Traduzione dall’originale: “Ecuador. Los orígenes de la actual violencia que se abate sobre el país”
Nota Introduttiva
Il seguente articolo è stato scritto da Luis Córdova-Alarcón, laureato in Scienze Politiche e direttore del progetto “Orden, conflicto y violencia” presso l’Universidad Central del Ecuador. L’analisi posta da Córdova-Alarcón riporta le problematiche politiche istituzionali e denuncia la connivenza delle organizzazioni criminali con gli apparati dello Stato ecuadoregno. Quello che contestiamo di questo articolo sono, in sintesi, due macro-aspetti:
-Primo aspetto: la polizia e più in generale la sicurezza voluta dallo Stato. Come dispositivo di controllo, la polizia, in teoria e secondo la vulgata massmediatica, dovrebbe proteggere da un paventato “nemico” che si trova all’interno dei confini delimitati. Nella realtà agisce attraverso azioni mortifiere, scendendo, in tempi di crisi o di ristrutturazione capitalista, a compromessi (informali o meno) con le organizzazioni definite criminali (in modo da poter ottimizzare il controllo della società);
-Secondo aspetto: il capitalismo e le organizzazioni criminali. Da quando le organizzazioni cosiddette criminali sono diventate un pericolo per l’istituzione statale e buona parte delle associazioni economiche, si cerca a più riprese di denunciare un tipo di capitalismo “criminale,” “illegale”, “malato” e “iniquo”, rafforzando al contempo quello “legale”, “sano” e “pluralista”. Queste differenziazioni, che possono trovare ampio spazio nei nuovi e vecchi media, nelle aule universitarie e scolastiche e nei Convegni e Congressi sponsorizzati dalle istituzioni finanziarie e statali, sono buone per difendere un modello economico responsabile di un finto benessere e progresso alla cui base vige il più bieco sfruttamento, la morte e la distruzione di interi ecosistemi. Nel caso del capitalismo e delle organizzazioni criminali troviamo un connubio specifico che supera qualsiasi morale o costruzione artificiosa delle istituzioni statali e culturali dominanti. Inoltre, questo connubio è fondamentale per le speculazioni finanziarie o far aumentare e scendere il prezzo di determinati beni. Come strutture di potere, le istituzioni statali e tutti i suoi apparati repressivi e difensivi saranno conniventi (non proni, in quanto hanno una forza economica e militare-armata superiore alle cosiddette organizzazioni criminali) e desiderosi di dividere i profitti ottenuti dalla vendita dei beni (definiti legali o illegali).
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La presa in diretta di un’emittente televisiva da parte di [alcuni] gruppi criminali è stata solo la versione spettacolare della spirale violenta in cui è precipitato l’Ecuador. Come si è arrivati a questa situazione e quali sono le prospettive di risposta del nuovo presidente Daniel Noboa?
L’Ecuador è di nuovo sulle prime pagine dei giornali internazionali. E ancora una volta nel peggiore dei modi. Nell’Agosto 2023, il movente è stato l’assassinio del candidato alla presidenza Fernando Villavicencio Valencia; adesso, invece, vi sono una sequenza di atti criminali con tattiche terroristiche – compreso l’assalto armato ad una stazione televisiva nella città di Guayaquil. La giornata che ha mandato il Paese in stato di shock si è conclusa con la dichiarazione di “conflitto armato interno” da parte del Presidente della Repubblica, Daniel Noboa, e l’identificazione di 22 organizzazioni criminali come “terroriste”. Ma come è arrivato l’Ecuador a questa situazione critica e quali sono le possibili derive?
Il 2023 è stato l’anno più violento nella storia del Paese: 7.878 crimini, di cui solo 584 sono stati risolti dalla giustizia (borghese, ndt). Con un tasso di omicidi che ha raggiunto l’agghiacciante cifra di 46 morti ogni 100.000 abitanti, l’Ecuador è diventato il Paese più violento dell’America Latina. Di fronte ad una situazione così critica ci si aspettava che il governo entrante – il cui mandato è iniziato il 23 Novembre 2023 -, arrivasse con un piano sotto braccio. Ma così non è stato. Sebbene Noboa avesse promesso, in campagna elettorale, l’attuazione di un “Piano Fénix” per garantire la sicurezza, da quando è entrato in carica non ha spiegato come e quando lo realizzerà.
Sopraffatto dalle circostanze, Noboa ha optato per un comportamento evasivo. Dopo la vittoria elettorale, ha deciso di assentarsi dalla scena pubblica e girare l’Europa con la sua famiglia, permettendo così che tutti i riflettori rimanessero puntati su Guillermo Lasso e la sua campagna propagandistica di uscita.
Guardando in prospettiva, Noboa, un trentaseienne senza precedenti esperienze gestionali, aveva bisogno di guadagnare tempo per risolvere tre questioni urgenti: raccogliere fondi per coprire il deficit fiscale, formare il suo gabinetto e mettere a punto la sua politica di sicurezza. A posteriori, però, non ha fatto nulla di tutto ciò. Basta guardare il suo discorso inaugurale, pronunciato senza proposte, senza un gabinetto completo e senza un orizzonte in materia di sicurezza. Sette minuti sono stati sufficienti per confermare come un politico inesperto – figlio di un uomo d’affari che ha tentato più volte di diventare presidente senza successo – stava iniziando a governare un Paese divenuto il più violento della regione.
Noboa ha nominato Mónica Palencia, il suo avvocato personale, come Ministra del Governo. Poi ha nominato Giancarlo Loffredo come ministro della Difesa – un cittadino le cui uniche credenziali sono: istruttore di autodifesa e tiktoker. Per dirigere il “Sistema Nazionale di Attenzione Integrale verso gli Adulti Privati della Libertà e gli Adolescenti Trasgressori” (Sistema Nacional de Atención Integral a Personas Adultas Privadas de Libertad y a Adolescentes Infractores (SNAI)), l’organismo incaricato di gestire il sistema carcerario, ha scelto un generale dell’esercito in pensione e per 11 governatorati ha nominato poliziotti e militari in servizio passivo.
Per le due posizioni securitarie altamente sensibili ha scelto due amici imprenditori: ad Arturo Félix Wong, già Segretario dell’Amministrazione, è stato affidato la Segreteria Nazionale di Sicurezza Pubblica e di Stato, mentre Miguel Sensi Contugi è stato nominato come direttore del Centro di Intelligence Strategica dello Stato (Centro de Inteligencia Estratégica del Estado (CIES)). Ma lo ha fatto solo il 2 Gennaio, 41 giorni dopo il suo insediamento. Insomma, il giovane magnate è arrivato alla Presidenza della Repubblica senza un piano di sicurezza e/o dei quadri per attuarlo. La sua unica ambizione è vincere a tutti i costi la rielezione nel 2025. Il suo mandato è breve in quanto è stato eletto per completare l’incarico del presidente uscente Lasso – il quale aveva decretato la “muerte incruzada” per evitare l’impeachment.
Il ruolo del leader dei Choneros
Nonostante queste difficoltà nell’integrare persone nell’apparato securitario, Noboa riteneva di aver superato la tempesta per due motivi: innanzitutto, prima di entrare in carica aveva messo insieme una coalizione legislativa con il Partido Social Cristiano e Revolución Ciudadana (il movimento dell’ex presidente Rafael Correa). In cambio della cessione del controllo dell’Assemblea Nazionale a questi due partiti, comprese le principali commissioni legislative, il presidente era riuscito a far approvare, alla velocità della luce, il suo primo progetto legislativo economico urgente. In secondo luogo, nelle prime ore del 14 Dicembre, il procuratore generale dello Stato, Diana Salazar, aveva condotto un’operazione chiamata “Metástasis” – dove erano state arrestate più di 30 persone, accusate di traffico di droga e di far parte di una rete criminale organizzata. Tra gli arrestati c’erano un giudice che era presidente del Consiglio giudiziario e un generale della Polizia nazionale – il quale era stato direttore della SNAI (responsabile delle carceri del Paese) e, dopo, capo dell’anti-narcotici (responsabile delle operazioni antidroga e principale collegamento con l’ambasciata statunitense). Questo “narco-generale”, come lo ha definito il procuratore Salazar, ricopriva entrambe le cariche durante il governo Lasso.
È in questo contesto che è fuggito José Adolfo Macías, alias Fito, il leader dei Choneros e, probabilmente, il criminale più famoso del Paese. Detenuto dal 2009 per l’omicidio del direttore del penitenziario del Litoral (il carcere più violento dell’Ecuador), era evaso nel 2013, quando stava per essere trasferito a La Roca, un carcere di massima sicurezza inaugurato dall’ex presidente Correa, ed era stato ricatturato mesi dopo.
Il suo nome era diventato rilevante dopo la morte di Jorge Luis Zambrano, alias JL o Rasquiña, nel Dicembre 2020. Fito era diventato il leader dei Choneros; ma l’organizzazione si era frammentata e iniziarono i massacri in carcere. Dal Febbraio 2021 al Luglio 2023, Fito e i Choneros erano diventati i protagonisti dell’ondata di violenza che aveva iniziato a travogere il Paese.
Il 12 Agosto 2023, per distogliere l’attenzione dall’assassinio del candidato alla presidenza Fernando Villavicencio, avvenuto tre giorni prima, il governo Lasso aveva deciso di trasferirlo nuovamente a La Roca. Ma grazie ad un ordine del tribunale, Fito era tornato dieci giorni dopo alla prigione regionale di Guayaquil. Questi, intanto, aveva pubblicato un videoclip con un narco-corrido (ballata sulla droga, ndt) composto in suo onore. Ancora una volta Fito mostrava al Paese la sua forza dal carcere. Per questo motivo, quando la notizia della sua evasione era stata resa pubblica – il 6 Gennaio 2024 – il governo era rimasto nudo davanti ad una nazione stupefatta. Nessuna autorità aveva osato riconoscere l’evasione dell’astuto criminale, mentre più di 3.500 soldati erano entrati nelle carceri di Guayaquil per mostrare alle telecamere che lo Stato stava “riprendendo il controllo” delle prigioni.
Il ciclo di violenza criminale, l’incompetenza dello Stato e la militarizzazione erano state riattivate. Dall’inizio del 2024, in diverse carceri del paese, erano scoppiate delle nuove rivolte. La richiesta [dei rivoltosi] era il non trasferimento dei loro leader in altre carceri. Sui social network era stato diffuso un video che minacciava la guerra qualora le loro richieste non fossero state accettate.
Stato di emergenza e guerra interna
Il presidente, presosi di coraggio, aveva decretato per lunedì 8 Gennaio 2024 lo Stato di Emergenza su tutto il territorio nazionale. Nella notte si era scatenato il caos: auto incendiate per le strade, sequestri di guide carcerarie, incendi dolosi dentro e fuori le prigioni. Con la luce del giorno, lo spettacolo criminale era diventato più visibile e, allo stesso tempo, era stata messa a nudo l’incompetenza dello Stato: Fabricio Colón Pico, uno dei capi dei Lobos, era evaso, insieme a decine di altre persone, dal carcere di Riobamba. Colón Pico era stato catturato 48 ore prima della sua fuga – dopo che il procuratore generale dello Stato lo aveva accusato di aver ucciso Villavicencio e di aver organizzato un attentato nei suoi confronti. Tutto questo è avvenuto durante lo Stato di emergenza. Martedì, 9 Gennaio, durante il telegiornale di mezzogiorno, TC Televisión aveva subito un’aggressione criminale – trasmessa dal vivo e in diretta e di fronte a uno shock generalizzato (con la sua équipe giornalistica sottomessa e molestata da criminali armati). Come accaduto per l’omicidio di Villavicencio, le immagini di questo evento hanno fatto il giro del mondo. Nel pomeriggio, il governo aveva emesso un altro decreto esecutivo dove si dichiarava il “conflitto armato interno” e 22 gruppi criminali erano considerati un “obiettivo militare”. Così Noboa aveva iniziato a percepire il calore cocente dell’inferno omicida in cui si stava trasformando questo Paese andino.
La strada verso la violenza
Per cercare di capire cosa sta succedendo, propongo di differenziare analiticamente tre variabili dipendenti: la violenza letale (la sua frequenza e visibilità), le economie illecite (tra cui spicca il traffico di droga) e i gruppi della criminalità organizzata (bande carcerarie, bande di strada e strutture mafiose radicate nello Stato che operano anche nell’economia formale). Per spiegare la loro interazione, utilizzerò come prova degli articoli di giornale e giudiziari. Anni fa, Richard Snyder e Angélica Durán Martínez si interrogarono sulla relazione tra mercati illeciti e violenza. Sostenevano che quando si configurano le reti di protezione estorsive – sponsorizzate dallo Stato -, i livelli di violenza letale nei mercati illeciti sono bassi. Quando queste reti si rompono, invece, la violenza letale sale alle stelle.
È successo in Ecuador? Le prove suggeriscono di sì. Riportiamo alcuni fatti: il 6 Giugno 2016, a Washington DC, la Drug Enforcement Administration (DEA) statunitense decorò il ministro degli Interni dell’allora presidente Correa, José Serrano, per gli “straordinari risultati” ottenuti dalla politica anti-narcotici dell’Ecuador. Il comunicato ufficiale parlava di 332 tonnellate metriche di droga sequestrate dal 2010 e di 305 bande di narcotrafficanti smantellate. La propaganda governativa non si è risparmiata nel celebrare l’evento.
Dieci mesi dopo, nell’Aprile 2017, la polizia colombiana catturò Washington Prado Álava, alias Gerald, conosciuto nel Paese vicino come il “Pablo Escobar ecuadoriano”. La sua storia divenne successivamente pubblica. Gerald aveva iniziato come conducente di barche per la banda dei Rastrojos nel 2004. Nel 2010, la maggior parte dei capibanda era stata catturata e Gerald aveva preso il controllo delle rotte marittime da Manabí e Esmeraldas. Si alleò con i Choneros e riuscì a trafficare più di 250 tonnellate di droga tra il 2013 e il 2017 dalla costa ecuadoriana fino gli Stati Uniti – attraverso un sofisticato sistema di trasbordo marittimo.
In altre parole: nello stesso periodo in cui il governo Correa e il vicepresidente Jorge Glas Espinel avevano ottenuto i “migliori risultati” nella lotta al narcotraffico – secondo la DEA -, anche l’organizzazione criminale dei Choneros era riuscita ad espandersi e a consolidarsi fino a diventare la più grande organizzazione narcotrafficante ecuadoriana. Sia il governo che la criminalità organizzata ne uscirono vincitori.
Uno dei migliori studiosi del problema carcerario in Ecuador, l’antropologo Jorge Núñez, sostiene la stessa tesi. Secondo la sua ricerca, i Choneros si sono rafforzati all’interno delle carceri perché l’intelligence della polizia aveva scambiato informazioni in cambio di prebende con i membri della banda. L’Unità di intelligence carceraria, creata nel 2014, è diventata un elemento chiave dell’intelligence antinarcotici della Polizia nazionale. Reclutavano i leader delle organizzazioni criminali come informatori e Fito era uno di loro.
Ciò non toglie che durante il governo Correa siano state attuate anche politiche di sicurezza per i cittadini – dove venivano combinate strategie punitive con misure di prevenzione sociale atte a ridurre la violenza. Ma l’aumento o la diminuzione della frequenza o della visibilità della violenza letale non coincide con l’espansione o la contrazione delle economie illecite redditizie (come il traffico di droga). L’evoluzione del tasso di omicidi in Ecuador mostra un’eccezionale diminuzione tra il 2009 e il 2016, passando, rispettivamente, da 18,7 a 5,8 morti ogni 100.000 abitanti. Ma dal 2019 la tendenza si è invertita. Pertanto, tra il 2017 e il 2018 c’è un punto di rottura che richiede una spiegazione: cosa è successo in quel periodo? Seguendo la tesi di Snyder e Durán Martínez, la rete di protezione estorsiva sponsorizzata dallo Stato è crollata ed è esplosa la violenza criminale.
Zone grigie
La Revolución Ciudadana trionfa ancora una volta con Lenín Moreno e Jorge Glas Espinel. Nel Gennaio 2017 inizia il loro mandato. A metà anno Moreno rompe con il correismo e a Novembre inizia l’azione penale contro l’ex vicepresidente Glas, accusato di associazione illecita nel “caso Odebrecht”. Nel Dicembre dello stesso anno viene condannato a sei anni di carcere (in seguito riceverà altre due condanne per reati più gravi; ma nel 2022 riacquisterà la libertà grazie ad un’operazione giudiziaria finanziata dal narcotrafficante Leandro Norero). Nel Gennaio 2018, con Glas in carcere, si scatena una violenza criminale senza precedenti nel Paese.
Walter Arizala, alias Guacho, leader del “Frente Oliver Sinisterra”, un gruppo residuale delle “Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia” (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC)) che opera al confine settentrionale dell’Ecuador, aveva piazzato un’autobomba nella caserma della polizia di San Lorenzo (provincia di Esmeraldas) il 27 Gennaio 2018. Due mesi dopo, le fonti ufficiali colombiane avevano informato l’Ecuador che lo stesso gruppo criminale aveva sequestrato una squadra di giornalisti del quotidiano “El Comercio”. Nell’assoluta ottusità del governo ecuadoriano, i tre giornalisti erano stati assassinati.
Fino ad allora, questi eventi erano incomprensibili per la società – che li guardava con stupore. Tuttavia, nell’Ottobre 2018, la polizia e la Procura avevano portato a termine l’operazione Camaleón, nell’ambito della quale avevano effettuato sette incursioni in quattro province, tra cui gli uffici del Comando dell’esercito ecuadoriano. In questo modo era stata smantellata una rete di civili e militari in servizio attivo che trafficavano armi, munizioni ed esplosivi con i gruppi criminali della frontiera settentrionale: uno di questi era il Frente Oliver Sinisterra.
Con questi atti di terrore, l’organizzazione di Guacho pretendeva dalle sue controparti statali il rispetto degli impegni presi – cosa che non potevano più fare impunemente da quando Glas e molti dei suoi scagnozzi avevano perso il potere politico. È ormai noto, ad esempio, che Rasquiña (il leader storico dei Choneros) e Glas condividessero lo stesso avvocato: Harrison Salcedo, assassinato nell’Aprile 2021 da un sicario.
Il nesso crimine-Stato nel contesto latinoamericano è stato ben studiato da Alejandro Trejo e Sandra Ley. Questi politologi ri-concettualizzano tale relazione con la definizione di “zona grigia della criminalità”: un’area che nasce dall’intersezione di due insiemi, i criminali e gli agenti statali.
I due politologi sostengono che quando un regime politico diventa autoritario, questa zona grigia della criminalità cresce e si consolida per garantire la stabilità del regime.
Durante il governo Correa-Glas (2013-2017) questa “zona grigia della criminalità” si espande. Il libro di Juan Carlos Calderón, “Después olvidarán nuestros nombres”, mostra fino a che punto l’apparato di sicurezza sia stato strumentalizzato per fini criminali. E durante i governi Moreno e Lasso non viene fatto nulla per mitigare questa situazione. Cambiano i nomi dei funzionari e dei criminali coinvolti, ma non le regole informali di questi patti mafiosi, lubrificati dal denaro sporco del narcotraffico.
Un esempio concreto è l’industria criminale delle “narco-banane”. La rivista digitale Plan V ha documentato il caso narcobanano più emblematico nel Dicembre 2019. È legato a Arbër Çekaj, un albanese che esporta banane dall’Ecuador e dalla Colombia in Europa. Nonostante sia stato accusato nel 2015 di aver messo la cocaina tra le casse di banane, Cekaj ha continuato ad esportare la frutta fino al 2018 – attraverso la stessa rotta dall’Ecuador. Nell’articolo citato si legge che “Çekaj ha registrato la società Arbri Garden nel Maggio 2012 e ha subito iniziato a spedire banane dall’Ecuador all’Albania. Secondo i registri esportativi di Arbri Garden, l’albanese ha portato le banane nel suo Paese attraverso 18 società ecuadoriane esportatrici di questo frutto”. Aggiunge che l’albanese “era un uomo di basso profilo fino al 28 Febbraio 2018. Quel giorno, la polizia albanese ha emesso un mandato di arresto per Çekaj dopo che erano stati trovati 613 chili di cocaina in una delle sue spedizioni.”
Il 31 Marzo 2022, il portale online “La Posta” ha pubblicato un video che lo ritrae mentre negozia il posto di viceministro dell’Agricoltura per 2.800.000 dollari. Il 21 Luglio 2022, la polizia ha fatto irruzione in quattro province per arrestare otto membri di una rete criminale dedita alla vendita di posizioni in enti pubblici come il Servizio doganale nazionale dell’Ecuador (Servicio Nacional de Aduanas del Ecuador (Senae)). Una delle case perquisite era quella del politico Juan José Pons, che era consigliere ad honorem di Lasso alla Presidenza della Repubblica. Il comunicato della Procura Generale affermava che erano stati offerti quasi tre milioni di dollari per la Sottodirezione delle Operazioni Doganali. Tale importo doveva essere finanziato dagli esportatori in cambio di favori futuri, concludeva la Procura. La principale industria esportatrice dell’Ecuador era stata così soggiogata dai tentacoli della criminalità organizzata. Questo è un altro fattore che alimenta la spirale degli omicidi, e nessun governo è stato in grado di affrontarlo efficacemente. Ancor meno quello di Noboa, la cui famiglia esporta la maggior parte delle banane ecuadoriane.
Ripensare il modello
Andreas Feldmann e Juan Pablo Luna hanno recentemente colto nel segno suggerendo l’importanza di ripensare il rapporto tra istituzioni e modello di sviluppo nei Paesi dell’America Latina – in quanto i periodi di crescita economica possono mascherare una “trappola dello sviluppo dell’economia illecita”, come è accaduto nel caso ecuadoriano. Come si può notare, né lo smantellamento istituzionale del settore della sicurezza, né le politiche di aggiustamento fiscale spiegano completamente l’ondata di violenza omicida che sta consumando il Paese. La violenza letale e la grave criminalità che sta travolgendo l’Ecuador sono un fenomeno sociale complesso, dinamico ed entropico, che richiede più ricerca empirica e distacco ideologico.
La dichiarazione del Presidente Noboa sul “conflitto armato interno” si inserisce [all’interno della] strategia preparata dal Pentagono – precisamente da quando Lasso aveva proposto alla Casa Bianca la necessità di un “Plan Ecuador” (8 Giugno 2022). Nel Dicembre dello stesso anno, il Congresso degli Stati Uniti aveva approvato l’ “Ecuador-US Partnership Act”: entro 180 giorni il Dipartimento di Stato doveva elaborare una strategia di intervento per il Paese sudamericano. In questo quadro, a metà del 2023, è stato istituito un “Gruppo di lavoro bilaterale di difesa tra i due Paesi” – che ha portato ad un investimento di oltre 3,1 miliardi di dollari nel rafforzare le Forze armate ecuadoriane. L’accordo verrà attuato nell’arco di sette anni, fino al 2030. Infine, nell’Ottobre 2023, il ministro degli Esteri ecuadoriano e l’ambasciatore statunitense hanno firmato l’Accordo relativo allo Status delle Forze. [L’Accordo] stabilisce i privilegi, le sovvenzioni e le condizioni che il personale del Dipartimento della Difesa e i suoi appaltatori stranieri avranno nel territorio ecuadoriano.
Così l’ultimo ciclo di violenza criminale ha aperto una finestra di opportunità per l’alto comando delle Forze armate e l’ambasciata statunitense – le quali [potranno] modificare lo scenario strategico a loro favore. Con la dichiarazione di “conflitto armato interno”, le Forze Armate assumono la guida dello Stato, controllando la Polizia Nazionale e chiudendo la porta [ad eventuali] domande riguardanti l’infiltrazione del crimine organizzato. L’11 Gennaio, la Corte Costituzionale ha approvato l’accordo, mentre il Dipartimento di Stato ha annunciato l’arrivo di una delegazione di alto livello a Quito che ne coordinerà l’attuazione.
In queste circostanze la dichiarazione di “conflitto armato interno” sta avendo l’effetto desiderato dalle élite economiche e dalla destra neoliberista, ancorando la governabilità ad una totale liberalizzazione dell’economia e progressiva militarizzazione della società.
Se questi piani avranno effetto, Noboa potrebbe diventare una sorta di “Bukele sudamericano” e prolungherà il suo mandato a piacimento. Per ora, [Noboa] ha offerto due prigioni in stile salvadoregno e intende imporsi con il sangue e il fuoco – applaudito da una società spaventata dalla “minaccia terroristica”. Ma con le forze di sicurezza contaminate dalla criminalità organizzata, rimane solo una certezza: alla violenza criminale seguirà la violenza politica. E l’Ecuador non uscirà dalla spirale di violenza che lo affligge.