Una nuova alba per la miniera di rame di Mes Aynak in Afghanistan?

Nota

Con il seguente articolo inauguriamo su questo blog il tag “Informazioni Nemiche”. Non è la prima volta che trattiamo articoli provenienti da media non dichiaratamente anarchici, resistenti e/o compagneschi; a questo giro, però, riteniamo necessario dover specificare la nostra scelta redazionale. Secondo la vulgata comune, le “Informazioni Nemiche” sono tutte quelle notizie che provengono da una fazione avversa alla propria, da cui si estraggono alcuni punti salienti e fondamentali per capire e comprendere, a livello generale, come si muova e cosa vuole l’avversario. Le fonti di queste “informazioni nemiche” sono pubblicate dai media tradizionali, nuovi e istituzionali, volti a dare una panoramica “neutrale” ad un vasto ed eterogeneo pubblico. La realtà è che queste comunicazioni sono, di per sé, filtrate e di parte, presentando una notizia positiva e/o negativa a secondo dello schieramento politico-economico. Tale stato di cose porta tali informazioni ad essere parziali, fallaci, superficiali e, a volte, palesemente false. Per riuscire ad avere una panoramica di tutto questo e “depurarle” dalle retoriche, piaggerie ed esternazioni positive/negative, occorre una ricerca minuziosa e precisa riguardanti le notizie pubblicate – anche scritte in altre lingue – e saper distinguere scientemente tutto ciò. Questo lavoro di “contro” informazione, nel contesto anarchico, significa saper leggere le “informazioni nemiche” e riportare o con tanto di critica e proposte o banalmente mettere in evidenza i movimenti dei potentati economico-politico – in particolare di contesti dove il Capitale e lo Stato si muovono per il controllo e il monopolio di determinate risorse ed esseri viventi.

Le notizie così riportate saranno utili a tuttu, compagnu o chiunque creda in un sistema diverso da quello odierno, per comprendere cosa accade in determinati contesti – specie riguardanti le risorse minerarie e i flussi migratori umani e non -, ed intavolare dei dibattiti atti a contrastare tutte le iniquità e nefandezze dettate dalle attuali logiche capitalistiche-statali.

 

Traduzione dell’articolo “A New Dawn for Afghanistan’s Mes Aynak Copper Mine?

Dopo 16 anni di ritardi, la scorsa settimana i rappresentanti del governo talebano dell’Afghanistan e gli ingegneri cinesi hanno aperto la miniera di Mes Aynak – che si stima essere il secondo più grande giacimento di rame al mondo. I nastri tagliati riguardavano una strada di accesso, un piccolo primo passo definito dai Talebani come progetto “cruciale”.

Si ritiene che l’Afghanistan abbia notevoli riserve minerarie – in gran parte non sfruttate a causa delle guerre pluridecennali e annessa instabilità politica. In totale, queste risorse – che vanno dal rame al ferro, passando per il litio e altri minerali critici – hanno un valore stimato di 1-3.000 miliardi di dollari.

Si stima che Mes Aynak, situato a circa 40 chilometri a sud-est di Kabul, nella provincia di Logar, contenga (a seconda delle fonti) tra i 5,5 e gli 11,5 milioni di tonnellate di rame di alta qualità. I governi afghani che si sono succeduti – e la Cina – hanno a lungo sperato di sfruttare il potenziale della miniera; ma le controversie contrattuali hanno impedito i progressi tra problemi di sicurezza, sfide logistiche e cambiamenti di governo.

Nel Novembre 2007, la China Metallurgical Group Corporation (MCC), un conglomerato statale cinese, aveva superato di un miliardo di dollari le proposte concorrenti – stanziando 3,4 miliardi di dollari per un contratto trentennale riguardante lo sviluppo della miniera. Il contratto era stato formalmente assegnato nel Maggio 2008; l’intenzione era di avviare la produzione entro cinque anni. Secondo la visione originale, l’estrazione, la fusione e la lavorazione del rame grezzo dovevano avvenire in Afghanistan. Erano stati discussi anche importanti progetti infrastrutturali, come una centrale elettrica e una ferrovia.

Invece di avviare la produzione come inizialmente previsto, nel 2013 MCC aveva richiesto una revisione del contratto. I piani per la centrale elettrica e la linea ferroviaria erano stati abbandonati e poco dopo il progetto si era bloccato del tutto. Secondo quanto riferito, il personale cinese aveva lasciato il paese nel 2014, quando la guerra in Afghanistan era entrata in una nuova fase.

Nel vicino Pakistan, la Cina aveva iniziato a investire del denaro per il “Corridoio economico Cina-Pakistan” (CPEC). I lavoratori pakistani e cinesi erano diventati bersaglio di gruppi militanti. Le preoccupazioni per la sicurezza avevano certamente afflitto anche Mes Aynak, soprattutto quando i Talebani e la Cina avevano iniziato a negoziare il riavvio del progetto.

Non molto tempo dopo che i Talebani hanno preso il controllo di Kabul nell’Agosto 2021, il Ministro delle Miniere e del Petrolio Shahbuddin Dilawar, ha spinto per un nuovo impegno con MCC. Come ha riportato l’Associated Press nel Marzo 2022, “Ziad Rashidi, direttore delle relazioni estere del ministero, ha contattato il consorzio composto da MCC, China Metallurgical Group Corporation e Jiangxi Copper Ltd.. Secondo i funzionari della società e del ministero, Dilawar ha avuto due incontri virtuali con MCC negli ultimi sei mesi. Li ha esortati a ritornare sul progetto della miniera, a condizioni invariate rispetto al contratto del 2008.”

Rashidi ha dichiarato all’Associated Press che “le aziende cinesi vedono la situazione attuale come ideale per loro. Mancano i concorrenti internazionali e c’è molto sostegno da parte del governo.”

I Talebani, che avevano attaccato i posti di blocco vicino alla miniera nel 2020, hanno riconosciuto in Mes Aynak – e nel Capitale cinese – un’opportunità finanziaria senza precedenti.

Al taglio del nastro del 24 Luglio, che ha segnato l’inizio dei lavori per la costruzione di una strada di accesso alla miniera, il vice primo ministro per gli Affari economici Abdul Ghani Baradar ha dichiarato: “Il tempo perso nell’attuazione del progetto dovrebbe essere recuperato con un lavoro rapido.”

In precedenza, come riportato da Tolo News, un portavoce del Ministero delle Miniere e del Petrolio ha dichiarato su X: “La società appaltatrice è stata obbligata ad avviare le operazioni di questa importante miniera di rame di livello mondiale e il suo processo al 100% (in conformità con gli impegni del 2008) entro la fine di questa settimana.”

I funzionari talebani, tuttavia, hanno moderato l’entusiasmo, osservando che, probabilmente, ci vorranno due anni prima che i lavori di estrazione possano iniziare.

Se Mes Aynak inizierà o meno a produrre rame entro il 2026 dipenderà da diversi fattori, non in ultimo la sicurezza. Ma gli intoppi più probabili saranno gli stessi che hanno fatto deragliare il progetto in passato: il dibattito sui termini del contratto e le difficoltà logistiche. Un nuovo fattore è il governo talebano stesso, che certamente vede il progetto – e gli investimenti cinesi – come un percorso di legittimazione internazionale, se non di riconoscimento ufficiale.

L’ambasciatore cinese in Afghanistan Zhao Xing ha dichiarato al taglio del nastro che “le relazioni economiche e commerciali tra i due Paesi stanno diventando sempre più strette”. In una nota pubblicata dall’ambasciata si legge: “La parte cinese è disposta a collaborare con la parte afghana nel promuovere, senza problemi, lo sfruttamento delle risorse minerarie locali e garantendo, al contempo, un’efficace protezione delle reliquie culturali – in modo da rendere questo progetto un modello di cooperazione per gli investimenti tra Cina e Afghanistan”.

Oltre al rame, Mes Aynak ospita i resti di un’antica città buddista. I Talebani si sono impegnati a preservare l’eredità del sito, abbandonando il loro passato di distruzione delle statue di Buddha.

Inoltre, nella nota dell’ambasciata viene riportato che la parte afghana si impegna a “fare il possibile per garantire la sicurezza e l’interesse della società cinese.”

Appendice

Per una panoramica storica e attuale, anche se datata, in chiave anarchica riguardante le vicende afgane tra l’invasione sovietica, il dominio dei Talebani e l’intervento statunitense, consigliamo la lettura del libro di Marco Rossi, “Afghanistan senza pace. Cronache di guerra 2001-2006”, Zero in Condotta, Milano, 2006.

L’ambiguità democratica si rivela persino nel linguaggio: nessuno si riferisce alla guerriglia o alle rivolte popolari in quanto tali, preferendo usare espressioni quali terroristi e criminali, identiche a quelle usate dalla propaganda sovietica durante l’occupazione dell’Afghanistan degli anni Ottanta. Da qui la necessità di opporsi alla disinformazione, quale primo passo per opporsi a questa guerra in cui l’Italia resta coinvolta e arruolata.” (estratto dalla quarta di copertina)