Sicilia: Caccia al nero

 

Da un mese a questa parte a Paternò, in provincia di Catania, si assiste ad una violenza repressiva nei confronti dei lavoratori migranti. Come si evince da varie testate locali (Corriere Etneo, Ciak TeleSud e VideoStar), queste persone lavorano o, per meglio dire, vengono letteralmente sfruttate in modo inumano dai vari padroni dei terreni agrumicoli locali e gestite dai capochiumma. (caporali)

Nel periodo della raccolta delle arance (Novembre-Marzo), arrivano in quella parte della provincia catanese numerosi migranti che, spesso, non hanno i documenti in regola e a causa di questo, della misera paga percepita per le prestazioni lavorative (15-20 euro al giorno come media) e, soprattutto, di un razzismo strisciante presente nell’entroterra siciliano – alimentato e sostenuto dai mass media e mondo politico -, non si possono permettere l’affitto di uno stabile.

La logica conseguenza di questo stato di cose è che questi occupano degli edifici abbandonati o, alla peggio, costruiscono delle baracche con materiale reperito nelle innumerevoli discariche (piccole e grandi) abusive.

Questa serie di cose accade, al momento, nel centro abitato paternese e in special modo nella zona periferica di “Ciappe Bianche” del suddetto paese – considerata, quest’ultima, per decenni come la discarica di rifiuti solidi e divenuta, negli ultimi anni, un “alloggio” per centinaia di migranti.

La presenza dei migranti ai margini del paese e le violenze commesse – con tanto di omicidio come accaduto qualche mese fa – all’interno di questa comunità provvisoria e improvvisata, ha fornito il pretesto (l’ennesimo, aggiungiamo) all’attuale giunta di centrodestra guidata da Nino Naso nel sciorinare sicurezza e decoro, aumentando sensibilmente la paura verso il diverso tra la popolazione italiana locale.

L’ordinanza firmata dal sindaco il 27 Febbraio sulla questione “Ciappe Bianche” fa il paio allo sprono del Prefetto Librizzi nel dare una sistemazione locale e temporanea, in sinergia con quelle associazioni dedite all’assistenza (come la Croce Rossa).

La soluzione trovata è stata il trasferimento o deportazione in un’altra zona periferica del territorio comunale: Contrada “Currone”. A differenza di “Ciappe Bianche”, che dista nemmeno mezzo chilometro dall’abitato di Paternò, Currone è un posto completamente isolato, in mezzo alla “sciara”e alla campagna etnea e dista tra i 3 e i 5 chilometri circa (solo andata)  dai paesi più vicini (Santa Maria di Licodia, Paternò, Ragalna e Belpasso).

La scelta, in ogni caso, è stata una mossa che ha soddisfatto i partiti politici di maggioranza e minoranza, i proprietari terrieri e le varie associazioni di estrazione clericale-cristiana.

Ma la voce di chi viene escluso e sfruttato, invece, non è stata tenuta in considerazione.

L’esclusione razziale locale

Le amministrazioni politiche paternesi non sono nuove a questo strisciante odio di razza.

Andando a ritroso nel tempo, per la precisione tra gli anni ‘80 e ‘90, a Paternò, vicino alle “Salinelle” – chiamata in tal modo per la presenza di fanghi d’argilla e collegati ad un fenomeno vulcanico secondario -, vi era il cosiddetto campo nomadi dove alloggiavano le persone romaní. Per le giunte comunali paternesi, prima democristiane e, successivamente, di centro-sinistra e centro-destra, la questione era spinosa sotto una serie di aspetti: la vicinanza di questo campo – considerato una “discarica umana e di rifiuti solidi” – al centro abitato e la sicurezza messa a dura prova dagli atti criminali commessi da alcune di queste persone romaní – ingigantiti dalla stampa locale e dai pettegolezzi del paese. Uscendo dalle logiche securitarie e di decoro ante litteram, il punto vero e proprio era lo stigma presente nel mondo politico e mediatico locale dei tempi nei confronti di queste persone dipinte come rapitori di bambini, criminali nati e via dicendo.

Tra il 2000 e il 2004 questo campo era stato abbandonato progressivamente dai suoi abitanti in quanto non volevano essere ulteriormente ghettizzati dal Comune.1 Il problema dei romaní era stato risolto a livello locale. Ma tutte le storie e le maldicenze costruite contro di loro sono ancor oggi rimaste impresse a livello locale: ne sono una dimostrazione la periodica canea mediatica e le ordinanze politiche formato anti-bivaccamento quando, temporaneamente, si installano alcune famiglie romaní in Largo Giorgio Almirante, vicino allo Stadio “Falcone e Borsellino” e a pochi passi dalle “Salinelle”.

Con l’abbandono dei romaní, quindi, questo astio verso il diverso si è rivolto nell’ultimo quarto di secolo verso le persone migranti di origine europee (rumeni in particolare) e non europee e non bianche (nordafricani e qualcuno dell’Africa Occidentale). Nel corso degli ultimi dieci anni, però, questa situazione è cambiata. Nel caso dei rumeni si è avuto un cambio di percezione economico-politica locale in quanto sono europei, bianchi e, soprattutto, fautori di una crescita agro-immobiliarista-capitalista in un territorio disastrato da decenni di malgoverni politici-borghesi comunali. Ma per quanto riguarda le persone non bianche e non europee, la questione è stata diametralmente opposta: complice una propaganda politica e mediatica nazionale, esse vengono tuttora ritratte come nemici e delinquenti a prescindere da ciò che fanno e / o come vivono.

Per capire al meglio la questione retorica-politica costruita in questo comune etneo, val la pena citare le parole di Nino Naso alla sua prima sindacatura di Paternò riguardo la costituzione di una struttura di accoglienza per migranti:

Ho detto a muso duro che Paternò non è pronta ad accogliere i migranti. Siamo contro un eventuale arrivo e pronti a fare le barricate. Due giorni fa sono stato contattato da un funzionario prefettizio che mi avvisava del fatto che stavano effettuando un sopralluogo all’interno di una struttura privata a tre piani, in via Delle Gemme nel quartiere Trappettazzo, per verificare se fosse in grado di ospitare una cinquantina di migranti. Ho chiaramente espresso le mie perplessità: la città non sarebbe in grado di gestire questa accoglienza vista la presenza nel nostro territorio di micro e macro criminalità.”(Settembre 2017)

L’hate speech di Naso – denunciato dal report mensile dell’Agenzia UE per i diritti fondamentali -, simboleggia in tutto e per tutto le pratiche delle precedenti amministrazioni paternesi che, tramite l’intervento delle forze dell’ordine e le demonizzazioni retoriche, si sono prodigate nello sgomberare, cacciare e murare, quanto più possibile, i luoghi occupati dalle persone non europee e non bianche quali il Velodromo-Stadio Salinelle di contrada Fonte Maimonide, l’ex Albergo Sicilia di via Vittorio Emanuele e la struttura che un tempo ospitava l’USL di via Mediterraneo-via Giovanni Verga.

La questione politico-economica

Un ulteriore argomento spinoso e trattato marginalmente dagli attori politici e istituzionali (comune di Paternò e Prefettura di Catania), è la questione dello sfruttamento lavorativo agrumicolo locale. Facendo una panoramica sintetica regionale, quel che accade a Paternò (o, per meglio dire, in tutti quei territori etnei e della Piana di Catania che ricadono nel consorzio “Arancia Rossa di Sicilia IGP”2) non è secondario alle situazioni di esclusione sociale ed economica di Mineo e Palagonia (Catania), Cassibile e Pachino (Siracusa), Scoglitti-Vittoria, Santa Croce Camerina, Modica, Pozzallo e Acate (Ragusa), Niscemi (Caltanissetta) e a Campobello di Mazara (Trapani). Migliaia e migliaia di persone migranti girano, ogni tot mesi, in lungo e in largo questi posti menzionati, lavorando per 12 ore a 15-20 o, al massimo, 30 euro al giorno,3 raccogliendo quintali e quintali di ortaggi, frutta e verdura che verranno immesse nel circuito mercatale regionale prima e nazionale dopo.
Nel corso degli anni numerose associazioni, sindacati di base e gruppi politici compagni hanno denunciato questo stato di cose. Ma gli amministratori locali, specie quelli paternesi, se ne avvedono dal prendere una posizione netta contro i proprietari terrieri e i capochiumma. E il motivo è abbastanza semplice: queste strutture di potere istituzionale-burocratico sono, principalmente, un’espressione della classe dominante o borghese locale (indipendentemente se siano legali o illegali-mafiose). Mordere la mano dei propri benefattori, sostenitori economici e politici e / o gruppi di persone impegnate nel raccogliere voti nelle tornate elettorali non è un’idea intelligente e furba per questi personaggi – specie se vogliono ambire a scranni parlamentari nazionali o europei. Pertanto la retorica politica e mediatica sarà che la parte economica (i proprietari terrieri) non verrà mai criticata e condannata (o, se avverrà, sarà verso una piccola parte considerata “marcia” e collusa con la mafia) e passerà come vittima delle logiche del mercato mondiale e della crisi climatica globale – in quanto, a causa della concorrenza di mercato e / o della poca pioggia caduta, i padroni saranno, a loro dire, “costretti” ad abbassare (o per meglio dire impostare) il prezzo del compenso lavorativo.

Sicché i rapporti con le associazioni di categoria borghesi e il consenso politico costruito grazie a quest’ultimi sono, per questi amministratori della cosa pubblica, sacri e inviolabili. E poco importa a questi burocrati se tutto questo passa sulla pelle di un gruppo di poveracci che devono sottostare alle logiche della morale borghese e sociale europea – dove il diversamente bianco è e sarà sempre considerato un “essere inferiore” – : l’importante è il profitto e mantenere il culo sullo scranno.

 

Note

1Da segnalare che vi fu un incendio nei primi giorni di Marzo del 2001. La notizia uscì sul giornale “La Sicilia” il 13 Marzo 2001, cinque mesi dopo l’abbandono della maggior parte delle famiglie romaní.

2Per una panoramica sulla questione del consorzio e della situazione agricola vedere l’articolo datato “Arance siciliane”, Umanità Nova del 21 Febbraio 2016.

3L’attuale compenso previsto dal “Contratto Provinciale del Lavoro (CPL) per gli operai agricoli e florovivaisti della provincia di Catania” (2020-2023) è rapportato a secondo della specializzazione: a livello giornaliero abbiamo 67 euro (minimo) – 84 euro (massimo); mensile 1338 euro (minimo) – 1674 euro (massimo). Vedi Tabelle salariali 2023.