La questione palestinese tra le due guerre mondiali – Settima Parte

Sesta Parte

Scrivevamo sopra che gli incidenti del Muro del Pianto del 1928, non per la loro entità reale, ma per il loro significato e per la loro ripercussione in tutta la Palestina, segnavano un momento importante nella storia dei rapporti tra Arabi ed Ebrei. Ormai l’equilibrio artificiale che l’autorità mandataria era riuscito a mantenere, aiutata anche da una situazione politica relativamente calma in tutta l’area del Levante arabo e da una congiuntura politica internazionale non preoccupante, per lo meno fino al 1929, veniva rotto all’improvviso da quell’esplosione araba di rabbia anti-sionista e purtroppo anche più generalmente anti-ebraica, e dalla altrettanto rabbiosa risposta sionista che fu addirittura arrogante (la richiesta del colonnello Kirsch a nome dell’Esecutivo Sionista, che abbiamo ricordato sopra).

Ne 1929 furono ancora i Luoghi Santi comuni ad israeliti e musulmani al centro di nuovo di incidenti che costarono molte vite in tutta la Palestina. Il Muro del Pianto ormai rappresentava per gli Ebrei, la Palestina ebraica; per i Musulmani e per gli Arabi in generale, un bastione posto dinnanzi all’invadenza sionista. Gli incidenti del 1929 furono facilitati da grandi concentrazioni di Arabi ed Ebrei occasionate da riunioni religiose israelitiche e musulmane che avvennero nella metà di Agosto in luoghi adiacenti.1 Durante tutto il mese di Agosto ci furono scontri tra Arabi ed Ebrei tra di loro e con la polizia. Il Colonial Office, in una nota del 24 Agosto, dichiarava ufficialmente che c’erano stati attacchi da parte di Arabi alla stazione di polizia di Nablus e che otto assalitori erano rimasti uccisi. Ad Haifa un funzionario inglese, e non a caso ispettore all’immigrazione, era stato abbattuto da una fucilata. Il comunicato riferiva inoltre che in tutto il paese c’erano stati attacchi arabi a colonie ebraiche isolate.2

Il quotidiano egiziano al-Ahram del 27 Agosto 1929 scriveva che il 23 mattina (venerdì, giorno di riposto e festività religiosa settimanale musulmana) una grande folla di Arabi usciva dalla Moschea di el-Aqsa e un terrorista ebreo gettò una bomba nel mezzo della folla araba all’altezza di Bab e-Khalil: il risultato fu un grosso scontro tra Arabi ed Ebrei.3

Questa azione terroristica ebraica non è confermata da altri fonti, comunque pare certo che ci fu una provocazione ebraica che suscitò la violenta reazione della folla di Arabi che uscivano dalla moschea.4

L’Alto Commissario inglese Sir Chancellor emanò una nota in cui tracciava un primo bilancio delle vittime e in cui affermava che tribù beduine del Sinai, della Siria e della Transgiordania minacciavano di muovere sulla Palestina ed alcune di esse si accingevano a passare la frontiera. Per far fronte a questo pericolo, Sir Chancellor aveva inviato alle frontiere minacciate squadriglie di aerei da caccia e alcuni reparti di autoblinde.5

Il quartiere ebraico di Hebron, in Agosto, fu completamente distrutto dagli Arabi.6 Sir Chancellor, allora, preoccupato dalla situazione creatasi in Palestina chiese al Governo l’invio in Palestina di una commissione d’inchiesta; il Colonial Office incaricò ufficialmente Sir Walter Shaw di presiederlo. Iniziava così per la Gran Bretagna l’epoca delle commissioni d’inchiesta che, cercando ora di venire incontro alle richieste sioniste, ora di esaudire in piccola parte le rivendicazioni arabe, scontentarono entrambe le comunità, ma riuscirono a prolungare la vita del Mandato britannico e in ultima analisi a consolidare l’insediamento sionista che, finché la Gran Bretagna restava in Palestina, era protetto dagli accordi internazionali e dalle forze armate inglesi. 7 A proposito di questi scontri del 1929 che per la loro risonanza furono più importanti di quelli del 1920-21 che seguirono all’assegnazione del Mandato sulla Palestina, Amin Ali el-Huseini, Mufti di Gerusalemme, dichiarò ad un giornalista, dopo aver sostenuto i diritti degli Arabi: “Noi non opporremo resistenza alle baionette britanniche.8 9

Il Mufti, evidentemente, era ancora legato alla Gran Bretagna, non aveva dimenticato di dovere la sua elezione al primo Alto Commissario, il filo-sionista Sir Samuel, che, come risulta da più parti, falsificando il risultato delle elezioni attribuì d’autorità il più alto numero di voti a Hagg Amin Alì.10

Poco dopo, lo stesso Sir Samuel riuscì a portare Hagg Amin alla carica di presidente del Consiglio Supremo Musulmano, un importante organismo che amministrava i fondi religiosi e i tribunali religiosi musulmani.11

La dichiarazione di lealtà nei confronti della Gran Bretagna del Mufti di Gerusalemme confermava la giustezza, dal punto di vista inglese, della politica di corruzione di Sir Samuel nei confronti di Hagg Amin.

Le cifre definitiva dei morti del 1929 sono di 133 Ebrei uccisi e 339 feriti, 6 colonie ebraiche completamente distrutte, 116 Arabi uccisi (ma la cifra è incerta). In seguito a questi torbidi, 25 Arabi furono condannati a morte; delle condanne, tre furono commutate in lavori forzati e tutte le altre eseguite; un solo ebreo fu condannato a morte e la condanna eseguita.12

Gli Arabi, dopo i moti del 1929, pensarono che fosse giunto il momento di riproporre la questione della Palestina ala potenza mandataria e decisero di mandare a Londra una delegazione presieduta da Qazim Pascia el-Huseini. La delegazione il 30 Marzo fu a Londra e il giorno dopo fu ricevuta dal Primo Ministro Mac Donald e dal Ministro delle Colonie Lord Passfield e si trattenne con i due uomini di governo inglesi per due ore.

Gli Arabi chiedevano:
1) la cessazione immediata dell’immigrazione ebraica;
2) l’arresto immediato della vendita di terre arabe agli Ebrei;
3) un’assemblea nazionale elettiva proporzionale.

A queste richieste arabe Lord Passfield fece una serie di controproposte; per prima la costituzione di un’Agenzia Araba da affiancare all’Agenzia Ebraica e al governo mandatoriale, proposta che gli Arabi rifiutarono decisamente in quanto li metteva sullo stesso piano della minoranza ebraica. Lord Passfield propose allora la formazione di un governo sul tipo di quello di Cipro con un Consiglio composto da dieci Arabi, cinque Ebrei e cinque inglesi, ma la delegazione rifiutò nuovamente e fu congedata da Lord Passfield, che rimandò la discussione ad una nuova riunione. Il Ministro delle Colonie, comunque, sottolineò che la posizione inglese e quella araba erano molto distanti. Nel tempo che la delegazione araba rimase a Londra non si riuscì a trovare alcuna forma possibile d’accordo e il 23 Maggio 1930 la delegazione lasciava l’Inghilterra per far ritorno in Palestina.13

In quei giorni veniva pubblicata a Londra sotto forma di libro azzurro la relazione della commissione d’inchiesta sui disordini dell’Agosto 1929 presieduta da Sir Walter Shaw, che condannava la violenza araba. Ma quella stessa relazione era costretta dall’evidenza dei fatti palestinesi ad ammettere che: “non ci possono essere dubbi, noi pensiamo, che l’animosità razziale da parte degli Arabi sia una conseguenza del disappunto per le loro aspirazioni politiche nazionali e del timore del loro futuro economico, e che queste siano state le cause fondamentali dei moti dell’Agosto scorso.”14

E ancora si legge nella medesima relazione: “… gli Arabi palestinesi sono oggi unanimi nella loro richiesta di un governo rappresentativo…È nostra opinione che il risentimento degli Arabi di Palestina, dovuto al loro disappunto nel vedere continuamente fallire ogni loro richiesta di autogoverno, aggravi di molto le difficoltà dell’Amministrazione locale e sia stato uno dei motivi che hanno contribuito all’esplosione dei recenti moti ed è un fattore che non può essere ignorato in considerazione dei passi da fare per evitare in futuro simili moti.15

Poco dopo il libro azzurro della commissione Shaw, il 27 Maggio 1930 il Governo inglese fece una dichiarazione ufficiale sotto forma di libro bianco (British White Paper cmd 3582) nel quale si pronunciava per una politica di prudenza e affermava che la situazione palestinese era senza dubbio difficile e che bisognava studiare il problema.16

Il 20 Ottobre 1930 venne pubblicata la relazione ufficiale (cmd 3686) della commissione presieduta da Sir J. Hage Simpson che era stata incaricata di studiare la situazione palestinese con speciale riferimento all’economia agricola, alla vendita di terreni arabi e all’immigrazione ebraica. Le conclusioni di Sir Hage Simpson, pur moderate e generiche, suggerivano di controllare l’immigrazione ebraica e in modo particolare di debellare l’immigrazione clandestina e di cercare di migliorare le condizioni dell’agricoltura araba. La disoccupazione veniva messa in relazione con l’immigrazione ebraica che spesso eccedeva la capacità dei posti-lavoro che il paese offriva.17

In base a questa relazione il Governo inglese emanò una nuova dichiarazione politica ufficiale sotto forma di libro bianco (British White Paper Cmd 3692) il 21 Ottobre 1930, che risultava per la prima volta chiaramente sfavorevole ai sionisti, pur non rispondendo alle aspirazioni arabe. Infatti per la prima volta il Governo inglese ammetteva che la povertà degli Arabi, anzi precisava che il 29,4% delle famiglie contadine arabe non possedeva terre proprie.18 Inoltre il documento riconosceva la stretta relazione tra l’immigrazione ebraica, la disoccupazione e la politica economica della Palestina. Riconosceva infine la necessità dello sviluppo economico di tutto il paese nel suo complesso.19

Questa nuova posizione inglese evidentemente derivava da un’analisi della nuova situazione in Palestina dopo i moti del 1929 che avevano indubbiamente impressionato la potenza mandataria. I sionisti reagirono con grande tempestività; Weizmann scrisse una lettera di protesta a MacDonald e rassegnò le dimissioni da presidente dell’Agenzia Ebraica. Tale gesto era in fondo dovuto, perché fra tutti gli esponenti di primo piano del sionismo mondiale Chaim Weizmann era il più legato al Governo inglese. Egli infatti era stato fin dall’inizio della sua brillante carriera politica un fautore della linea di stretta collaborazione con la Gran Bretagna ed aveva ottenuto grandi successi come la dichiarazione Balfour, la nomina di Sir Samuel ad Alto Commissario e l’inclusione della dichiarazione Balfour nel Mandato.20

Il Vaad Leumi o consiglio nazionale, organo rappresentativo degli Ebrei di Palestina, d’altro canto, informò l’Alto Commissario che avrebbe boicottato i nuovi provvedimenti enunciati nel Passfield White Paper.21

I capi del partito conservatore Baldwin, Chamberlain e Amery scrissero una lettera al Times del 23 Ottobre 1930, nella quale accusavano la politica del governo di violare i termini del Mandato.22

La reazione araba fu estremamente decisa; il Comitato Esecutivo Arabo Palestinese il 14 Gennaio 1931 rispose al Passfield White Paper chiedendo l’abolizione del mandato inglese!23

Questa ferma posizione araba, gli attacchi interni dei conservatori e dei sionisti inglesi, il rifiuto sionista di accettare il Passfield White Paper, insomma tutto questo complesso di reazioni e contraccolpi costrinse il Primo Ministro MacDonald a ritornare sui suoi passi pur senza modificare formalmente il libro bianco in questione.

MacDonald, quindi, si accordò con i sionisti e con una lettera indirizzata a Weizmann e pubblicata sul “Times” del 14 Febbraio 1931 contenente i termini di quanto precedentemente deciso sull’immigrazione ebraica e sulla questione degli Arabi senza terra.24

La risposta araba non tardò: il 12 Marzo 1931 il Comitato Esecutivo Arabo Palestinese proclamava il boicottaggio arabo contro gli Ebrei.25

Il XVIII Congresso sionista tenuto a Basilea dal 30 Giugno al 15 Luglio 1931 elesse alla presidenza dell’organizzazione sionista mondiale e dell’Agenzia Ebraica (le due cariche, per deliberazione del Congresso, vennero fuse in una sola) Nahum Sokolow, stretto collaboratore di Weizmann, ma meno compromesso con l’Inghilterra.26

Tra l’Aprile e il Maggio del 1932 l’Alto Commissario inglese in Palestina fece dei tentativi per costituire il consiglio legislativo, nel tentativo di venire parzialmente incontro alle richieste arabe di governo rappresentativo. Ma l’Agenzia Ebraica rifiutò decisamente 27, poiché la popolazione ebraica della Palestina costituiva ancora una minoranza rispetto alla popolazione araba, nonostante l’incremento avutosi dal 1919 in poi; alla fine del 1931, infatti, la popolazione della Palestina era così suddivisa: Arabi musulmani 759952, Ebrei 175606, cristiani 90607 (la grandissima maggioranza Arabi), altre religioni 9539 (in prevalenza drusi e Bahai).28

Un consiglio legislativo rappresentativo quindi avrebbe ridimensionato alquanto la partecipazione ebraica al governo della Palestina. In questa occasione gli Arabi di Palestina ebbero ancora una conferma di come la propaganda sionista, secondo la quale gli Ebrei erano il motore di sviluppo economico e civile di tutta la Palestina e anche della popolazione araba povera economicamente e arretrata socialmente, non rispondesse assolutamente alla realtà.

Nel Dicembre del 1932 gli Arabi, o meglio i dirigenti nazionalisti arabi palestinesi appartenenti all’aristocrazia latifondista e finanziaria (la cosiddetta classe degli effendi) e alla borghesia professionale costituirono la Società Araba per salvare le terre della Palestina con un capitale di L.P. 10mila (la lira palestinese equivaleva alla lira sterlina), fornito dalla Cassa della Nazione, organismo finanziario allo scopo costituito.29

Abdel Razak Abdel Kader, l’autore già ricordato, critica aspramente questa associazione e assicura che si trattava di una cricca di imbroglioni che compravano a prezzo patriottico le terre dai contadini arabi che desideravano venderle e poi le rivendevano a quasi il doppio ai sionisti.30

L’autore algerino non documenta queste sue gravi affermazioni (cattiva abitudine che caratterizza la sua attività di saggista), per cui preferiamo attenerci a studi più seri, come quello più volte citato in questo lavoro e dovuto allo studioso sionista Robert Misrahi. Il giornale arabo di Haifa “al-Karmel” del 15 Aprile 1933, come esempio del malcostume politico e della intrinseca debolezza dell’azione politica dei dirigenti nazionalisti, accusava Musa Qazim Pascia el-Huseini, che già abbiamo visto presidente della delegazione araba che andò a Londra nel 1930, di ipocrisia perché il boicottaggio proclamato contro gli Inglesi non era da lui seriamente applicato, in quanto il figlio ed i parenti di Qazim Pascia non si erano dimessi dalle cariche che occupavano nell’Amministrazione mandataria. E continuava affermando che in realtà i politicanti palestinesi non volevano combattere il governo, ma dargli “piccole noie” affinché non venissero loro rifiutati favori personali.31

L’Osservatore Romano del 19 Aprile 1933, molto ben informato, riferiva di trattative tra sionisti e Abdallah di Transgiordania per l’affitto di alcune sue terre. E infatti l’8 Aprile del 1933, a un grande banchetto all’albergo King David di Gerusalemme offerto dal dr. Arlosorof della sezione esteri dell’Esecutivo Sionista, in onore di Weizmann, intervennero numerosi capi transgiordani, che avevano spontaneamente espresso il desiderio di incontrarsi con Weizmann. Essi erano tutti pascia e sceicchi, alcuni di loro membri dell’Assemblea legislativa della Transgiordania; essi affermarono che lo sviluppo del loro paese era basato sulla collaborazione arabo-ebraica e che i Transgiordani di tutte le classi erano pronti a ricevere coloni sionisti nel loro paese.32 Questi stessi dirigenti arabi della Transgiordania, con a capo il pascia al Faiz, con i soldi dell’Esecutivo Sionista decisero di fondare un partito e un giornale con il segreto appoggio di Abdallah.33

Questi elementi arabi oggettivamente costituivano una forza d’appoggio alla politica del governo inglese, che specialmente dopo i tumulti del 1929 cercava, come abbiamo visto, di dividere gli Arabi per perpetuare quell’equilibrio artificiale che in Palestina favoriva nettamente gli interessi inglesi e sionisti e danneggiava la popolazione araba.

Gli investimenti sionisti in imprese sioniste in Palestina a tutto il 1932 sono stati calcolati dall’esperto sionista I. Elazari-Volacani in più di $2,5 milioni investiti dalla P.I.C.A.34 nell’industria profumiera, nei mulini e nel piano Rutenberg di elettrificazione 35; ancora la P.I.C.A. aveva impiegato un capitale di $10 milioni nella colonizzazione agricola e in industrie agricole connesse. Il Keren Kayemeth e il Keren Hayesod, fondi ufficiali sionisti, avevano investito complessivamente una somma di più di $15 milioni. Il concorso del capitale privato consisteva in $25 milioni.36

Gli Ebrei che avevano pagato lo shekel, il contributo annuale all’Organizzazione Sionista, erano, secondo la statistica riportata da A. Revusky37:

1922

373217

1923

584765

1924

300240

1925

637917

1926

214384

1927

416767

1928

217511

1929

387106

1930

201250

1931

426730

L’Ottobre del 1933 è bagnato di sangue arabo. Il 13 si svolse una grande manifestazione araba non autorizzata contro l’immigrazione ebraica a Gerusalemme. Musa Qazim Pascia era alla testa del corteo che percorreva le vie cittadine. Questa dimostrazione ravvivò la tensione negli animi degli Arabi e come sempre l’eco della manifestazione si estese in tutta la Palestina; il 27 Ottobre fu una data critica: un morto arabo a Gerusalemme e uno a Nablus. Nello stesso giorno ad Haifa la polizia sparò in aria per disperdere la folla in tumulto, a Giaffa durante gravi tumulti provocati dagli Arabi restarono sul terreno ben dieci civili arabi e un agente di polizia. La durezza della repressione non arrestò gli Arabi. Il 28 ad Haifa la polizia fece fuoco sui dimostranti che prendevano a sassate l’edificio del corpo di polizia. Il giorno 30 a Gerusalemme veniva proclamata la legge marziale nella città. Gli Arabi risposero con uno sciopero generale in tutta la Palestina.38

Secondo il memoriale sionista per l’anno 1933, l’immigrazione ebraica in Palestina a tutto il 1933 era di 30337 unità, il chè portava la popolazione ebraica a circa 245mila unità. Hitler aveva trionfato in Germania; molti Ebrei tedeschi prendevano la via della Palestina. Conviene un riferimento alla situazione degli Ebrei negli Stati Uniti d’America. Riferisce nel suo libro R. Crossman, membro inglese della Commissione d’inchiesta anglo-americana detta Morrison, che dal 1900 al 1914 erano emigrati negli Stati Uniti d’America 1250000 Ebrei, la quasi totalità dei quali proveniente dall’Europa Orientale. Ma nel 1924 la legge sulle quote di immigrati operò una vera e propria discriminazione contro i paesi dell’Europa Orientale e ridusse la quota annuale ad una cifra irrisoria.39 Scrive ancora Crossman che dal 1936 al 1945, anni cruciali per la questione della Palestina, emigrarono in questo paese soltanto 494 Ebrei statunitensi.40

Questi dati suggeriscono alcune riflessioni: con queste cifre viene sfatata la mitica aspirazione ebraica al ritorno in Palestina; infatti, come abbiamo visto, fino a quando fu possibile la quasi totalità degli immigrati ebrei si diresse verso gli Stati Uniti. Gli Ebrei americani, poi, erano assimilati ai “gentili” americani e poco si curavano di edificare con le proprie mani la nuova Israele in Palestina. Diverso invece è il discorso che riguarda gli investimenti, perché in questo campo gli Ebrei americani, piccoli e grandi capitalisti, furono grandi sostenitori della causa sionista e buoni investitori di capitale e finanziatori delle imprese economiche agricole e industriali dei sionisti palestinesi.

Degno di considerazione è anche il ruolo degli Ebrei nordamericani, soprattutto dei personaggi più influenti, cioè i finanzieri e gli industriali ebrei d’America sulla questione dei profughi ebrei della Germania nazista. Scrive W. Yale: “Molti uomini politici statunitensi, durante gli anni dal 1917 al 1949, non potevano permettersi di contrastare i desideri dei sionisti che erano ritenuti in grado di manovrare a favore dei propri programmi. Una considerevole percentuale dei votanti ebrei negli Stati chiave di New York, Pennsylvania, Ohio, Illinois, Massachusetts, New Jersey e Connecticut, dove nel 1940 risiedeva più dell’82% della popolazione ebraica degli Stati Uniti in undici grandi città, era considerata una questione di grande importanza politica.41

Siccome non ci pare di dover dubitare dell’attendibilità delle asserzioni di William Yale, si pone il problema del perché i sionisti americani non impegnarono il Governo degli Stati Uniti ad accogliere un’immigrazione di massa degli Ebrei tedeschi, austriaci e poi via via di tutta l’Europa occupata dalle armate nazi-fasciste. Riguardo a ciò ci sembra valida l’osservazione già fatta a proposito dell’ebreo assimilato che teme l’insediamento di grandi masse di altri ebrei che potrebbero così causare fenomeni di antisemitismo e nuocergli.42 Inoltre c’è anche da pensare che per il capitalista ebreo americano, come per quello inglese e francese, investire in Palestina, stando lontano dai pericoli materiali della colonizzazione, probabilmente era una impresa economica redditizia che valeva la pena di appoggiare politicamente per consolidare in Palestina la presenza sionista e con essa la possibilità di vantaggiose operazioni economiche. Vogliamo dimostrare così che non si può rimprovera agli Arabi di Palestina la loro lotta contro l’insediamento ebraico sionista, anche quando questo poteva apparire come una “necessità storica”, un “atto di umanità”, dal momento che coloro che potevano se non risolvere del tutto il problema, comunque proporre una valida alternativa all’immigrazione in Palestina, nulla o poco fecero al riguardo, e videro gli Arabi come dei complici del nazismo persecutore degli Ebrei.

La realtà era molto diversa: a tale proposito è illuminante l’opinione di Gandhi, che citiamo quale fu riportata dal giornale iracheno “al-Akhbar” di Baghdad dell’11 Dicembre 1938: “Il mahatma Gandhi ha scritto in un articolo apparso sulla sua rivista settimanale che, sebbene egli abbia per gli Ebrei la più grande simpatia nella loro disgrazia, ritiene che la Palestina appartenga agli Arabi, come l’Inghilterra agli Inglesi. Se gli Ebrei sentivano di dovere mirare alla Palestina come ad una sede nazionale, hanno errato, pretendendo di entrarvi con l’aiuto del cannone inglese; essi potevano domiciliarsi in Palestina col consenso degli Arabi; v’erano centinaia di mezzi per trattare con questi, escludendo l’aiuto inglese. Ma oramai si sono associati agli Inglesi nello spogliare un popolo che non aveva fatto loro niente di male.43 44 45

L’azione politica dei gruppi politici 46 arabi palestinesi si può osservare attraverso due grandi famiglie, quella dei Nashashibi e quella degli Huseini. Si è voluto spesso vedere nei Nashashibi gi elementi moderati, negli Huseini gli elementi violenti ed estremisti; in realtà non fu sempre così; grandi divergenze politiche tra i due gruppi non esistevano, c’erano invece opposti interessi familiari e rivalità personali. Una delle ragioni, per esempio, per cui Hagg Amin Alì fu fatto Mufti di Gerusalemme è che un Nashashibi era sindaco di Gerusalemme e quindi era opportuno che le due famiglie avessero entrambe dei posti di primo piano. Ma oltre queste due grandi famiglie con i propri gruppi clientelari ci furono in Palestina dei veri e propri gruppi politici che furono diretti da esponenti delle citate famiglie e da altri personaggi minori.

Vedremo schematicamente questi gruppi, iniziando dai più importanti:
a) il partito arabo palestinese, fondato nel 1935 e diretto da Giamal effendi el-Huseini. Gli obiettivi di questo partito erano l’indipendenza, la preservazione del carattere arabo del paese e la lotta al sionismo;
b) il partito nazionale, fondato e diretto dalla famiglia Nashashibi nel 1934. Suo capo fu Ragheb Bey Nashashibi. Il programma del partito comportava: l’indipendenza, un governo nazionale, la denuncia dei patti internazionali che portavano all’ingerenza straniera, riforme sociali ed economiche per migliorare le condizioni delle masse lavoratrici;
c) Istiqlal, il partito dell’Indipendenza, fondato nel 1932 dall’ex segretario del re Faisal, Abdul Hadi. Questo partito concepiva come unica la patria araba e considerava la Gran Bretagna come il nemico principale degli Arabi. Dal 1933 le simpatie di questo partito si rivolsero verso il nazismo hitleriano;
d) il partito della riforma, fondato nel 1935 dal dr Husein Khalidi per rafforzare la sua posizione politica dopo l’elezione a sindaco di Gerusalemme. Era quasi l’ufficio politico elettorale del suo fondatore;
e) il partito del blocco nazionale, formazione politica provinciale quasi insignificante, fondato da un avvocato di Nablus, Latif Bey Saleh;
f) il partito della gioventù, più che un vero e proprio partito era l’organizzazione giovanile del Congresso Arabo Palestinese, che raccoglieva tutte le formazioni politiche arabe della Palestina. Il presidente, eletto nel 1932, fu Yaqub Effendi Husein.

Il Congresso Arabo Palestinese si riunì per la prima volta ad Haifa nel 1920 e tenne quattro assisi nazionali fino al 1928. Dal 1928 in poi sarà il Comitato Esecutivo del Congresso Arabo Palestinese a riunirsi periodicamente fino a quando verrà sciolto dall’Alto Commissario nel 1934.47

Nel 1934 entrarono in Palestina 42359 immigrati ebrei.48 E nel 1935 gli immigrati ebrei raggiunsero la cifra elevatissima di 61541 unità 49; la popolazione ebraica di Palestina raggiungeva così il numero di 375mila unità alla fine del 1935, il 29,8% dell’intera popolazione.50

La situazione diventava ogni mese più pesante; a Novembre del 1935, dopo uno scontro armato a Giaffa tra Arabi ed Ebrei con l’intervento della polizia, tutti i dirigenti arabi furono d’accordo nel presentare un memorandum all’Amministrazione mandataria in cui si chiedeva:
1) un governo democratico;
2) proibizione di vendere la terra agli Ebrei;
3) cessazione immediata dell’immigrazione ebraica e formazione di una commissione di studio che determinasse la capacità del paese di assorbire l’immigrazione e di conseguenza che elaborasse una legge sull’immigrazione;
4) carta d’identità obbligatoria per tutti i residenti legali nel paese;
5) immediata ed efficiente indagine sull’immigrazione illegale.51

L’Alto Commissario inglese non si curò di queste richieste e non tardarono ad accadere gravi scontri armati. Il 15 Aprile 1936 registrò una serie di imboscate di guerriglieri arabi sulla strada da Tul Keram a Nablus. Gli scontri tra le due comunità continuarono poi per tutto il mese. In seguito a questi scontri estremamente violenti, anche se in proporzione non così cruenti, la quasi totalità della popolazione ebraica di Giaffa, 6mila individui, si rifugiò a Tel Aviv.

Gli Arabi continuarono la loro lotta con scioperi in tutto il paese. C’è da notare che per la prima volta nel 1936 i terroristi e i guerriglieri arabi usarono le bombe incendiarie che lanciavano contro gli edifici dell’Autorità mandataria, contro case di Ebrei e contro gli edifici delle organizzazioni sioniste.52

La ribellione araba si mantenne attiva per tutto Maggio e Giugno, fino ai primi di Luglio. Ormai il fenomeno rivoltoso non era più un fatto esclusivamente spontaneo e sporadico. Bande guerrigliere si organizzarono un po’ dovunque nel paese, ma specialmente nella Palestina settentrionale, dove il terreno era più favorevole a questo tipo di guerra. Ma questi gruppi non erano collegati tra loro, e dotati per lo più di poche armi leggere (in generale vecchi fucili inglesi e tedeschi della prima guerra mondiale o anche vecchie armi turche dell’altro secolo). Il bilancio dei caduti e dei feriti dal 19 Aprile al 15 Luglio 1936, secondo il “Palestine Post” del 17 Luglio 1936, che si è servito di fonti ufficiali inglesi per la documentazione, era di:
1) 86 morti, 144 feriti gravi e 336 feriti leggeri tra gli Arabi musulmani;
2) 4 morti, 21 feriti gravi e 16 leggeri tra gli Arabi cristiani;
3) 38 morti, 79 feriti gravi e 96 leggeri tra gli Ebrei;
4) 1 poliziotto inglese morto, 7 feriti gravi (tra cui 2 ufficiali) e 28 leggeri (tra cui 5 ufficiali);
5) 2 poliziotti arabi musulmani morti, 3 feriti gravi, 23 feriti leggeri (tra cui 4 ufficiali);
6) 9 poliziotti arabi cristiani feriti leggeri (tra cui 3 ufficiali);
7) 1 poliziotto ebreo ferito grave, 4 leggeri;
8) 4 sottoufficiali e soldati inglesi morti, 26 feriti gravi (tra cui 4 ufficiali), 14 feriti leggeri (tra cui 3 ufficiali).53

Come risulta da queste cifre, i morti arabi sono di gran lunga i più numerosi; ciò indica come la repressione inglese fosse dura e massiccia. Ma gli Arabi non si lasciarono intimorire e continuarono la loro ribellione, seppure in modo disordinato e senza colpire decisamente nessun obiettivo nemico.

Il 16 Luglio venne attaccato l’aeroporto a nord di Gerusalemme. Il 27 dello stesso mese, nei pressi di Nablus, caddero dieci Arabi in uno scontro tra duecento ribelli e una pattuglia di trenta soldati inglesi appoggiati dall’aviazione da caccia e dai carri armati. Il 29 e il 30 continuarono gli scontri sempre nella zona di Nablus e caddero altri ventidue Arabi.54 In tutto il mese di Agosto gli Arabi danneggiarono più di dieci volte l’oleodotto Mossul-Haifa e fecero deragliare due treni.55

Il 7 Agosto i guerriglieri arabi operanti nella zona di Nablus attaccarono un convoglio di autocarri, ma intervenne la Royal Air Force, che respinse l’attacco arabo. Un altro intervento della RAF avvenne nei pressi di Rosh Pinah il 10 Agosto, in una situazione analoga. Nella seconda metà di Agosto ci fu un grave scontro sulla strada Nablus-Genin, dove i sionisti tesero un’imboscata ad una banda araba e uccisero venti uomini.56

Nel mese di Settembre avvennero diversi scontri sulle strade Nablus-Tul-Keram e nei pressi di Genin. Ci furono anche attacchi dinamitardi alle ferrovie e combattimenti nelle vicinanze di Akko. Il 29 Settembre la RAF intervenne in una battaglia a Nablus.57 Il 7 Luglio del 1937 venne pubblicata a Londra la relazione della commissione d’inchiesta presieduta da Lord Peel. La grande importanza che riveste questo documento inglese sta proprio nell’avere riconosciuto che la situazione palestinese era difficilissima e che non si era fatto molto da parte della potenza mandataria per risolverla. L’unica soluzione che Lord Peel e la sua commissione prospettavano era quella della spartizione della Palestina in tre zone, una destinata allo Stato arabo, una allo Stato ebraico e un’altra sotto diretta amministrazione inglese e comprendente Gerusalemme e i luoghi santi. La relazione inoltre dimostrava, come rileva George Antonius, come le promesse e gli impegni veri con gli Arabi e quelli con i sionisti fossero incompatibili tra loro.58

Malgrado questi spunti interessanti, la commissione Peel condannò la violenza araba, cioè la rivolta, e interrogò soltanto dodici testimoni arabi su cento testimoni tra inglesi ed ebrei. Gli Arabi boicottarono la Commissione Reale d’inchiesta all’inizio dei suoi lavori in Palestina, ma nelle ultime due settimane della sua permanenza, invece, cambiarono atteggiamento pensando che fosse bene esprimere ancora una volta le proprie rivendicazioni al governo inglese. Comunque la conclusione più interessante a cui giunse la commissione Peel fu quella di spartire la Palestina.

Per la prima volta i sionisti vedevano posto in termini ufficiali il problema dello Stato ebraico e ciò, in linea di principio per loro non poteva che essere un fatto positivo; come pensò anche Ben Gurion, però l’Agenzia Ebraica si pronunziò contro la spartizione della Palestina, vista come una violazione del Mandato, in quanto il focolare nazionale ebraico riguardava tutto il paese palestinese e non una parte di esso.59

Gli Arabi fecero notare come la commissione inglese avesse suggerito di dare loro la parte montuosa, rocciosa e desertica della Palestina e come al di fuori dei confini di questo Stato sarebbero rimasti dai 300mila ai 400mila Arabi palestinesi.60 Il Supremo Comitato Arabo si pronunciò contro la spartizione della Palestina, perché giudicava inaccettabile per gli Arabi lo smembramento del loro paese.61

Durante il mese di Settembre del 1937 il terrorismo dilagò in tutta la Palestina con maggiore violenza. E intanto a Ginevra il 5 Settembre la commissione dei mandati della Società delle Nazioni respingeva le proposte inglesi di spartizione della Palestina e invitava la potenza mandataria a cercare un regime soddisfacente per Arabi ed Ebrei.62

Il 26 Settembre in Palestina, a Nazareth, si registrò un attentato arabo, compiuto da tre individui non identificati, contro un funzionario ed un agente di polizia inglesi che morirono entrambi; a tale attentato seguì la massiccia e spietata reazione inglese. Per rappresaglia, infatti, furono arrestati lo stesso giorno ben duecento Arabi e il giorno 28 Settembre altri centocinquanta, che furono deportati in un campo nei pressi di Akko. L’Alto Commissario impose anche una multa di 20mila sterline a tutte le città.63 Fu inoltre sciolto il Supremo Comitato Arabo e destituito Hagg Amin Alì el-Huseini da presidente del Consiglio Supremo Musulmano e vennero arrestate personalità molto in vista, tra cui qualche membro del Supremo Consiglio Arabo.64

Per quanto riguarda il terrorismo, dobbiamo fare un’osservazione generale: tutte le azioni di questo tipo presentano due caratteristiche rilevanti, la quasi certa non individuazione dei responsabili e la disparità dei motivi che dettano l’azione terroristica. Infatti si va dall’episodio di lotta di liberazione nazionale a quello di brigantaggio, dall’assassinio politico al delitto di rivalità tra clan nemici, dagli atti dovuti alla lotta arabo-ebraica ad azioni di Arabi contro Arabi (come le uccisioni di Arabi collaborazionisti da parte dei ribelli) e di Ebrei contro Ebrei (come l’assassinio del dr. Arlosorof a Gerusalemme da parte dei revisionisti di Jabotinsky).

Continua…

Note

1 “Oriente Moderno,” n. 8 (1929), pp. 415-418 e Royal Institute of International Affairs, Great Britain and Palestine 1915-1936, London, 1937, p. 44. Nota del blog. L’articolo citato da Goglia, “Nuove agitazioni tra Musulmani ed Ebrei per la questione del Muro delle Lamentazioni,” pubblicato su “Oriente Moderno” n. 8 (1929) è a pagg. 372-373. Gli articoli verranno messi nell’Appendice.

2 Royal Institute of International Affairs, op. cit., pp. 418-419. Nota del blog. La citazione riportata è errata. La notizia era stata pubblicata nel n. 9 di “Oriente Moderno” (1929), pagg. 418-419 e non sul Royal Institute of International Affairs.

3 Ibidem, p. 419. Nota del blog. Vedere nota correttiva precedente “Oriente Moderno” (1929)

4 Nota del blog. Tom Segev, in “One Palestine…,” riporta, nel capitolo 14 “Hebron, 1929”, la seguente: “I portavoce arabi riferirono di atti di terrorismo perpetrati dagli ebrei, tra cui il linciaggio di passanti arabi e l’omicidio di donne e bambini. In alcuni casi, secondo quanto affermato dagli arabi, gli ebrei attaccarono le persone che avevano dato loro rifugio. L’Agenzia Ebraica indagò su alcune di queste accuse e concluse che “in casi isolati” vi furono ebrei “che vergognosamente oltrepassarono i limiti della legittima difesa.” Un memorandum riferisce che gli ebrei avevano fatto irruzione in una moschea e dato fuoco ai libri sacri […]

5 Ibidem, p. 421. Nota del blog. Vedere nota correttiva precedente Oriente Moderno” (1929), pag. 421

6 Ibidem, p. 423. Nota del blog. Vedere nota correttiva precedente “Oriente Moderno” (1929), pag. 423

7 Nota del blog. Su questi giochi politici inglesi e sionisti si vedano gli articoli di Camillo Berneri, “Palestina insanguinata,” pubblicato nel mensile “Vogliamo!,” a. I, n. 4, Novembre 1929, e di Nino Napolitano, “La rivolta degli arabi,” pubblicato nel settimanale “L’Adunata dei Refrattari,” a. VIII, n. 34, 5 Ottobre 1929.

8 Ibidem, p. 426. Nota del blog. Vedere nota correttiva precedente Oriente Moderno” (1929), pag. 426

9 Nota del blog. Gli articoli pubblicati su “Oriente Moderno,” n. 9 (1929), pagg. 415-427 verranno messi nell’Appendice.

10 J. B. Schechtman, op. cit., p. 21

11 Ibidem, p. 24

13 “Oriente Moderno”, n. 6 (1930), pp. 250-251. Nota del blog. L’articolo “L’opera della delegazione araba palestinese a Londra e il suo insuccesso” verrà messa messo nell’Appendice.

14 Cmd 3530, p. 150

15 Ibidem, p. 131

16 “Oriente Moderno,” n. 6 (1930), p. 245. Nota del blog. L’articolo “Libro bianco sulla politica inglese in Palestina” verrà messo nell’Appendice.

17 “Oriente Moderno,” n. 11 (1930), pp. 558-559. Nota del blog. L’articolo “Relazione di sir John Hope Simpson sulla Palestina” verrà messo nell’Appendice.

18 Ibidem, p. 556. Nota del blog. L’articolo “Dichiarazione sulla politica del Governo britannico in Palestina” (pagg. 554-558) verrà messo nell’Appendice.

19 Ibidem

20 W. R. Polk, D. Stamler, E. Asfour, op. cit., p. 87

21 Ibidem, p. 87

22 Nota del blog. Visto il paywall applicato dall’archivio digitale del “Times”, riportiamo parte di questa lettera pubblicata da “Il Corriere della Sera” ne “La vivace protesta di Baldwin”, 23 Ottobre 1930. In essa, Stanley Baldwin, ex primo ministro, Austen Chamberlain, ex ministro degli Affari Esteri e fratello di Neville Chamberlain e Leopold Amery, ex ministro delle colonie, scrissero di comprendere “benissimo la duplice obbligazione che il mandato impone al Governo britannico tanto verso le comunità ebraiche quanto verso le popolazioni arabe di Palestina ma deploriamo che il Governo di Sua Maestà abbia dato l’impressione di voler abbandonare questa politica, non tenendo conto delle proposte formulate dal dottor Weizmann al Gabinetto laburista, scoraggiando gli sforzi che i dirigenti ebraici fanno per promuovere sentimenti di conciliazione necessaria alla soluzione del problema palestinese. Il Governo britannico, senza dare agli Arabi e agli Ebrei di esprimere le loro vedute e senza interpellare il Parlamento, ha formulato una politica assolutamente negativa, contraria allo spirito del mandato per ciò che concerne lo sviluppo del “foyer” nazionale ebraico in Palestina e contraria pure al concetto fondamentale della dichiarazione Balfour e della politica seguita dai Governi successivi per oltre dodici anni. È evidente che le dichiarazioni fatte dal Governo britannico creeranno negli ambienti ebraici d’America e di altri Paesi sentimenti di sfiducia nella buona fede britannica, che è stata, attraverso tutti i tempi, l’elemento più prezioso della nostra politica estera e imperiale.” Su questa vicenda il quotidiano fascista “Il Popolo d’Italia” riportò in un articolo le proteste di Lord Melchett – che all’epoca era ex ministro della sanità e non del commercio come riportato dal giornale italiano -, e della “ricca comunità ebrea” americana su questa imparzialità del governo laburista inglese riguardo la questione palestinese. Si vedano gli articoli “Lo sdegno delle comunità ebraiche per il “voltafaccia” del governo inglese” e “Dimostrazione di ebrei polacchi contro il consolato inglese di Varsavia”, “Il Popolo d’Italia,” 23 Ottobre 1930.

23 “Oriente Moderno,” n. 2 (1931), p. 94. Nota del blog. Riportiamo l’articolo citato da Goglia: “La risposta del Comitato Esecutivo arabo-palestinese al “Libro Bianco”. — Gerusalemme, 14 gennaio. – Il Comitato Esecutivo arabo-palestinese ha formulato finalmente la sua risposta (1) al Libro Bianco di Lord Passfield e ne ha inviate alcune copie all’Alto Commissario britannico Sir John Chancellor, affinchè le trasmetta a Londra e a Ginevra. Nella lettera che accompagna il testo, Musà Kàzim Pascià el-Huseini, Presidente dell’Esecutivo, riassume così le richieste degli Arabi: ritiro della Dichiarazione Balfour e abolizione del Mandato, in quanto la prima è contraria alle promesse fatte agli Arabi ed è in contrasto con l’articolo 22 del Mandato e il secondo è contrario ai diritti naturali e nazionali degli Arabi. Gli Arabi chieggono inoltre che sia costituito un Governo per la Palestina responsabile di fronte a un Parlamento eletto e ritengono che la Gran Bretagna abbia anzitutto il dovere di impedire il passaggio di terreni arabi in proprietà di non arabi e di proibire risolutamente l’immigrazione di altri Ebrei. Inoltre essi fanno rilevare che sotto il Governo ottomano gli Arabi della Palestina godevano una larga autonomia, giacché avevano i loro consigli amministrativi, consigli generali, consigli municipali e consigli parlamentari, mentre poi partecipavano coi Turchi ad ogni forma di attività amministrativa. Infine gli Arabi propongono che ai proprietari arabi spodestati siano concessi terreni nella zona in prossimità del Lago Huleh. (Times, 15-1-1930) U. F.

24 “Oriente Moderno,” n. 3 (1931), p. 144. W. R. Polk, D. Stamler, E. Asfour, op. cit., p. 87-88. Nota del blog. Gli articoli “Lettera dell’on. MacDonald al dottor Weizmann sull’interpretazione del Libro Bianco sulla Palestina,” “Indignazione della stampa araba della Palestina per la lettera di MacDonald,” “Protesta del Comitato Esecutivo arabo palestinese contro la lettera di MacDonald” e “Soddisfazione dei Sionisti per la lettera di MacDonald,” pubblicati su “Oriente Moderno,” n. 3 (1931), pagg. 144-149, verranno messi nell’Appendice.

25 “Oriente Moderno,” n. 4 (1931), p. 183. Nota del blog. La pagina corretta è la 182. Riportiamo l’articolo completo citato da Goglia, “Boicottaggio contro gli Ebrei in Palestina”: “Gerusalemme, 13 marzo. – II Comitato Esecutivo arabo proclamò ieri il boicottaggio contro gli Ebrei, che da qualche tempo era stato minacciato. Non si ricorrerà a metodi di intimidazione e il boicottaggio sarà applicato in questo senso: gli Arabi potranno vendere agli Ebrei qualunque cosa fuorchè dei terreni e del pari potranno acquistare da essi qualunque cosa fuorchè terreni. (Times, 14-3-1931). U. F. Si veda la notizia seguente: Il Comitato Esecutivo Arabo ha emesso un comunicato, firmato dal segretario Gemal el-Huseinl, per rallegrarsi col paese degli ottimi e immediati effetti ottenuti dall’appello del Comitato stesso per il boicottaggio economico degli Ebrei. Sono sorti rapidamente in tutta la Palestina associazioni e comitati per la propaganda del boicottaggio, che hanno ricevuto molte lettere di adesione e di lode. È consolante la partecipazione delle donne, che si sono dedicate con entusiasmo alla propaganda, e degli studenti che in molte scuole hanno preso tutti insieme l‘impegno di osservare il boicottaggio. (Filastin, 22-3-1931). V. V.”

26 “Oriente Moderno,” n. 8 (1931), p. 381. Nota del blog. L’articolo “Il XVII Congresso Sionista a Basilea,” pubblicato su “Oriente Moderno,” n. 8 (1931), pagg. 381-386, verrà messo nell’Appendice.

27 “Oriente Moderno,” n. 5 (1932), p. 246. Nota del blog. La pagina corretta è la 228. Riportiamo il “Riassunto della situazione” di “Oriente Moderno” citato da Goglia: “Palestina. Data la situazione della Palestina, l’Alto Commissario britannico ha ritenuto giunto il momento opportuno per istituire ii Consiglio Legislativo, previsto nel Libro Bianco di Lord Passfield del 1930, e richiesto dalla popolazione araba. Di ciò egli ha informato l’Esecutivo dell’Agenzia Ebraica, la quale ha risposto immediatamente, dichiarando inaccettabile per ora l’istituzione del Consiglio Legislativo per la popolazione ebraica. Poichè nella proposta di Lord Passfield era previsto che, ove una parte della popolazione rifiutasse di cooperare, l’Alto Commissario avrebbe facoltà di nominare direttamente i membri di detto Consiglio, sembra che egli sia deciso ad avvalersi di tale potere. Gli Arabi hanno accolto con aperto disfavore la risposta ebraica, considerandola come una riprova aperta ed esplicita della impossibilità di una cooperazione fra Arabi ed Ebrei.

28 “Oriente Moderno,” n. 1 (1932), p. 12

29 “Oriente Moderno,” n. 1 (1932), p. 592. Nota del blog. La notizia citata da Goglia si trova nel n. 12 di “Oriente moderno” e non nel n. 1.

30 A.A. Abdel Kader, Israele e il mondo arabo, Milano, 1962, pp. 122-124

31 “Oriente Moderno,” n. 5 (1933), p. 255. Nota del blog. La pagina corretta è la 252. Riportiamo la notizia citata da Goglia: “Musa Kazim Pascia el-Huseini, Presidente del Comitato Esecutivo Arabo palestinese, aveva emesso un manifesto invitante la popolazione araba a boicottare il Sottosegretario britannico delle Colonie e i festeggiamenti “che gli saranno fatti col nostro danaro e contro la nostra volontà.” Le colpe del Sottosegretario sono di non aver dato esecuzione al Libro Bianco del 1930, alla Relazione Simon ed a quella della Commissione parlamentare Shaw, ed inoltre di permettere un’immigrazione ebraica troppo intensa e di fare una politica sionista. L’al-Karmel di Caiffa commenta aspramente il manifesto, accusando Musa Kazim Pascia di ipocrisia, perchè suo figlio e molti suoi parenti sono impiegati dello Stato: se il boicottaggio fosse serio, costoro dovrebbe dimettersi. La verità è che i politicanti palestinesi mirano non a combattere il Governo, ma a minacciarlo e dargli piccole noie, affinché esso non rifiuti loro nessun favore personale.”

32 Ibidem. Nota del blog. La pagina è la 255 e non la 252. Gli articoli “La penetrazione sionista nella Transgiordania” e “Contro la penetrazione sionista,” pubblicati su “Oriente Moderno,” n. 5 (1933), verranno messi nell’Appendice.

33 “Oriente Moderno,” n. 6 (1933), p. 311.

34 Nota del blog. Acronimo del “Palestine Jewish Colonization Association” (“Associazione per la Colonizzazione Ebraica della Palestina”) Fondata nel 1924 e sciolta nel 1957, l’Associazione ha svolto un ruolo importante nell’acquisto delle terre e nella costruzione delle infrastrutture in Palestina.

35 I. Elazari-Volcani, Jewish colonization in Palestine, cit., p. 87

36 Ibidem, p. 94

37 Abraham Revusky, Les Juifs en Palestine, Paris, 1936, p. 227

38 “Oriente Moderno,” n. 11 (1933), pp. 574-577. Nota del blog. Gli articoli “Prime riunioni arabe di protesta contro l’immigrazione sionista,” “Le dimostrazioni politiche proibite a Gerusalemme,” “Dimostrazione del 13 Ottobre a Gerusalemme malgrado il divieto,” “La dimostrazione del 13 Ottobre a Gerusalemme,” “Ammonimento all’Associazione musulmano-cristiana e al Comitato Esecutivo dei Giovani di Giaffa,” “Ammonimento dell’Alto Commissario per la Palestina al Comitato Esecutivo arabo,” “Nuovi disordini a Gerusalemme,” “Gravi disordini a Giaffa,” “Continuazione dei disordini in Palestina,” “Legge marziale per la difesa dell’ordine nella Palestina,” “Miglioramento della situazione” e “La situazione in Palestina,” pubblicati su “Oriente Moderno,” n. 11 (1933), pagg. 570-577 verranno messi nell’Appendice.

39 R. Crossman, Palestine Mission, London, 1947, p. 33. Si veda anche Louis Golding, The Jewish problem, London, 1919 (prima ediz. Nov. 1938), pp. 97-98 e J. Parkes, op. cit., p. 100

40 R. Crossman, op. cit., p. 39

41 W. Yale, op. cit., p. 434

42 Nota del blog. Fin dalla sua nascita, gli Stati Uniti avevano promulgato una serie di leggi favorevoli a quelle persone di origine europea, escludendo o impedendo l’entrata alle popolazioni asiatiche (cinesi soprattutto) e alle persone povere, malate e disabili. In concomitanza con i vari attentati anarchici avvenuti tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi inizi del Novecento, gli USA alzarono il livello di esclusione ed espulsione: oltre alle citate persone non europee, povere, malate e disabili, i governi statunitensi misero in questo calderone le personalità politiche considerate “anarchiche.” Gli Immigration Act del 1903 e del 1917 rispecchiarono tutto questo andazzo governativo americano. Gli Ebrei, al pari degli Italiani e dei Tedeschi migranti, erano considerati dei potenziali sovversivi e destabilizzatori dell’ordine costituito. Tale visione derivava da due fattori: l’antisemitismo strisciante presente nella società statunitense – la cui derivazione era di matrice europea e, quindi, intrisa di una forte morale religiosa cristiana -, e la presenza dei lavoratori Ebrei nelle organizzazioni sindacaliste, socialiste e anarchiche. “Esiste una forte tradizione di radicalismo ebraico, che ha avuto inizio alla fine del XIX secolo,” scrivono Lori Shaller e Judith Rosenbaum nel saggio “Jewish Radicalism and the Red Scare: Introductory Essay.” Alcuni Ebrei, continuano le autrici, “sono diventati radicali nell’Europa orientale, ma molti hanno incontrato per la prima volta la politica radicale, come il socialismo o il comunismo, come lavoratori immigrati nelle città americane. La comunità radicale ebraica si ingrossò dopo il 1905, quando gli immigrati ebrei fuggirono dalle persecuzioni causate dalle rivoluzioni che stavano investendo la Russia. In America, la politica radicale e il movimento operaio divennero nuove forme di espressione ebraica, “puramente secolari” e “profondamente ebraiche”, come le descrisse l’attivista Yankel Levin nel 1918. I socialisti ebrei si consideravano creatori di un nuovo modello di ebreo: mondano, attivista e di larghe vedute. La cultura yiddish, espressa sia nelle attività politiche che nelle forme culturali (letteratura, teatro, ecc.), era al centro di questo nuovo mondo ebraico. Da questo fiorire culturale emerse una nuova immagine dell’ebreo come radicale, una caratterizzazione influente durante l’era progressista. Tuttavia, anche in un ambiente politico aperto come la società democratica degli Stati Uniti, i radicali sono stati perseguitati in certi periodi. Ciò è avvenuto spesso durante o dopo le guerre o altri periodi di vulnerabilità; gli anni ’20, dopo la fine della prima guerra mondiale, ad esempio, hanno visto la prima “Red Scare”, un attacco ai socialisti, ai comunisti e agli organizzatori sindacali (dal nome del colore della bandiera della neonata Unione Sovietica).

43 “Oriente Moderno,” n. 1 (1939), p. 32.

44 Nota del blog. L’articolo di Gandhi menzionato è “The Jews,” pubblicato nel giornale mensile “Harijan” il 26 Novembre 1938. Riportiamo un estratto di questo articolo: “La mia solidarietà va tutta agli ebrei. Sono stati gli intoccabili del cristianesimo. I tiranni del passato non sono mai stati così folli come Hitler. Se mai potesse esserci una guerra giustificabile in nome dell’umanità, sarebbe contro la Germania per impedire la persecuzione gratuita di un’intera razza. Ma io non credo in nessuna guerra. Inoltre, la mia solidarietà verso gli ebrei non mi rende cieco di fronte alle esigenze della giustizia. È sbagliato e disumano imporre gli ebrei agli arabi. Ciò che sta accadendo oggi in Palestina non può essere giustificato da alcun codice morale di condotta. I mandati non hanno alcuna sanzione se non quella dell’ultima guerra. La linea di condotta più nobile sarebbe quella di insistere su un trattamento equo degli ebrei, ovunque siano nati e cresciuti. Quelli nati e cresciuti in Francia sono francesi proprio come i cristiani nati in Francia sono francesi. Ogni paese è la loro patria, compresa la Palestina, non per aggressione ma per amorevole servizio.” Da stimatore che era di Hitler e Mussolini, Gandhi, a fine anni Trenta, cambiò repentinamente questa sua visione delle cose verso i due dittatori – e in special modo verso quello tedesco. Questa cosa si può spiegare nel seguente modo: i governi inglesi, consci che le ideologie nazi-fasciste e comuniste, insieme all’odio anti-britannico, prolificassero sempre più nelle sue colonie, scesero a compromessi con una serie di figure chiave, tra cui Gandhi. Oltre questa specifica, nell’estratto dell’articolo del politico indiano da noi riportato si nota quel pacifismo nazionale che ha sempre contraddistinto Gandhi durante la sua vita politica – differenziandolo da altri (specie anarchici) che propugnavano l’internazionalismo e/o l’anazionalismo insieme alla resistenza non-violenta pacifica. La citazione di “Oriente Moderno,” che comunque non riporta queste nostre considerazioni su Gandhi, rientra nella propaganda italianaanti-inglesedi quel periodo storico.

45 Nota del blog. Alla luce di questa citazione vi sono delle cose che vogliamo specificare. La prima riguarda la costituzione della rivista “Oriente Moderno.” La nascita di “Oriente Moderno” avviene in concomitanza con la fondazione dell’ “Istituto per l’Oriente” (oggi conosciuto come “Istituto per l’Oriente Carlo Alfonso Nallino”). La rivista venne fondata e diretta dall’arabista e islamista Carlo Alfonso Nallino nel 1921 e diretta da questo fino alla sua morte, avvenuta nel 1938 a Roma. In questo lasso di tempo, la redazione di “Oriente Moderno,” di cui si menzionano Ettore Rossi, Amedeo Giannini, Virginia Vacca, Giovanni Levi Della Vida e altri e altre studiosi/e, si erano occupati e occupate nel riportare in modo scientifico e oculato la storia e l’attualità dei paesi arabofoni e islamici. La seconda riguarda i rapporti tra il regime fascista e la redazione di “Oriente Moderno.” Il regime fascista, forte del suo controllo sulla stampa (Legge del 31 dicembre 1925, n. 2307, “Disposizioni sulla stampa periodica,” e il Regio Decreto del 26 febbraio 1928, n. 384, “Norme per la istituzione dell’albo professionale dei giornalisti”) cercò di utilizzare questa rivista per le attività propagandistiche, soprattutto quando i rapporti con Francia e Inghilterra si deteriorarono a causa della guerra tra Italia ed Etiopia (1935-1936). Giannini, che fu un gerarca del regime fascista e interno della redazione di “Oriente Moderno,” volle utilizzare questa pubblicazione come “efficace strumento di italianità” o, per dirla senza giri di parole, megafono del governo fascista all’estero verso le comunità italiane presenti nel Nord-Africa (Tunisia ed Egitto in particolare) e, a partire dagli anni Trenta, quelle arabe musulmane. Nonostante questo, però, “Oriente Moderno” non divenne mai un’efficace strumento del governo fascista. I motivi erano strettamente legati alle tematiche trattate in modo specialistico-accademico (specie riguardo le questioni storico-attuali mediorientali e nordafricane) e alle persone che componevano la redazione – in cui vi erano soggetti non fascisti come Levi Della Vida. Tali fattori, quindi, mal coincidevano con la propaganda del regime, soprattutto quando presero piede articoli e riviste pesantemente razziste – e di cui “La difesa della razza” e/o gli scritti, per esempio, di Giorgio Alberto Chiurco ne furono un’espressione conclamata. Per un approfondimento sulla questione “Oriente Moderno” e l’Istituto Per l’Oriente, rimandiamo all’articolo di Mario Giro,“L’istituto per l’Oriente dalla fondazione alla seconda guerra mondiale,” “Storia Contemporanea,” a. XVII, n. 6, Dicembre 1986. L’utilizzo di questi articoli, in particolare quelli marcatamente anti-inglesi e pro-arabi, da parte di Goglia si può spiegare attraverso il saggio di Nicola Tranfaglia, “Un’introduzione di metodo. I giornali e la ricerca storica” (inserito nel libro “Ma esiste il quarto potere in Italia? Stampa e potere politico nella storia dell’Italia unita,” Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano, 2005): la lettura critica delle pubblicazioni giornalistiche storiche e l’utilizzo di altri fonti (governative, memorie etc) permette di avere una ricostruzione di ciò che avveniva in un determinato periodo storico. Nonostante lo spazio ristretto dato dalla rivista “Storia Contemporanea,” il saggio di Goglia mostra delle informazioni di varia natura, sia governative-istituzionali, sia bibliografiche e giornalistiche, con l’aggiunta di critiche ad hoc fatte dallo stesso autore.

46 Preferiamo chiamare gruppi politici e non partiti le formazioni politiche arabe palestinesi del periodo tra le due guerre mondiali, perché il primo termine ci sembra essere molto più aderente alla realtà della situazione politica degli Arabi di Palestina, mentre il secondo potrebbe darci un’immagine errata dell’organizzazione e dell’incidenza reale di queste formazioni politiche nel paese.

47 R. Gabray, A political study of the arab-jewish conflict, Genève-Paris, 1959, pp. 17-22; J. C. Hurewitz, The struggle for Palestine, New York, 1950, pp. 60-63; Richard William Thompson, The Palestine problem, London, s.d., pp. 44-45.

48 “Oriente Moderno,” n. 8 (1935), p. 384. Nota del blog. La pagina è corretta è la 385.

49 “Oriente Moderno,” n. 2 (1936), p. 69

50 “Oriente Moderno,” n. 4 (1936), p. 206

51 Royal Inst. of Intern. Affairs, op. cit., pp. 79-80

52 “Oriente Moderno,” n. 5 (1936), pp. 273-275. Per una più ampia trattazione della rivolta araba durante il 1936 si veda il nostro articolo, La rivolta araba in Palestina nel 1936, in “Palestina,” nn. 5-8, 1970. Nota del blog. Gli articoli “I torbidi in Palestina. Cronaca degli avvenimenti,” “I torbidi palestinesi veduti da fonte araba,” “Continuazione dei torbidi al principio di maggio” e “Situazione migliorata in Palestina?,” pubblicati su “Oriente Moderno,” n. 5 (1936), pagg. 273-278, verranno messi nell’Appendice.

53 “Oriente Moderno,” n. 8 (1936), p. 446. Nota del blog. La pagina corretta è la 466.

54 “Oriente Moderno,” n. 9 (1936), p. 510. Nota del blog. Gli articoli che Goglia cita sono “Cronaca della rivolta durante il mese di luglio” (pagg. 509-510) e “Cronaca della rivolta durante il mese di agosto” (pag. 512)

55 Ibidem, p. 511. Nota del blog. La pagina corretta è la 512.

56 Ibidem

57 “Oriente Moderno,” n. 10 (1936), pp. 567-568

58 G. Antonius, op. cit., p. 399

59 “Oriente Moderno,” n. 8 (1937), p. 390. Nota del blog. Gli articoli “Relazione della Commissione Reale per la Palestina. Progetto di spartizione,” “Dichiarazione del Governo britannico sulla Relazione,” “Radiodiscorso dell’Alto Commissario sulla Relazione Peel,” “Prime impressioni palestinesi sulla Relazione,” “Il Supremo Comitato Arabo si dichiara contrario al progetto di spartizione e fa ricorso ai sovrani e ai popoli arabi” e “Dichiarazione dell’Agenzia Ebraica contro la Relazione Peel e il Governo palestinese,”pubblicati su “Oriente Moderno,” n. 8 (1937), pagg. 379-391, verranno messi nell’Appendice.

60 Ibidem, p. 389

61 Ibidem, p. 390

62 “Oriente Moderno,” n. 10 (1937), pp. 517-518

63 Ibidem, pp. 519-520

64 Ibidem, p. 521