Grandi esigenze, finanziamenti limitati
Reuters e Big Local News hanno esaminato 44.539 registrazioni dei contributi finanziari per il clima segnalati alla “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici” (UNFCCC), l’ente incaricato di tenere traccia dell’impegno. I contributi, provenienti da 34 Paesi e dall’Unione Europea, hanno riguardato il periodo compreso tra il 2015 e il 2020, l’anno più recente per il quale sono disponibili i dati.
L’UNFCCC non richiede ai Paesi di riferire i dettagli chiave dei loro finanziamenti. I giornalisti hanno esaminato anche 133.568 registrazioni raccolte dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) per identificare le condizioni di assunzione vincolate ai finanziamenti sul clima dello stesso periodo.
L’esame ha confermato che i Paesi sviluppati hanno conteggiato alcuni aiuti condizionati ai fini del loro impegno di finanziamento per il clima di 100 miliardi di dollari. Poiché i registri dell’UNFCCC non sono dettagliati, Reuters non ha potuto determinare se tutti questi aiuti siano stati conteggiati.
Per comprendere meglio i modelli di finanziamento rivelati dai dati, i giornalisti hanno consultato 38 analistu e studiosu del clima e delle finanze per lo sviluppo, attivistu per il clima, ex e attuali funzionari e negoziatori per il clima dei Paesi in via di sviluppo e rappresentanti delle agenzie per lo sviluppo dei Paesi ricchi.
I risultati di Reuters sono arrivati mentre i Paesi stavano cercando di negoziare un nuovo obiettivo di finanziamento per il clima più elevato entro la fine dell’anno. Le Nazioni Unite hanno stimato che sono necessari almeno 2,4 trilioni di dollari all’anno per raggiungere gli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi – il quale prevedeva di evitare che la temperatura media globale aumentasse di oltre 2 gradi Celsius (3,6 gradi Fahrenheit) rispetto ai livelli preindustriali.
La spesa recente impallidisce al confronto. Probabilmente i Paesi ricchi hanno raggiunto l’obiettivo annuale di 100 miliardi di dollari per la prima volta nel 2022 – grazie ai contributi diretti da Paese a Paese e ai finanziamenti multilaterali da parte delle banche per lo sviluppo e i fondi per il clima. Secondo le stime dell’OCSE, tra il 2015 e il 2020 i Paesi ricchi hanno versato almeno 164 miliardi di dollari per il finanziamento del clima attraverso le istituzioni multilaterali – circa l’80% dei quali in prestito – oltre ai contributi diretti dei Paesi.
A causa dell’irregolare segnalazione dei gruppi multilaterali, Reuters non è stato in grado di determinare la percentuale di questi prestiti – che prevedevano tassi di interesse di mercato o condizioni di assunzione.
Almeno 3 miliardi di dollari della spesa diretta sono stati destinati a quei progetti che non hanno aiutato i Paesi a ridurre le emissioni o a difendersi dai danni del cambiamento climatico, come ha rilevato un’indagine Reuters del Giugno 2023. Ingenti somme sono state destinate ad una centrale a carbone, un hotel, una cioccolateria e ad altri progetti che non sono collegati per nulla alle iniziative sul clima.
Un buco sempre più profondo
I Paesi fortemente indebitati si trovano ad affrontare un circolo vizioso: i pagamenti del debito limitano la loro capacità di investire in soluzioni climatiche, mentre le condizioni meteorologiche estreme causano gravi perdite economiche – che spesso li portano a contrarre ulteriori prestiti. Un rapporto del 2022 del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite ha rilevato che più della metà dei 54 Paesi in via di sviluppo indebitati sono anche tra i più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico.
Le nazioni indebitate hanno ricevuto miliardi di prestiti per il clima
Queste 10 nazioni hanno contratto un debito complessivo di 11,5 miliardi di dollari grazie ai prestiti per il clima tra il 2015 e il 2020.
Dato che l’ammontare dei finanziamenti per i progetti climatici è ancora lontano da quello prefissato, alcuni analisti sostengono che i prestiti debbano far parte dell’equazione della finanza climatica. I rappresentanti degli aiuti allo sviluppo di Stati Uniti, Giappone, Francia, Germania e Commissione Europea affermano che, rispetto alle sovvenzioni, i prestiti permettono di destinare una quantità maggiore di denaro ai progetti significativi.
Nelle interviste rilasciate a Reuters, otto rappresentanti che hanno lavorato sulle questioni climatiche dei Paesi in via di sviluppo dichiarano di ritenere che i prestiti siano necessari per finanziare i progetti ambiziosi – visti i fondi limitati che le nazioni ricche hanno stanziato per la finanza climatica. Ma hanno aggiunto che per i prossimi impegni, le nazioni ricche e le istituzioni multilaterali debbano essere più trasparenti sulle condizioni di prestito e offrire delle protezioni contro i prestiti che creano un debito soffocante.
“Il modo in cui il sistema finanziario internazionale funziona attualmente… è quello di scavare una fossa ancora più profonda”, ha detto Kyte, ex inviata della Banca Mondiale per il clima che di recente ha assistito la Gran Bretagna nei negoziati climatici. “Dobbiamo dire: “no, basta scavare, riempiremo la buca e vi tireremo su”.”
“Un cattivo prestito”
Dopo anni di appelli da parte dei Paesi in via di sviluppo, il segretario esecutivo dell’UNFCCC Simon Stiell ha pubblicamente esortato i Paesi ricchi ad offrire i cosiddetti prestiti agevolati con tassi di interesse molto bassi e lunghi periodi di rimborso; ciò li renderebbe meno costosi di quelli venduti sul mercato aperto. L’UNFCCC e l’OCSE non hanno rilasciato commenti a questa uscita. L’UNFCCC ha invece rimandato a Reuters le precedenti dichiarazioni di Stiell.
Come risulta dai rapporti delle Nazioni Unite, dal 2015 al 2020 il 18% circa dei prestiti per il clima concessi dai Paesi ricchi, pari a 18 miliardi di dollari, non sono stati agevolati – compresi più della metà dei prestiti segnalati, rispettivamente, da Stati Uniti e Spagna. È probabile che questi totali siano sottostimati, dato che i Paesi ricchi sono tenuti a comunicare volontariamente alle Nazioni Unite se i loro prestiti siano agevolati o meno.
Nel 2017 la Francia ha concesso un prestito non agevolato di 118,6 milioni di dollari alla città portuale di Guayaquil (Ecuador) per la costruzione di una tramvia. Il prestito, che la Francia ha conteggiato come parte del suo impegno di finanziamento per il clima, mostra come il programma globale possa creare un debito costoso nei Paesi in via di sviluppo – in cambio di pochi vantaggi ambientali -, mentre le nazioni finanziatrici ne beneficiano.
Chiamate Aerovia, le cabinovie sono state presentate come un’alternativa rispettosa del clima rispetto ai ponti congestionati che collegano l’industriale Guayaquil alla città vicina – dove vivono le persone lavoratrici. Quattro anni dopo la sua inaugurazione, l’Aerovia trasportava circa 8.300 passeggeri al giorno. Si tratta di un quinto dei passeggeri previsti nei primi documenti di pianificazione, con conseguenti entrate e benefici ambientali inferiori alle aspettative.
Il debito derivante dal prestito si è aggiunto al deficit di bilancio di Guayaquil – pari a 124 milioni di dollari. Secondo i primi documenti di pianificazione, Guayaquil avrebbe dovuto pagare un interesse del 5,88%. Secondo le proiezioni, la Francia avrebbe guadagnato 76 milioni di dollari in interessi nel periodo di rimborso ventennale. Secondo gli analisti finanziari, questo tasso di interesse sarebbe insolitamente alto per un prestito legato [all’abbattimento del cambiamento climatico]. Un’analisi dell’OCSE del 2023 sui prestiti agevolati di 12 Paesi sviluppati e dell’Unione Europea, ha rilevato che nel 2020 questi offrivano un tasso di interesse medio dello 0,7%. Guayaquil e la Francia hanno rifiutato di rivelare il tasso di interesse del contratto di prestito finale per la tramvia.
“Questo è un classico esempio in cui un cattivo prestito concesso ad un Paese – sotto le mentite spoglie di un finanziamento per il clima -, creerà ulteriore… stress finanziario”, ha dichiarato Bharadwaj, ricercatrice sul clima dell’ “Institute for Environment and Development”.
L’accordo di prestito non prevedeva che Guayaquil assumesse una società francese. Tuttavia, la società di trasporti francese Poma ha vinto l’appalto per la costruzione del tram – insieme alla società panamense SOFRATESA, fondata da un cittadino francese. Le società gestiscono anche la tramvia; il Comune, quindi, non incassa alcun introito derivante da biglietti e abbonamenti venduti. Di conseguenza è impossibilitato a rimborsare il prestito. Nessuna delle due società ha risposto alle domande di Reuters.
Secondo una presentazione preparata dal governo locale prima del lancio del tram, quasi tutti i componenti dell’Aerovia – comprese le cabine, i quadri elettrici e i cavi – sono stati prodotti in Francia e in Svizzera e poi spediti a Guayaquil.
Per Euan Ritchie, senior policy adviser di “Development Initiatives”, un’organizzazione di politica internazionale, il progetto equivale ad un “trasferimento di ricchezza dall’Ecuador alla Francia”.
Contestando questa affermazione, un portavoce dell’agenzia di sviluppo francese ha dichiarato che la tramvia appartiene alla città e che l’agenzia ha valutato il rischio di stress finanziario prima di approvare il prestito. La tranvia, sempre secondo questo portavoce, ha già prodotto una “significativa riduzione dei gas serra” nonostante il basso numero di passeggeri e la mancanza di [dati]. Il portavoce ha dichiarato che l’Agenzia non partecipa alla selezione dei contraenti.
Tuttavia, l’agenzia di sviluppo francese ha strombazzato i successi delle aziende francesi nell’aggiudicarsi tali contratti. Il rapporto annuale dell’agenzia per il 2022 afferma che più del 71% dei suoi progetti ha coinvolto “almeno un attore economico francese”, ottenendo “benefici economici” per 2 miliardi di euro. Il portavoce ha rifiutato di fornire delle stime su quanto i fornitori francesi beneficino dei finanziamenti legati al clima. Le aziende francesi spesso vincono le gare d’appalto perché hanno “una conoscenza approfondita e una presenza locale” nelle regioni in cui l’AFD invia aiuti significativi, ha dichiarato il portavoce, aggiungendo che “non si favoriscono in alcun modo i soggetti in base alla loro nazionalità.”
Secondi fini
Secondo i dati dell’OCSE, quasi il 32% di tutti i prestiti giapponesi per il clima prevedevano che i mutuatari utilizzassero almeno una parte del denaro per assumere aziende giapponesi. Secondo Reuters, questi prestiti hanno restituito all’economia giapponese almeno 10,8 miliardi di dollari.
I requisiti di prestito hanno aiutato la Sumitomo Corp. e la Japan Transport Engineering Co. ad aggiudicarsi tre contratti del valore di oltre 1,3 miliardi di dollari per la fornitura di 648 vagoni ferroviari e progetti ferroviari e metropolitane elettrificate nelle Filippine. Una consociata della Sumitomo, la Sumitomo Mitsui Construction Co., si è aggiudicata due contratti del valore di oltre 1 miliardo di dollari per la costruzione di edifici ferroviari e stazioni.
Un portavoce della Sumitomo Corp. ha dichiarato che, nonostante [le norme sui] prestiti richiedessero un appaltatore principale giapponese, non richiedevano, però, l’uso di subappaltatori nipponici. Il portavoce non ha risposto alla domanda se l’azienda avesse utilizzato subappaltatori locali per il progetto ferroviario filippino.
Anche la Japan Transport Engineering Co. non ha risposto alle domande.
Erika Lennon, avvocata senior del “Center for International Environmental Law”, ha dichiarato che gli aiuti con condizioni di assunzione privano le aziende locali di opportunità commerciali ed eliminano le possibilità per i Paesi in via di sviluppo di costruire competenze nelle tecnologie sostenibili. Undici fonti hanno detto che i requisiti contraddicono le clausole dell’Accordo di Parigi – le quali esortano le parti a dare priorità al “trasferimento di tecnologia e allo sviluppo di capacità” dei Paesi in via di sviluppo.
Interrogato da Reuters sui prestiti condizionati del Giappone, Kiyofumi Takashima, portavoce dell’Agenzia giapponese per la cooperazione internazionale (JICA), ha dichiarato che essi comportano condizioni molto favorevoli per i mutuatari e, di solito, coinvolgono consulenti, appaltatori e lavoratori locali. I consulenti e gli appaltatori giapponesi fanno “il massimo sforzo per trasferire tecnologia e competenze” agli attori locali.
La politica della JICA nel periodo esaminato da Reuters prevedeva che questo tipo di prestito avesse un tasso di interesse dello 0,1% e un periodo di rimborso di 40 anni.
Gli aiuti condizionati possono comportare costi aggiuntivi; di conseguenza i beneficiari non possono prendere in considerazione contraenti più economici. Nel 2001 l’OCSE ha raccomandato di porre fine a tali requisiti, citando un suo studio del 1991 – secondo il quale possono aumentare fino al 30% i costi per i Paesi beneficiari.
Saori Katada, esperta di politica estera giapponese presso l’Università della California del Sud, ha citato una ricerca accademica secondo la quale le aziende giapponesi, di solito, applicano prezzi più alti rispetto alle loro controparti dei Paesi vicini – come Cina, Corea o Taiwan.
“Forse la qualità è buona, ma è sempre molto costosa”, ha detto Katada.
Altri Paesi impongono spesso requisiti di assunzione simili per le sovvenzioni. I reporter hanno scoperto che il 18% di tutte le sovvenzioni legate al clima segnalate all’OCSE tra il 2015 e il 2020 prevedevano tali requisiti per tutte o parte delle sovvenzioni.
L’Unione Europea ha esteso a 4 miliardi di dollari le sovvenzioni che richiedevano ai beneficiari di assumere aziende o agenzie di determinati Paesi. Gli Stati Uniti hanno riportato 3 miliardi di dollari e la Germania 2,7 miliardi di dollari di sovvenzioni con vincoli simili.
Un portavoce del Ministero tedesco per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ha dichiarato che le sovvenzioni non richiedevano l’assunzione di aziende tedesche e che non esistesse una politica favorevole verso i fornitori nazionali. Ma spesso i Paesi beneficiari devono pagare l’agenzia tedesca per lo sviluppo internazionale (GIZ) per consulenze e altri servizi tecnici.
Quasi tutti gli aiuti dell’Unione Europea dal 2021 sono stati esenti da tali requisiti di assunzione – ha dichiarato un portavoce dell’UE.
Tutti gli aiuti, indipendentemente da chi ottiene i contratti per svolgere il lavoro, vanno a beneficio dei Paesi destinatari, ha dichiarato un portavoce del Dipartimento di Stato americano. Il portavoce, inoltre, ha contestato l’idea che gli Stati Uniti abbiano imposto condizioni per le sovvenzioni – le quali hanno fatto rientrare 3 miliardi di dollari nella propria economia. L’aiuto potrebbe aver richiesto l’assunzione di aziende o agenzie di altri Paesi – non solo degli Stati Uniti -, ha detto il portavoce, che non ha offerto alcun esempio specifico.
I dati dell’OCSE indicano le aziende, le organizzazioni no-profit o le agenzie governative statunitensi come le principali entità che hanno ricevuto almeno l’80% delle sovvenzioni condizionate statunitensi per il clima – pari a 2,4 miliardi di dollari totali.
Questo “fa parte della stessa storia dei finanziamenti che vanno nella direzione sbagliata”, ha detto Kyte.