Il diritto di Israele alla tirannia

Traduzione dell’articolo “Israel’s right to tyranny

Nel giustificare il violento disfacimento di Gaza come “[azione di] autodifesa”, le capitali occidentali hanno ancora una volta autorizzato gli israeliani ad agire come despoti.

È difficile sopravvalutare il potere simbolico dell’udienza dell’11 Gennaio presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG). In una commovente dimostrazione di solidarietà, un’eterogenea schiera di avvocati sudafricani, irlandesi e britannici ha esposto, in modo meticoloso, la prova di genocidio di Israele nella Striscia di Gaza. Le affermazioni malevoli dei funzionari israeliani, compresi ministri e generali, sono state proferite come dichiarazioni con intenti omicidi. I video di distruzione di massa, spesso registrati allegramente dai soldati israeliani – e che hanno dominato i nostri social media per mesi -, sono stati portati davanti al più alto tribunale del mondo per essere giudicati. I palestinesi sono stati a lungo amareggiati dal diritto internazionale; ma guardando l’aula quel giorno, anche il più cinico degli osservatori non poteva fare a meno di sentirsi visto, sostenuto, persino speranzoso. Nonostante la performance del Sudafrica, il destino del caso presso la CIG è tutt’altro che scontato. Nella seconda udienza del 12 Gennaio, gli avvocati israeliani hanno fornito una forte replica per cercare di respingere le accuse di genocidio [e bollarle] come ridicole. Come esempi hanno presentato il coordinamento degli aiuti umanitari da parte di Israele; le modalità dell’esercito per istruire i civili nell’evacuazione delle aree prese di mira; le immagini che mostrano l’integrazione dei militanti di Hamas nell’ambiente urbano; e, naturalmente, la ripetuta invocazione del diritto di difesa di Israele secondo il diritto internazionale.

Le argomentazioni israeliane erano prevedibili, e molte erano facili da sfatare; ma hanno comunque un peso significativo. Oltre alla propensione della Corte nell’interpretare prudentemente la legge, i giudici sono consapevoli di presiedere [uno dei casi]più politicamente divisi mai portati all’Aia – e quindi potrebbero optare per un approccio più cauto.

A questo punto, però, le imminenti decisioni della CIG sono secondarie rispetto alle lezioni che si dovrebbero trarre dal procedimento. Un punto chiave, che non è ancora stato pienamente recepito dai circoli politici occidentali, è la vacua pretesa di Israele nel “difendersi” [e giustificare] la devastazione selvaggia della Striscia assediata.

In effetti Israele, dalle sue argomentazioni orali all’Aia fino alle sue azioni sul campo, ha reso abbondantemente chiaro che non sta chiedendo alla Corte di rispettare il suo diritto all’autodifesa. Quello che vuole veramente è che il mondo assecondi il diritto di Israele alla tirannia: ridisegnare violentemente il suo ambiente geopolitico, garantire il suo dominio militare e demografico e fare tutto ciò che desideraallu palestinesi – senza critiche o conseguenze [di sorta].

Questa tirannia non si riflette solo nel crescente numero di morti a Gaza, anche se 24.000 cadaveri e 7.000 dispersi – un numero particolarmente bruciante per una piccola popolazione strettamente legata da vincoli familiari, comunitari e culturali – sono un indicatore raccapricciante. [Si rispecchia] altrettanto, e in modo terrificante, nel tessuto sociale di Gaza che si sta deliberatamente disfacendo. Fino a tre mesi fa, nonostante anni di de-sviluppo e assedio, lu palestinesi di Gaza erano rimastu relativamente autosufficienti, dotatu di risorse e sufficientemente coesu da potersi prendere cura di loro stessu come meglio potevano.1 Ora, oltre 2 milioni di persone sono in preda ad una carestia e un disastro epidemiologico generato ad una velocità senza precedenti nella storia moderna. Le scene agghiaccianti dellu palestinesi affamatu che si arrampicano sui camion degli aiuti per prendere il cibo alle loro famiglie, circondati da altrettante persone che cercano di fare lo stesso, sono uno sguardo di come Gaza sia cambiata [a causa delle azioni] di Israele – ovvero da enclave resistente a “cimitero per bambini”.

La dimensione biblica degli sfollamenti nella Striscia – che ha raggiunto quasi il triplo del numero di palestinesi espulsi durante la Nakba del 1948 – è un altro riflesso di questa forza tirannica. In modo orwelliano, le autorità israeliane hanno citato la distribuzione di volantini, messaggi di testo e altre comunicazioni come prova dei loro sforzi nel mettere i civili al riparo. Ma l’esodo è il punto: gran parte della zona settentrionale di Gaza è ora libera per Israele, la quale potrà modellarla come ritiene opportuno – dalle zone cuscinetto militari ai futuri insediamenti ebraici. Quello che gli avvocati israeliani hanno presentato alla CIG come un gesto “umanitario”, si è trasformato in un’arma di ingegneria demografica, realizzando in tre mesi ciò che Israele sta progressivamente portando avanti nella Cisgiordania occupata.

Oltre a tutto questo, la metodica decimazione di interi quartieri, ospedali, edifici governativi, scuole, siti del patrimonio culturale, reti idriche, reti elettriche e altre infrastrutture pubbliche sta ostacolando la fattibilità, e forse anche il desiderio, del futuro ritorno a Gaza di molte comunità sfollate.

I lavori titanici di sgomberare le montagne di macerie, estrarre i corpi intrappolati sotto queste ed accamparsi al freddo senza rifornimenti di base, sono solo le avvisaglie scoraggianti di una ricostruzione palestinese – un processo che nessun governo straniero sarà interessato a finanziare qualora un’altra campagna militare diventi quasi inevitabile.

Anche se riuscissero a raccogliere le risorse necessarie, lu palestinesi dovranno ricostruire le loro vite sotto lo sguardo dello stesso esercito che li ha portatu alla rovina – e lottando contro le ferite fisiche, i traumi [persistenti] e la paura paralizzante che la prossima guerra apocalittica sia dietro l’angolo.

Protezione totale

L’assalto di Hamas del 7 Ottobre, iniziato con lo smantellamento delle disprezzate mura della prigione di Gaza e terminato con l’orribile massacro di centinaia di civili israeliani nelle loro case, ha scatenato una profonda paura esistenziale tra gli ebrei israeliani. Questa paura si è manifestata in un appello quasi unanime alla vendetta e alla punizione, acclamata dalla Knesset ai media e per le strade. Ma il desiderio degli israeliani di esercitare un potere tirannico non è nato improvvisamente il 7 Ottobre. In realtà è profondamente radicato nei fondamenti ideologici e nella psiche politica dello Stato.

Come progetto nazionalista e coloniale di origine europea, il sionismo è stato concepito essenzialmente come un motore per gli ebrei nel replicare il percorso fatto dalle nazioni occidentali tra il XIX e l’inizio del XX secolo. In quel contesto, la statualità non si limitava soltanto ad incarnare l’autodeterminazione: implicava il diritto di espropriare le terre di altri popoli, privare i soggetti “inferiori” delle libertà civili e infliggere una violenza mostruosa volta a cancellare la società indesiderata e la sua cultura. (Nel caso di Israele, la costruzione dello Stato è stato agevolato in misura non trascurabile dall’apparato draconiano lasciato dai suoi predecessori britannici in Palestina).

Il permesso di perseguire un colonialismo tardivo è una base fondamentale che Israele ha stretto con i suoi alleati occidentali – i quali, ancora oggi, vedono lo Stato ebraico come un comodo rimedio per “ravvedersi” dalla propria storia antisemita e dai crimini dell’Olocausto. Nelle occasioni in cui Israele viene messo sotto esame, ritorna il mantra dell’essere “l’unico Stato ebraico del mondo” – il codice che ricorda all’Occidente di tollerare il comportamento brutale di Israele. Lo Stato israeliano, dalla Nakba del 1948 al suo governo militare dal 1967, fino all’attuale attacco contro Gaza, ha fondato la sua tirannia su questa logica: “L’Occidente ha avuto il suo turno, ora tocca a noi”.

In passato, i governi stranieri, compresi gli Stati Uniti, avevano ancora il buon senso di provare a frenare l’arroganza di Israele. Ma oggi questi limiti sono svaniti.

Superando il suo predecessore repubblicano, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden sta attivamente favorendo l’attacco sfrenato di Israele su Gaza, rifiutando la nozione stessa di cessate il fuoco e scavalcando persino il Congresso nel consegnare più armi [allo Stato israeliano]. Nei primi giorni della guerra, leader europei come la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il Primo Ministro britannico Rishi Sunak si sono precipitati nel sud di Israele per esprimere la loro solidarietà, senza alcun cenno verso le migliaia di palestinesi bombardati a pochi chilometri di distanza. Il cancelliere Olaf Scholz, seguendo gli sforzi ossessivi della Germania – atti a dimostrare la propria assoluzione allo Stato ebraico -, ha annunciato che Berlino si unirà al caso della CGI e sosterrà Israele contro l’accusa di genocidio.

La protezione totale della guerra spietata di Israele, ha colpito un nervo scoperto oltre la Palestina. Stupito dal previsto intervento della Germania nel caso della CIG, il presidente della Namibia Hage Geingob ha denunciato l’ex colonizzatore del suo Paese per la sua memoria selettiva riguardo le atrocità [commesse e] di cui deve pentirsi, citando la campagna della Germania contro i popoli Herero e Namaqua – come “il primo genocidio del XX secolo”, ovvero tre decenni prima dell’Olocausto.

Quando una coalizione guidata dagli Stati Uniti ha lanciato degli attacchi aerei contro i ribelli Houthi dello Yemen per interruzione delle rotte commerciali del Mar Rosso (i ribelli hanno dichiarato di aver fatto ciò per costringere la fine dell’attacco contro Gaza), l’ipocrisia è stata ancora più evidente; sembrava che Washington preferisse intensificare una guerra regionale piuttosto che chiedere a Israele di accettare un cessate il fuoco.

Per gran parte del Sud globale, queste risposte distorte date dalle potenze occidentali non sono affatto una svista; sono quest’ultime ad indicare le vittime ritenute meritevoli di essere piante e protette dall’ordine internazionale. Per chiarire questo punto, il presidente Biden ha celebrato il centesimo giorno della guerra di Gaza estendendo il suo sostegno ai 130 ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza, senza alcun cenno agli oltre 24.000 palestinesi uccisi, presumibilmente, per salvare quei prigionieri.

Questo disprezzo per la vita dellu palestinesi, e la palese impunità promossa, è stato sentito forte e chiaro in Israele. Il fatto che i bombardamenti su Gaza abbiano “superato” quelli del regime di Assad in Siria, della Russia in Ucraina e degli Stati Uniti in Iraq è indicativo del feroce viaggio di potere di Israele. “Nessuno ci fermerà”, ha dichiarato il primo ministro Benjamin Netanyahu nei giorni successivi alle udienze della CIG, “né l’Aia, né l’asse del male, né nessun altro”. I principi internazionali possono pretendere la responsabilità per i crimini del 7 Ottobre; ma tollerando la morte di Gaza come vendetta, le capitali occidentali hanno semplicemente approvato il permesso agli israeliani di continuare ad agire come despoti.

 

Nota del Blog

1Stando al report di Agosto 2023 dell’ “Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente”, il 63% delle persone residenti a Gaza si trova “in condizioni di insicurezza alimentare e dipende dall’assistenza internazionale. Le continue divisioni intra-palestinesi esacerbano la crisi umanitaria e di fornitura di servizi sul campo. Con l’81,5% della popolazione che vive in povertà, un tasso di disoccupazione complessivo del 46,6% (48,1% per i rifugiati palestinesi che vivono nei campi) alla fine del terzo trimestre del 2022 e un tasso di disoccupazione del 62,3% tra i giovani (15-29 anni, rifugiati e non), la già fragile situazione umanitaria di Gaza rischia di deteriorarsi ulteriormente.[…] L’accesso all’acqua potabile e all’elettricità rimane a livelli di crisi e ha un impatto su quasi tutti gli aspetti della vita. L’acqua potabile non è disponibile per il 95% della popolazione. A partire dal Luglio 2023 l’elettricità è disponibile fino a 11 ore di media al giorno. Tuttavia, la continua mancanza di energia elettrica ha avuto un grave impatto sulla disponibilità dei servizi essenziali, in particolare quelli sanitari, idrici e igienici […]”. Link del Report