare il divieto di manifestare. “L’abbiamo fatto gradualmente”, dichiara Said. “Non sapevamo quale sarebbe stata la reazione. All’inizio ci siamo semplicemente unitu alle famiglie degli ostaggi. Abbiamo provato a vedere se fosse stato possibile stare lì con i cartelli – dove chiedevamo un cessate il fuoco. E abbiamo visto che potevamo. Con calma siamo passatu a slogan più radicali e a manifestare ad HaBima [una grande piazza pubblica nel centro di Tel Aviv ]. Abbiamo verificato cosa poteva essere detto, e cosa sarebbe stato accolto con violenza [dalla polizia]. Fino al giro di vite sui cartelli [durante la protesta del 16 Gennaio, fuori la Kirya], la polizia non ci dava alcun fastidio, ma adesso hanno una nuova politica,” continua Sapir. “Sono stanchi di vederci vicino al quartiere generale militare.”

Di volta in volta, ha aggiunto Sapir, lu attivistu vengono attaccatu dai passanti. “Un fattorino ci ha lanciato delle uova. Ma normalmente c’è tolleranza e alcune volte supporto”.

Nelle ultime settimane, lu attivistu a Gerusalemme hanno tenuto molte piccole manifestazioni contro la guerra, incluse quelle di fronte al consolato degli Stati Uniti. Una di queste, una veglia per le persone morte a Gaza – tenutasi all’inizio di Gennaio -, è stata fortemente dispersa dalla polizia, con due manifestanti arrestatu e le fotografie (ritraenti le persone di Gaza morte) confiscate.

La settimana scorsa, un’altra veglia di protesta a Gerusalemme è stata aggredita dalla polizia, che ha confiscato i cartelli e spinto via lu partecipanti.

Tutto fa paura,” ha dichiarato a +972 e Local Call un attivista del gruppo di sinistra “Free Jerusalem” che preferisce restare anonimo. “La posta in gioco è alta. A differenza del passato, quando potevamo pubblicizzare apertamente gli eventi, ora siamo molto più cauti. L’opinione pubblica e i comunicati dell’intera leadership politica di Israele si sono spostate a destra, e questo ha ingrandito il livello di paura e ansia.

Secondo lui, in una delle prime manifestazioni per il rilascio degli ostaggi, lu attivistu di “Free Jerusalem” chiedevano la fine della guerra per assicurarsi il rilascio di questi ultimi: sono stati attaccati dai passanti. “[La manifestazione] non era nemmeno contro la guerra, ma c’era [un alto livello di] violenza”.

Nelle manifestazioni che abbiamo tenuto in due sabati sera consecutivi [6 Gennaio e 13 Gennaio], la polizia ci ha dispersu con la violenza dopo solo qualche minuto e non ci ha permesso di manifestare,” ha continuato. “Hanno preso i cartelli grandi che dicevano “No alla guerra a Gaza” e “Cessate il fuoco immediatamente””.

 

La polizia ci ha insultate. Ci ha chiamato troie e ci ha detto di tornare a Gaza”

Ad Haifa, lu attivistu contro la guerra hanno trovato delle maniere creative per evitare la repressione poliziesca aggressiva. Il 28 Dicembre, un piccolo gruppo di attivistu ha tenuto quella che chiamano una manifestazione “saltellante”, dove si muovevano da un posto ad un altro prima che la polizia potesse fermarli.

Non l’abbiamo pubblicizzato nei grandi gruppi dei [social media], perché sappiamo che gli agenti di polizia li controllano,” dice Gaia Dan, un’attivista di Haifa. “Ha funzionato abbastanza bene. Siamo statu alla Colonia Tedesca [nel centro di Haifa] per 20 minuti e quando la polizia è arrivata, eravamo già da un’altra parte. Lì la polizia è arrivata dopo 5 minuti; quindi siamo fuggitu da un’altra parte ancora. Stiamo cercando di essere presenti senza portare alcuna violenza.

Dan era stata arrestata per un’altra protesta avvenuta in città un mese prima – dove lu attivistu, per protestare contro la persecuzione politica ai danni dellu dissidenti alla guerra, avevano dello scotch sulle proprie bocche. “Quando siamo arrivatu, c’erano già tre macchine della polizia, e, in un attimo, il comandante ha gridato con un megafono che se non ci fossimo dispersu in due minuti, l’avrebbero fatto loro con la forza.

Secondo Dan, a quel punto la polizia si è lanciata contro lu manifestanti. “Hanno arrestato un manifestante e hanno iniziato a strappare i cartelli dalle mani, respingendo le persone. Hanno buttato giù il mio cartello, che era davvero docile: “Fermate il silenzio”. Sono stata trascinata e presa a calci. È così che mi hanno arrestata.

Mentre era nell’auto della polizia con altre due detenute, Dan ha dichiarato che gli agenti “ci hanno insultate, chiamate troie, detto di tornare a Gaza e chiesto come mai non provassimo vergogna a manifestare così in tempo di guerra. Mentre aspettavamo alla stazione, i poliziotti hanno continuato a insultarci e a cantare canzoni sul tornare a Gush Katif [il blocco di insediamenti ebrei a Gaza che fu dismesso nel 2005] e distruggere Gaza. Dopo tre ore, siamo state rilasciate senza condizionali.

La repressione della polizia verso le persone dissidenti ad Haifa è arrivata subito dopo lo scoppio della guerra. Il 18 Ottobre, il movimento “Hirak” pianificava una manifestazione in città. Ore prima dell’inizio, però, la polizia ha trasmesso un comunicato dichiarando che nessun permesso era stato garantito e che “non permetteremo nessuna forma di supporto o solidarietà verso l’organizzazione terroristica Hamas” e “agiremo con mano ferma e in conformità con la legge per disperdere la manifestazione, utilizzando, se necessario, misure di dispersione di massa.”

Lu attivistu avevano comunque portato avanti la manifestazione; dozzine di agenti di polizia erano arrivati, dichiarando il tutto illegale e disperdendo con violenza lu manifestanti. Il bilancio di quella giornata era stato di cinque attivistu arrestatu in quanto si rifiutavano di andare via. Al centro legale per i diritti umani “Adalah”, i cui avvocati rappresentavano tre delle persone arrestate, era stato detto che lu prigionieru sarebbero rimastu in prigione per tutta la notte – come ordinato dal commissario di polizia. Il giorno dopo la Corte dei Magistrati di Haifa ne aveva ordinato il rilascio.

Il 29 Ottobre, l’attivista Yoav Bar era stato arrestato a casa sua dalla polizia con l’accusa di possedere “materiale d’incitamento” – che erano soltanto dei poster politici – prima di essere rilasciato senza accuse.

Dagli arresti avvenuti durante la manifestazione del 28 Dicembre, Dan crede che le persone di Haifa abbiano paura a manifestare in strada. “Alla prima manifestazione eravamo in 20; adesso è difficile trovarne cinque,” ha detto. “Guardando anche quello che sta succedendo a Tel Aviv e a Gerusalemme – le persone non vogliono venire alle manifestazioni ed essere picchiate, e li capisco. È difficile ed estenuante: ogni volta arrivi a pensare che potresti essere arrestatu o schiacciatu sul pavimento. Anch’io ho paura. Ma alla fine dei conti, siamo privilegiatu in quanto persone ebree. Sappiamo che normalmente non subiremo detenzioni prolungate ed è importante manifestare in ogni modo possibile.

Shbita, segretario di “Hadash”, spera che adesso, dopo tre mesi di guerra, anche i media ebraici comprendano perché stanno protestando. “Lo shock del 7 Ottobre è stato reale, ma penso che con il passare del tempo qualcunu si stia facendo delle domande,” ha detto. “Purtroppo le persone in Israele iniziano a porsi domande difficili solo quando sono in pericolo. Non gli importa delle 20-30000 vittime palestinesi ma soltanto delle vite degli ostaggi, dei soldati uccisi, dei problemi diplomatici, della crisi economica – tutti elementi che portano il pubblico a porsi domande.

+972 e Local Call hanno contattato la polizia di Israele per avere un commento sulla loro politica nel prevenire le proteste contro la guerra, quale autorità hanno per confiscare i cartelli e sul trattamento delle persone detenute ad Haifa da parte degli agenti.

In tutta risposta, un portavoce della polizia ha dichiarato: “Senza fare riferimento a questo o a quel caso, la polizia di Israele opera in conformità con le disposizioni di legge e le condizioni dettate dalle direttive del Procuratore Generale. La polizia di Israele riconoscerà il legittimo diritto di esprimere la libertà di protesta, ma non permetterà delle manifestazioni di violenza contro gli agenti di polizia – impegnati nella sicurezza e nel mantenimento dell’ordine pubblico – e non consentirà nessun tipo di disturbo dell’ordine pubblico.”

 

Nota del Blog

1Si occupa di reati civili e penali di gravità minore. Ha la giurisdizione nelle cause civili e penali.