Introduzione
Pubblicato in “Storia Contemporanea” nei nn. 2 e 3 del Giugno e Settembre 1970, il saggio di Luigi Goglia, fu docente di Storia Africana presso l’Università di Padova e Storia e Istituzioni dei Paesi afroasiatici, Storia e Istituzioni dell’Africa, Africa contemporanea, Culture dell’Islam contemporaneo e Storia del giornalismo e delle comunicazioni di massa presso l’Università di Roma 3, è uno spaccato storico di una parte del mondo che, in questo momento, è al centro dell’interesse mondiale.
L’attuale conflitto a Gaza degli ultimi due anni sta praticamente annientando la popolazione palestinese. L’intervento della Corte Internazionale di Giustizia su questo caso insieme ai boicottaggi universitari e la condanna di diversi Stati contro l’intervento di Netanyau e il riconoscimento della Palestina come Stato da parte di tre quarti del mondo, sembrano sortire qualche effetto nell’opinione pubblica del cosiddetto Primo Mondo.
Ciononostante, non si può dimenticare che nel caso dell’attuale mattanza della popolazione palestinese vi sono diverse responsabilità politiche ed economiche da parte dell’Iran nel sostegno verso Hamas e statunitense ed Unione Europea per Israele.
I venti che hanno soffiato queste compagini borghesi straniere hanno esacerbato una situazione esplosiva che si manifesta da quasi un secolo a questa parte.
Se è vero che con la nascita dello Stato israeliano, avvenuta il 14 Maggio 1948, i rapporti tra arabi ed ebrei lì stanziati siano peggiorati in modo esponenziale, è altresì veritiero che questa situazione sia stata supportata a piene mani dai regimi europei (democratici e nazifascisti) durante le fasi del Mandato britannico della Palestina (1920-1948).
Ma se andiamo ancor più a ritroso come ha fatto Goglia in questo saggio, il terreno era stato preparato verso la seconda metà dell’Ottocento quando spopolavano una serie di autori che avvallavano le tesi sugli identitarismi nazionali negli ambienti arabi ed ebraici.
Partendo dall’assunto che l’identità sia un processo dove vi sia un supposto ed artificioso senso comune di appartenenza sociale e culturale, gli autori citati dal docente universitario italiano hanno via via costruito, mattone su mattone, un impianto di potere sempre più grande e che corrispondesse alla separazione e catalogazione di individui di uno o più territori e all’appropriazione e/o difesa ad oltranza di pezzi di terra.
Sotto lo slogan di voler uscire da un colonialismo che affondava le sue radici, a sua volta, da impianti culturali-religiosi monoteistici e proprietà economica di stampo europeo, gli identitarismi arabi ed ebraici finirono per imitarli in tutto e per tutto.
Il risultato ottenuto è quello che vediamo oggi giorno: dalla ventennale pulizia etnica israeliana nella Striscia di Gaza post-disimpegno 2005 alle strategie delle potenze mondiali (UE, USA e BRIICS) interessate a mantenere un ordine politico (indipendentemente se sia democratico, dittatoriale e/o religioso fondamentalista) nel Medioriente.
In uno scenario così articolato e osceno, le popolazioni lì residenti, nel nome di modelli sociali-economici basati su identitarismi nazionali, vengono sacrificate per mantenere attivi i vari corridoi energetici che passano dal Caucaso all’Europa e il passaggio dello Stretto di Hormuz e del Mar Rosso.
Il saggio storico di Goglia ha il pregio, quindi, di attraversare quasi un secolo della diatriba palestinese-israeliana, spiegandone le origini, le repressioni britanniche e gli intenti delle grandi potenze dell’epoca (Inghilterra in primis) nell’usare le due popolazioni per mantenere e/o controllare la circolazione delle merci da una parte all’altra di quell’area di mondo.
Nota aggiuntiva
Nel saggio di Goglia vi sono parecchie note a pié pagina e annesse citazioni di libri e articoli; dove possibile, inseriremo dei link esterni per la consultazione online.
Visto che nella prima parte di questo saggio Goglia parla della nascita del “nazionalitarismo” arabo e in special modo del caso egiziano, citeremo nelle note a piè pagine alcuni estratti provenienti dai testi di e su Errico Malatesta e gli articoli di Icilio Ugo Parrini, “L’anarchismo in Egitto” (“La Protesta Umana”, San Francisco, 1903-1904), e Roberto D’Angiò, “Le idee avanzate in Egitto” (“Lux. Rivista quindicinale. Studi e Riflessioni Sociali”, Alessandria d’Egitto, a. 1, n. 1, 15 Giugno 1903)
Sempre sulla questione egiziana, vi è la testimonianza di D’Angiò, “4 anni in Egitto”, pubblicata a puntate sul giornale anarchico “Il Libertario”; in un prossimo futuro posteremo qui sul blog tale scritto.
Tornando al discorso, oltre alla citazione di materiale anarchico e/o libertario, si inseriranno tra le note, nei limiti del possibile e con tanto di specifica “nota del blog”, delle opere pubblicate negli ultimi anni.
Sebbene l’autore non fosse stato dichiaratamente anarchico e/o libertario, crediamo che il testo in questione sia un’interessante chiave di lettura storica dei fatti di quella parte di mondo.
Cosa assai importante, questo lavoro consente di superare una serie di trappole ideologiche-religiose di matrice marxista-leninista quali “nazismo israeliano” e altre amenità antisemite similari.
Lo Stato d’Israele, come è stato trattato nei pochi articoli tradotti sul blog, è, a tutti gli effetti. uno dei migliori prodotti del colonialismo europeo prima e democratico-neoliberista dopo.
Il nazismo, in questo caso, non c’entra nulla; anzi, ci sono più attinenze con le metodologie coloniali britanniche e statunitensi che con quella tedesca imperiale a cui si rifacevano Hitler e soci vari.
La realtà è molto diversa quindi e non può essere modificata con artifizi degni dei credenti nella religione della “democrazia” o di un Dio venuto da La Mecca.
I governi che sono presenti in questo mondo, nella maggior parte dei casi, sono tutti democratici parlamentari. E in quanto tali, sono gli alfieri di quel sistema economico che ci ha portato ad una sindemia e alle attuali guerre guerreggiate per tutto il globo.
Israele è, come tutti gli Stati democratici, colonizzatore, sfruttatore, genocida e biocida.
All’infuori di questi aspetti, è solo chiacchiericcio ideologico-religioso che noi, in quanto soggettività anarchiche, critichiamo aspramente.
==================================================================
Il movimento nazionale arabo e il sionismo
Il movimento arabo di riscossa nazionale si presenta come un movimento indipendentistico e di liberazione, come un fenomeno, cioè, essenzialmente politico, prodotto dalla reazione araba alla dominazione turca e a quella europea, e, in una certa misura, anche all’assimilazione delle idee liberali e progressiste dell’ottocento europeo, che influenzarono, in modo sensibile, l’intelligenza araba del secolo XIX.1
Il patrimonio storico-culturale degli Arabi ha un ruolo di primaria importanza nella lotta per il loro riscatto, così come la tradizione religiosa islamica. Il credo dell’Islam è servito in una misura sicuramente non trascurabile alla mobilitazione delle masse arabe, fiaccate dalla dominazione straniera2. I fattori principali della rivoluzione araba risiedono nella decadenza dell’impero ottomano, nel crollo della sua economia pre-industriale, arcaico-agricola e di sfruttamento primitivo e totale delle province assoggettate e nell’insediamento del colonialismo europeo nell’area araba.
Il movimento nazionale arabo è chiamato giustamente, da Anouar Abdel Malek3, nazionalitarismo e non nazionalismo, per distinguerlo, in modo netto dal nazionalismo dell’Europa degli imperialismi e per dare a questo termine il significato patriottico e progressivo di risveglio delle nazionalità oppresse.
Questo movimento nacque nei circoli intellettuali, e particolarmente letterari, intorno agli ultimi anni della prima metà del XIX secolo. I più autorevoli esponenti della cultura araba avevano esaminato a fondo i classici della loro letteratura e la storia del loro popolo.
Né fu certo casuale che proprio questi studiosi si resero conto dell’importanza fondamentale della questione della lingua come fattore di rinascita non solo culturale, ma anche politica. Nell’impero ottomano, infatti, la lingua turca tendeva a sostituire quella araba e comunque altissima era la percentuale di analfabetismo; il che rendeva oltremodo difficile un dialogo degli Arabi dell’epoca con la loro ricca tradizione di storia e di cultura. Questi primi patrioti moderni arabi accentuarono il ruolo della lingua, della sua conoscenza, della sua diffusione e furono quasi tutti al centro di organizzazioni scolastiche e culturali da loro approntate a tal fine. I primi patrioti sentirono fortemente l’esigenza di portare il mondo arabo ad affacciarsi all’età moderna. Gli iniziatori di tale rinascita culturale araba furono due letterati libanesi cristiani: Nasif Al-Yazigi 4 (1800-1871), che fu un celebre autore di manuali di grammatica e di letteratura, e Butros al-Bustani, autore di un dizionario e di una enciclopedia in lingua araba.5
Nel 1857, a Beirut, fu fondata una “Società Scientifica Siriana”, ricostituita, poi, nel 1868.6 In questa associazione si raccolsero gli uomini di cultura araba, sia cristiani che musulmani. E proprio in questa sede uno dei figli di Nasif al-Yazigi, Ibrahim al-Yazigi (1847-1907), lesse una composizione poetica in cui celebrava il glorioso passato degli Arabi e le loro aspirazioni del presente. Questa poesia terminava con i versi: “Svegliatevi, sorgete in piedi o Arabi / ché la sciagura si è gonfiata tanto che si affondano le ginocchia”.7
Butros al Bustani, che abbiamo ricordato sopra, fondò nel 1860 il settimanale “La tromba della Siria”; questo giornale, dal titolo allusivo e battagliero, fu il primo periodico politico del movimento rivoluzionario arabo. L’attivismo politico e culturale di al Bustani fu grande: nel 1870 fondò un altro periodico politico e letterario, “Il giardino”, che recava il seguente motto: “L’amore della patria fa parte della fede.” Nel 1863 egli aveva anche fondato un istituto scolastico, “La scuola nazionale”. La sua scuola, come i suoi giornali, mirava al superamento del settarismo religioso tra arabi cristiani e musulmani e alla diffusione della lingua araba e dell’insegnamento costante di amore per la patria araba in vista dell’unità nazionale. E in questa stessa direzione operò il già ricordato Nasif al-Yazigi.8
Nel 1876 fu promulgata la prima costituzione ottomana, modella sulle costituzioni europee, in realtà un espediente del sultano Abdul Hamid II, un vero e proprio diversivo per chetare le acque agitate dell’Impero. La conquista più importante della costituzione era un certo decentramento amministrativo e un Parlamento eletto e funzionante in modo democratico.9
Ma, durante la guerra russo-turca del 1877-78, il sultano approfittò del primo conflitto tra Parlamento e Palazzo e licenziò il Parlamento, pur senza mai abolirlo formalmente. Di fatto la costituzione del 1876 venne accantonata e Abdul Hamid II iniziò il suo governo dispotico. In quesot modo naufragarono le speranze riformiste di quegli Arabi che, legati agli elementi progressisti turchi, speravano di poter operare insieme (Arabi e Turchi) per una riforma costituzionale e democratica dell’impero ottomano.
Nel 1875 a Beirut, fu fondata una associazione segreta (i promotori erano 22), con ramificazioni a Damasco, Tripoli (di Siria) e Sidone. Ma di questa società, come afferma lo stesso George Antonius,10 si sa ben poco per poterne ricostruire la storia. Certamente, però, questo suo carattere di setta e di segretezza ci fa pensare all’organizzazione carbonara italiana. Uno dei suoi fondatori, il dr. Fares Nimr Pascià, emigrò in Egitto nel 1883 e quivi diede vita ad un periodico mensile a carattere scientifico: “al Muqtataf” e a un quotidiano: “el Muqattam”, entrambi molto diffusi a livello delle élites culturali, economiche e politiche dei paesi arabi.
I punti più importanti del programma dell’associazione erano:
1) indipendenza della Siria in unione con l’odierno Libano;
2) lingua araba riconosciuta come lingua ufficiale del paese;
3) abolizione della censura e delle altre restrizioni sulla libertà d’espressione e sulla diffusione della cultura;
4) impiego, nel paese, di unità delle forze armate reclutate nel paese stesso.
Anche Ibrahim Yazigi, che abbiamo ricordato a proposito della sua poesia patriottica, era membro di questa società segreta. Il primo quotidiano arabato “al Ahram”, fu fondato ad Alessandria (poi trasferito al Cairo) dal libanese Selim Taqla.11
Un’altra forte personalità, essenzialmente politica, fu quella di Gemal ed-Din al-Afghani, che morì a Costantinopoli nel 1897. Si sa con buon margine di certezza che egli era persiano di nascita e che si faceva credere afgano; comunque può essere considerato il primo panislamista dell’epoca contemporanea e, nello stesso tempo, un modernista in campo religioso e democratico e riformista in campo politico. Con il suo atteggiamento, tipico dell’agitatore e dell’ “apostolo”, insistè fortemente sui valori principali della fede islamica, contrapponendola, allo stesso livello, alla civiltà europea e affermò anche la conciliabilità dell’Islam con la scienza moderna. La sua opera più famosa è “Confutazione dei materialisti” (ar-rady ala ad-Dahirigin). Egli non fu, tuttavia, un grande scrittore: al-Afghani è importante, infatti, come “organizzatore” politico culturale e come maestro, dal momento che ebbe, tra i suoi seguaci, Mohammed Abduh, Saad Zaghul, Mustafa Kamil, Abdullah an-Nadin, Adibi Ishaq e Kawakibi; uomini tutti che furono, in seguito, alla testa delle varie organizzazioni patriottiche arabe. 12
Come islamista, egli fu interessato alla rinascita politica di tutto il mondo islamico, anche se il suo seguace, Abdar-Rahaman Kawakibi, originario di Aleppo e proveniente da una nota famiglia siriana, ebbe a divergere da lui su una questione molto importante. Infatti, nel 1903, al Cairo, Kawakibi pubblicò la sua opera “Umm el Qurà” (epiteto canonico della Mecca), nella quale, differenziandosi dall’Afghani, contrappose gli Arabi alla Turchia. Così scrive Ettore Rossi a proposito di questo libro di Kawakibi: “…la immaginaria associazione sognata da el-Kawakibi è in fondo un organismo di rivendicazione degli Arabi…Era una costruzione utopistica, ma merita di essere rilevata per lo spirito di rinnovamento e di rinascita che l’animava”.13
Opera successiva di Kawakibi fu “Gli attributi della tirannide”, una raccolta di suoi articoli, apparsi sulla stampa egiziana, che hanno per oggetto la tirannia.14
Mohammed Abduh, anch’egli discepolo di al-Afghani, fondò il “Partito nazionalista liberale”, il primo partito politico egiziano. Ne fecero parte civili come Saad Zaghul, che ne divenne il capo nel primo dopoguerra, e militari come Orābī Pascià. Il loro programma fu effettivamente nazionale, nazionalitario anzi, come direbbe Anouar Abdel Malek, nell’accezione cioè patriottica del termine, contro ogni tipo di ingerenza straniera e liberal democratica, perché lottavano per una costituzione che instaurasse in Egitto un regime parlamentare.15 A coronamento di tale attività, nel 1882 scoppiò la prima rivolta patriottica araba: nazionalisti egiziani, alla testa di alcuni reparti dell’esercito e di masse di popolo, costrinsero il Kedive Teufiq ad accettare il governo Barudi-Orābī, imposto dagli insorti.
Era questa la prima volta che i nazionalisti arabi prendevano le armi in pugno e la prima volta che ottenevano la vittoria: ma tutto questo durò poco. Così scrive Bruno Aglietti nel suo libro sull’Egitto: “Il 6 Luglio l’Ammiraglio Seymour (futuro Lord Alcester) intimava al Governo egiziano, secondo le menzionate istruzioni, la immediata sospensione dei lavori militari nel porto. Il 10 successivo notificava ai rappresentati delle Potenze che avrebbe ordinato entro ventiquattro ore il bombardamento delle fortificazioni se queste non si fossero arrese, mentre il Governo egiziano veniva invitato, mediante ultimatum, a consegnare le fortificazioni stesse. Ma la richiesta venne respinta da Orābī. “L’autorità civile e militare – diceva la risposta – non ha da rimproverarsi alcun atto che giustifichi il reclamo dell’Ammiragliato; salvo qualche riparazione urgente alle antiche costruzioni, i forti sono tuttora nello stato in cui si trovavano prima dell’arrivo della Flotta. Siamo qui in casa nostra ed abbiamo il diritto e il dovere di premunirci contro qualunque nemico che volesse prendere l’iniziativa della rottura dello stato di pace che secondo il Governo inglese non ha mai cessato di esistere. L’Egitto, tutore dei suoi diritti e del suo onore, non può consegnare alcun forte e nessun cannone, senza esservi costretto dalla forza delle armi.”16
Il bombardamento navale di Alessandria dell11 Luglio 1882, e la successiva campagna militare, stroncarono il movimento rivoluzionario; gli uomini del generale Orābī, male armati e senza una moderna, adeguata preparazione militare, furono sconfitti definitivamente, nel Settembre, a Tel-el Kebir, dalle meglio addestrate e modernamente armate truppe britanniche. I capi nazionalisti furono esiliati o incarcerati.
I moti egiziani del 1882 hanno una grande importanza dal punto di vista del movimento patriottico arabo: era l’alba della rivoluzione. Dopo il 1882 la lotta fu più decisa; gli uomini più sicuri e più numerosi.17 18
Note
1Francesco Gabrieli, Il risorgimento arabo, Torino, 1958, p. 43. Nota del blog. Riportiamo la parte in questione: il “giornalismo del tardo Ottocento, prima e significativa manifestazione del risorgimento arabo nel campo culturale più ancora che in quello strettamente politico, si impone tuttora all’apprezzamento dello storico per la sua generosa fede negli ideali che si sogliono appunto chiamare ottocenteschi, avendo avuto in quel secolo la loro piu esplicita formulazione: libertà degli individui e dei popoli, fraternità umana, illimitato progresso, democrazia. L’Oriente arabo li apprese tutti dall’Occidente, magari nell’atto stesso che l’Occidente li contraddiceva in pratica nei suoi rapporti con i « popoli di colore », Arabi compresi. Ma questa pratica contraddizione non tolse per allora a questi ultimi la fiducia e l’entusiasmo per i princìpi.”
2Scrive Jacques Berque, Gli arabi ieri e domani (Milano, 1961, p. 252): “L’Islam era venuto a simbolizzare, con la lingua, ciò per cui gli Arabi differiscono, ossia per molti aspetti ciò che sono, in un tempo in cui essi erano soprattutto contro l’imperialismo…Le reazioni iniziali della comunità islamica all’insediamento delle Potenze straniere si identificarono quasi dovunque con il conservatorismo religioso e sociale: “guerra santa”, sollevamento di tribù, fermento di ribellione cittadina.”
3Anouar Abdel Malek, Esercito e società in Egitto, Torino, 1967, p. XIV. Nota del blog. Vi è un errore di pagina citata da Goglia. Anouar parla di nazionalitarismo a pagina XV nella prefazione del suo libro: “Via nazionalitaria e non nazionalista. Tutto converge in effetti verso la strutturazione, la ristrutturazione, il recupero della nazione e dello stato nazionale; non si tratta di respingere l’esterno, l’altro da sé, ma piuttosto di affermare la propria essenza nazionale. Distinzione fondamentale per comprendere l’esperienza egiziana di questo primo decennio di regime militare, ma anche tutto il periodo che va dal 1919 а oggi. Mentre il movimento « nazionalista » presenta soprattutto aspetti negativi, non disgiunti a volte da volontà imperialiste, il tentativo « nazionalitario » va inteso come processo di edificazione autonoma e autentica, come una profonda riconquista della propria identità, che va molto al di là delle semplici battaglie per la sovranità о della semplice protesta.”
4George Antonius, The Arab Awakening, London, 1938, pp. 45-51; Ettore Rossi, Documenti sull’origine e gli sviluppi della questione araba (1875-1944), Roma, 1944, p. VIII; Albert Hourani, Arabic Thought in the Liberal Age (1798-1939), London-New York-Toronto, 1962, pp. 95-98
5Albert Hourani, op. cit., pp. 99-102
6Ettore Rossi, op. cit., p. IX
7Ibidem, p. X. Il grande studioso del nazionalismo arabo, il palestinese George Antonius, pose il primo di questi versi citati in testa alla sua opera fondamentale The Arab Awakening, più volte citata in questo lavoro.
8George Antonius, op. cit., p. 50; Ettore Rossi, op. cit., p. X
9Per l’integrale traduzione italiana della costituzione ottomana del 1876 vedi Amedeo Giannini, Le costituzioni degli Stati del Vicino Oriente, Roma, 1931, pp. 425-427. Nota del blog. L’opera di Giannini menzionata da Goglia contiene integralmente la Costituzione turca del 20 Aprile 1924. Riguardo la Costituzione del 1876, Giannini cita Jean-Henri-Abdolonyme Ubicini nella nota 2 di pagina 426 come primo traduttore francese della carta fondamentale dell’Impero turco. Luigi Luzzati prese questa edizione di Ubicini e la tradusse in italiano, pubblicandola nella rivista Biblioteca di Scienze Politiche, vol. X, seconda serie, pagg. 141-150. Qui vi è la versione elettronica della Costituzione turca del 1876.
10George Antonius, op. cit., pp. 80-84
11Ettore Rossi, op. cit., p. XII
12F. Gabrieli, Il risorgimento arabo, cit., p. 45; E. Rossi, op. cit., p. XII; Hazen Zaki Nuseibeh, The Ideas of Arab Nationalism, New York, 1956; A. Hourani, op. cit., pp. 108 ss.; F. Gabrieli, La civiltà arabo-islamica, Torino, 1956, p. 150 e p. 173; Maxim Rodinson, Israel et le refus arabe: 75 ans d’histoire, Paris, 1968, p. 18. Nota del blog. Su Al-Afghani riportiamo ciò che scrissero Gabrieli e Rodinson. Gabrieli, ne “Il risorgimento arabo”, parla di Al-Afghani e tutti i nomi citati da Goglia tra il capitolo 3, “L’Ottocento”, pag. 42, e nel capitolo 4, “Ideali e moti nazionali fino al 1914”, pagg. 49-54. Nel testo “Aspetti della civiltà arabo-islamica”, Gabrieli scrive questo su Al-Afghani: “Una ottocentesca, e, come bene è stato detto, garibaldina figura di agitatore sta a capo del moto modernista nell’Islàm, Giamàl ad-din al-Afghani. Questo afghano о persiano dall’ardente temperamento di apostolo, che non molto lasciò scritto ma moltissimo agì con la parola viva e con l’opera in tutto il mondo musulmano, e finì nel 1897 virtuale prigioniero del sultano rosso Abd ul-Hanùd, inaugura il nuovo metodo apologetico, che è di insistere sui valori essenziali ed eterni della fede, sciogliendola da ogni pastoia di scuola e contrapponendola su un piano di parità alla civiltà europea.” (pag. 150) Rodinson, a differenza di Gabrieli, fa un quadro più completo su Al-Afghani: “Il primo grande mobilitatore fu Jemâl ad-dîn al-Afghâni (1839-1897). Apparteneva alla stirpe dei grandi rivoluzionari nazionalisti e liberali del XIX secolo, cospiratore come loro, come loro massone di ispirazione laicista. […] Persiano sciita, si fece passare per un afghano sunnita (da cui il suo soprannome ingannevole, al-Afghâni, l’afghano) in modo da avere più influenza sul mondo sunnita. A un certo punto si convinse che la religione era ancora una forza potente che non si poteva disprezzare; anzi, poteva essere utilizzata per trascinare le masse contro il dispotismo reazionario, a suo avviso alleato (di fatto) del dominio straniero. Si creò quindi l’immagine di un santo uomo musulmano, senza però rivelare il suo vero volto ai suoi amici europei. Cercò di servirsi di una potenza europea contro le altre, cambiando più volte strategia, correndo il rischio di essere usato più di quanto lui stesse usando queste potenze. Ma seminò idee – idee semplici, a volte false, ma sempre mobilitanti – che dovevano germogliare su un terreno fertile. I suoi discepoli furono legioni sia in Iran che nell’Impero ottomano e nel resto del mondo musulmano. Essi divergevano su molti punti: l’atteggiamento nei confronti dell’Islam, la maggiore o minore apertura alle esigenze del modernismo, il desiderio di progresso sociale, la propensione a metodi più o meno violenti. Ma una linea comune era stata loro imposta dall’aspirazione primordiale e la più generale base sociale su cui dovevano poggiarsi: il recupero dell’autonomia nazionale contro gli imperialismi europei.”
13E. Rossi, op. cit., p. XIII
14A questo proposito Francesco Gabrieli scorge un legame con lo scritto sulla tirannide di Vittorio Alfieri, affermando che l’autore arabo era senz’altro a conoscenza dello scritto del nostro. Il tiranno era il sultano turco Abdul Hamid II e la tirannia il suo governo assoluto e dispotico. F. Gabrieli, Il risorgimento arabo, cit., p. 42
15A. Hourani, op. cit. , p. 42
16Bruno Aglietti, L’Egitto dagli avvenimenti del 1882 ai giorni nostri, 2 voll., Roma, 1965, vol. I, p. 110
17G. Antonius, op. cit., p. 100; F. Gabrieli, Il risorgimento arabo, cit., pp. 49-50. Nota del blog. Riportiamo la parte di Gabrieli sui fatti dell’Egitto: “I tumulti xenofobi del 1882, che dettero all’Inghilterra l’agognato pretesto per intervenire militarmente in Egitto, si inserirono su una crisi interna da tempo in corso, che opponeva all’autorità khediviale i più dinamici rappresentanti del moto liberal-nazionalista (appunto al-Barudi e Orabi, prevalsi sugli elementi più moderati del partito, come lo stesso Mohammed Abduh). Uno dei primi atti del governo Barudi-Orabi, impostosi al Khedivenel febbraio dell’82, fu lo scioglimento di una precedente anodina Assemblea consultiva, e la promulgazione di una assai più larga legge elettorale. Ma l’intervento inglese (forse in tale situazione tutt’altro che sgradito al Khedive), cui segui il processo, la condanna e l’esilio dei capi nazionalisti, segnò insieme la fine di quel partito e soffocò sul nascere quel primo tentativo di una vera vita parlamentare egiziana.”
18Nota del blog: la presenza degli anarchici e internazionalisti nel paese nordafricano aveva fatto sì che molti di loro partecipassero ai moti di rivolta. Errico Malatesta, nella “Nota Biografica” curata da Giampietro Berti del libro “Errico Malatesta. Il buon senso della rivoluzione” (Eleuthera, Milano, 1999, pag. 36), partecipò alla rivolta anti-coloniale dell’estate del 1882. Parrini, nell’articolo “L’anarchismo in Egitto,” scrisse: “Circa un mese dopo il predetto bombardamento vennero dall’Europa Errico Malatesta, Cesare Ceccarelli, Gaetano Marocco e Apostolo Paolides con l’intenzione di raggiungere Arabi pascià (nome italianizzato di Orābī, ndr) che trovavasi accampato a Damanno. Il loro scopo era di tentare un colpo di mano a favore dell’anarchia. L’esistenza di cordoni militari intorno alla città e le continue piccole scaramucce impedirono ad essi ed all’Orso di conseguire lo scopo. Molti furono i tentativi fatti per superare i loro cordoni: si tentò dalla parte del mare affine di sbarcare ad Abukir, dalla parte di terra a Ramleh, dal Nilo. Il più pericoloso ed arrischiato fu il tentativo attraverso il lago Mariut, che per la chiusura delle acque del canale Mahmondich era seccato: nemmeno questo, come nessuno dei menzionati, riuscì: la melma ancora tenera del lago obbligò alla ritirata.” Una testimonianza similare ma meno dettagliata la riporta D’Angiò in “Le idee avanzate in Egitto”: “Nel 1882, quando Arabi pascià compiè degli atti che in seguito furono comunemente ritenuti come quelli d’un traditore (mentre per noi non erano e non sono che le conseguenze dell’autonomia politica voluta dagli ultimi conquistatori), vi fu un gruppo d’individui quasi tutti appartenenti all’Internazionale, il quale approfittò dei famosi avvenimenti per provocare in un modo purchessia, la ribellione all’autorità. Di quegli individui che furono gli autori d’un movimento veramente rivoluzionario, avente di mira lo scuotimento delle istituzioni allora vigenti, molti sono scomparsi, ma parecchi sono tuttora vivi e dimorano in Egitto.”