Traduzione dall’originale “Turning Zeitoun into Shivat Zion: Israeli summit envisions Gaza resettlement”
Per nulla scoraggiati dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), i ministri e i leader dei coloni, in una grande conferenza tenutasi a Gerusalemme, hanno promosso dei piani per espellere i palestinesi e “riportare” gli israeliani a Gaza.
Lo spettacolo più strano della “Conferenza per la vittoria di Israele”, che si è svolta domenica sera (28 Gennaio, ndt) all’International Convention Center di Gerusalemme, non è stata la mappa raffigurante le decine di nuovi insediamenti che i coloni israeliani sperano di creare nella Striscia di Gaza dopo la fine della guerra. [No, lo spettacolo più strano] è stato il momento in cui migliaia di persone hanno ballato nella sala, intonando canzoni celebrative – uno spettacolo raro in un’Israele post 7 Ottobre, con la maggior parte della nazione ancora in lutto per le vittime degli attacchi di Hamas e che teme per la sicurezza degli ostaggi a Gaza.
Tuttavia, per i partecipanti alla conferenza – tra cui 11 ministri e 15 membri della coalizione, che si sono uniti allegramente alle danze -, c’è davvero qualcosa da festeggiare. Per loro il 7 Ottobre e la guerra che ne è seguita ha rappresentato un’opportunità senza precedenti per riconquistare Gaza e, se possibile, un modo per organizzare una situazione tale da non far rimanere [nessun] palestinese quando arriveranno i nuovi coloni.
Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha iniziato il suo discorso con qualche riserva sulla gioia che predominava: “Devo dire che ho emozioni contrastanti quando si tratta dell’atmosfera in questa sala”, ha detto, prima di aggiungere immediatamente: “Ma c’è qualcosa di naturale e sano in quello che c’è qui, nella forza, nella gioia, nella devozione alla Terra d’Israele, che ha il potenziale per garantire una forza enorme”. Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha parlato di “migrazione volontaria”; [egli,] alla luce del procedimento legale in corso presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG), [sembra che abbia] compreso la necessità di moderare un po’ il suo linguaggio
Nonostante l’impressionante affluenza di ministri e membri della Knesset provenienti dall’Otzma Yehudit di Ben Gvir, dal Partito Sionista Religioso di Smotrich, dal Likud del Primo Ministro Benjamin Netanyahu e dall’ultraortodosso United Torah Judaism – quattro dei partiti che compongono l’attuale coalizione -, le vere star della conferenza sono state il capo del Consiglio di Samaria, Yossi Dagan, e la presidente della principale organizzazione di coloni Nahala, Daniella Weiss. Prima del 7 Ottobre, i due si erano dati da fare in Cisgiordania, a Eviatar e Homesh, dove avevano ricevuto l’appoggio del governo per ristabilire gli avamposti precedentemente smantellati. Comunque, dall’inizio della guerra, si è aperto un nuovo mercato per questi imprenditori avidi – i quali vogliono impedire che l’opportunità [presentatasi] venga sprecata.
Per quanto riguarda la domanda su cosa accadrà ai 2,3 milioni di palestinesi che, attualmente, chiamano [il territorio di] Gaza “casa” – una domanda posta da molti dei giornalisti stranieri venuti alla conferenza -, Weiss ha ripetuto più e più volte la seguente risposta: “Gli arabi si sposteranno”, [aggiungendo] “Rivogliamo i nostri ostaggi, quindi non diamo loro (ad Hamas, ndt) il cibo. Non diamo nulla agli arabi, quindi dovranno spostarsi. Il mondo accetterà questo.”1
Esperta delle complesse dinamiche tra il movimento degli insediamenti e il governo israeliano, Weiss ha sorriso quando le è stato chiesto come Netanyahu risponderà alla sentenza della scorsa settimana della CIG – secondo cui Israele deve agire per prevenire il genocidio a Gaza. “Il governo accetterà le pressioni dell’opinione pubblica”, ha risposto.
“Il 7 ottobre ha cambiato la storia”, ha dichiarato Weiss dal palco. “Gaza, la porta meridionale di Israele, sarà spalancata. I gazesi lasceranno [la Striscia] [e si disperderanno] per tutte le parti del mondo. Il popolo ebraico farà fiorire la terra dei nostri antenati. Ogni singola zolla della Terra d’Israele che i nostri soldati hanno a portata di mano, ci dà la forza necessaria per combattere contro un nemico crudele ed eterno. Non stiamo andando in una terra straniera; [stiamo ritornando] verso le sabbie dorate della nostra Gaza. Non c’è un “giorno dopo” – il giorno dopo è oggi, è ogni giorno in cui il popolo ebraico è vittorioso e torna a stabilirsi a Gaza”.
A questo scopo, una mappa gigante di Gaza [è stata proiettata] sulla parete della sala della conferenza. [In essa] vi erano segnate le posizioni degli ipotetici nuovi insediamenti – che vanno da Rafah a sud a Beit Hanoun a nord. Ad ogni insediamento corrispondeva uno stand in cui ci si poteva registrare come coloni interessati. Lo stand relativo alla città di Gaza suggeriva persino dei nuovi nomi per tutti i quartieri della città: “Zeitoun” diventerà “Shivat Zion”; Shuja’iya diventerà “Gibor Oz”.
Gli accordi di Oslo sono morti – Am Yisrael Chai
Gli organizzatori della conferenza, a quanto pare, non erano particolarmente preoccupati del fatto che la loro posizione sull’espulsione e l’insediamento contraddice completamente la linea ufficiale dello Stato – com’è stata presentata a L’Aia. Uno dei video proiettati alla conferenza era l’infame filmato dei soldati che aspettavano di unirsi all’invasione di terra di Israele nella Striscia, cantando “non ci sono innocenti a Gaza” – video che il Sudafrica aveva portato davanti alla CIG come prova dell’intento genocida [israeliano]. L’idea di “trasferire” la popolazione palestinese di Gaza è stata menzionata in quasi tutti i discorsi.
Quando Ben Gvir si è alzato per parlare, alcuni giovani spettatori hanno esposto uno striscione con la scritta “Solo il trasferimento porterà la pace”. Ben Gvir ha risposto loro: “Sì, e inoltre [ci deve essere] una soluzione morale, logica, biblica e halakhica [legge religiosa ebraica], incoraggiando la migrazione e attuando la pena di morte per i terroristi… per incoraggiarli ad andarsene.”
Il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi è stato più diretto: “Non ci sarà mai uno Stato palestinese tra il fiume e il mare… Abbiamo l’obbligo di agire, per il nostro bene e per il bene dei presunti non coinvolti [- i civili di Gaza -], per una migrazione volontaria. Anche se la guerra che ci è stata imposta trasforma la questione della migrazione volontaria in una coercizione. Al punto che essi [dovranno] dire: “Voglio [andarmene]””.
A differenza dei politici, che sono stati almeno un po’ cauti nella scelta delle parole, altri oratori sono stati molto più schietti. Il rabbino Uzi Sharbaf è uno dei leader del movimento per il reinsediamento di Gaza. Capo del gruppo di coloni “Harchivi Makom Aholech”, che si occupa di rilevare le proprietà palestinesi a Hebron, era stato condannato, insieme alla “Jewish Underground”, all’ergastolo per gli attacchi terroristici negli anni ’80; venne rilasciato dopo sette anni di carcere.
All’inizio della conferenza ha dichiarato: “Dobbiamo riflettere su come tanti ebrei siano stati brutalmente uccisi in poche ore [il 7 Ottobre]. È solo un problema di sicurezza? Molti dicono, a ragione, che la visione del mondo deve cambiare dopo il massacro. Ma non è solo l’approccio che deve cambiare; dobbiamo salire di livello, di piano, come nazione, come Stato. Smettiamo di parlare di porzioni della Terra d’Israele. Cosa sono le [aree] A, B e C? Cos’è il nord della Striscia di [Gaza]? L’intera Striscia, l’intera terra, è parte della Terra d’Israele”.
Il capo del Consiglio regionale di Samaria, Yossi Dagan, è stato uno dei numerosi oratori che hanno tracciato un collegamento tra il “disimpegno” del 2005 – in cui Israele ha smantellato tutti i suoi insediamenti nella Striscia di Gaza, insieme ad una manciata di piccoli insediamenti nel nord della Cisgiordania – e il massacro compiuto da Hamas.
“Dopo il 7 Ottobre, è chiaro a tutti che dove ci sono insediamenti c’è sicurezza, e dove non ci sono insediamenti c’è terrore”, ha detto Dagan. “Il popolo ebraico… è in un raro [stato di] unità in questa guerra per la sua vita, per l’esistenza dello Stato di Israele. Dobbiamo dirlo forte e chiaro. Oslo e l’espulsione [avvenuta col] disimpegno hanno portato questo Olocausto su di noi. Io dico, e ripetete dopo di me: “Gli accordi di Oslo sono morti – Am Yisrael Chai [il popolo di Israele vive]””. Il pubblico ha risposto con un boato alle sue parole.
Il capo del Consiglio di Kiryat Arba, Eliyahu Liebman, il cui figlio Elyakim è stato rapito a Gaza mentre era di guardia al festival musicale Nova, ha dichiarato che gli ostaggi sono stati presi per consentire il ritorno a Gaza [degli israeliani]: “Questa sera ricordiamo… tutti gli eroi che sono caduti, sono stati feriti, sono stati rapiti…. in modo che noi, se Dio vuole, torneremo rapidamente a sistemare Gush Katif e lo Shomron settentrionale”.
Liebman, apparentemente ignaro dei dettagli del procedimento a L’Aia, ha invocato il mandato biblico di sradicare i nemici degli israeliti. “La parashah [porzione della Torah] che leggiamo questo Shabbat termina con: “Cancellerò la memoria di Amalek dalla terra”. Noi, in questa generazione, stiamo combattendo Amalek”.
Dopo le deliberazioni della CIG, per Israele sarà difficile sostenere che le idee espresse alla conferenza non rappresentano la sua politica ufficiale. Nell’opuscolo distribuito al pubblico, il messaggio era ancora più chiaro rispetto ai discorsi fatti. Sulla questione di come Israele dovrebbe trattare la popolazione palestinese di Gaza, l’avvocato Aviad Visoli – un importante attivista del Movimento del Tempio – ha scritto: “La Nakba 2, cioè l’espulsione di massa degli arabi di Gaza, è giustificata anche dalle leggi di guerra”.
Il piano di reinsediamento a Gaza può sembrare inverosimile ed è vero che Netanyahu e l’establishment della sicurezza possono rappresentare un ostacolo, soprattutto in presenza di un maggiore controllo internazionale. Ma è importante ricordare che nel frattempo l’espulsione dei palestinesi e l’insediamento degli ebrei al loro posto, sta procedendo alla velocità della luce in Cisgiordania – dove, dal 7 Ottobre, almeno 16 comunità palestinesi sono state espulse dai coloni con il pieno appoggio dell’esercito.
Fuori dalla conferenza, vicino alla stazione centrale degli autobus, qualcuno ha dipinto con lo spray lo slogan del movimento: “Ritorno a Gaza”. La gioia della conferenza si fondava nella convinzione che questo ritorno garantirà la sicurezza del popolo ebraico e dello Stato di Israele. Ma qualcun altro ha visto i graffiti e ha inserito il proprio messaggio, meno ottimistico: “Ritornare a morire a Gaza”.
Nota
1Questa frase è stata tradotta dall’articolo originale scritto in lingua ebraica.