L’Adunata dei refrattari, n. 50, Volume XXVII, 25 Dicembre 1948. pagg. 1-2
Firma: Dando Dandi (pseudonimo di Candido Mollar)
La civiltà cristiana è basata sul trinomio inseparabile della ricchezza, della religione, della violenza; cioè sulla santissima trinità della Proprietà, della Chiesa e dello Stato. Da ciò consegue che il prototipo di questa civiltà, il vero cristiano è colui che possiede maggiore quantità di proprietà, e maggior prestigio nella società, e minori scrupoli morali. Essendo la guardiana gelosa della meravigliosa civiltà del secolo ventesimo, la chiesa commisura il merito del suo vero cristiano alla cooperazione ch’egli elargisce alla chiesa stessa, ai mezzi che inette a sua disposizione affinchè essa possa continuare la sua opera civilizzatrice sulla terra. Umanità, precetti cristiani, morale, amor del prossimo, fraternità, fede, carità, speranza, sono — per la chiesa, per tutte le chiese — tutte astrazioni di comodo, fole suggestive con cui adescare il popolino credulo, strumenti necessari ed efficacissimi per imbottire i cervelli della plebe, la quale ha nella vita soltanto il compito di servire alla potenza e alla gloria del capitalismo.
Capitalismo, infatti, significa palazzi, ville, banche, fabbriche, opifici, miniere, terreni, navi, treni, autocarri, macchine, manufatti, raccolti, commercio, finanza, speculazioni, interessi, rendite, dividendi, profitti : tutto ciò che costituisce ricchezza è subordinato al capitale divinizzato, ed impone i suoi dogmi tramite lo Stato, le leggi, la magistratura, la gendarmeria, le prigioni…
Il capitalismo rivendica tutto a se stesso, cioè ai monopolizzatori del capitale: la scienza, la tecnologia, le invenzioni, il sapere, che usa, e di cui abusa, soprattutto nelle guerre mondiali per … liberare l’umanità — che massacra al ritmo di decine di milioni di vite — dal pericolo delle guerre future, poichè l’ultima guerra viene sempre fatta per rendere impossibile la guerra per l’avvenire.
Il capitalismo si accaparra le scuole inferiori e le scuole superiori, le università e i collegi, i giornali, la radio, il libro, il teatro, l’ambiente sociale, onde plasmare gli schiavi mansueti e malleabili al grande sfruttamento.
Nel seno illuminato e misericordioso, della società cristiana, le moltitudini produttrici hanno la missione di disimpegnare un compito storico unico ed inflessibile, stabilito dalla natura, dalla divina provvidenza dagli insegnamenti della chiesa e dal manganello del poliziotto: lavorare e tacere.
Le aspirazioni dei popoli, i diritti dell’uomo e del cittadino, gli ideali di emancipazione sociale, gli aneliti alla libertà e alla giustizia sono i grandi nemici dell’ordine capitalistico e devono essere soffocati a tutti i costi. Le sublimi passioni dell’amore, della gioia, il concetto del nobile, del bello, del grande, del generoso, sono riservati agli individui delle classi privilegiate. Le sofferenze fisiche e morali, i dolori, le pene, gli strazi, le ansie, le privazioni, l’ignoranza, la fame sono retaggio della canaglia plebea, e non meritano nè preoccupazioni, nè pensieri preziosi della dorata borghesia dominante.
Il popolo, il lavoratore, il produttore, il diseredato del vigente sistema sociale, sono la folla indistinta dei senza nome, dei senza viso e dei senza voce: infiniti come i fili d’erba della prateria sconfinata, e come questi impossibili a distinguersi, privi di identità, privi di personalità, esseri cui la raffinata malavita del privilegio,nega spirito, intelletto, ingegno e decoro: la stessa dignità di esseri umani.
Va da sè che queste moltitudini sterminate non comprendono il cristianesimo se non nel senso volgare di sfolgoranti compensi nella vita futura, che le predispone alla rassegnazione, allo sfruttamento, alla miseria, all’abiezione – vero capolavoro psicologico del gesuitismo borghese, senza di cui la civiltà capitalistica sarebbe impossibile.
Tale, per sommi capi, è la filosofia del borghese bene allevato, del capitalista modello, del cristiano perfetto, del cristianissimo.
Il cristianissimo è istruito, educato, raffinato, cortese, ben vestito, pulito, elegante nei modi nei gesti nella parola; ma sotto la tenue smagliante vernice batte il cuore crudele della belva pronta a scattare sulla preda inerme e indifesa. L’umanitarismo del cristianissimo si ferma all’affetto dei suoi congiunti, dei suoi amici, e all’ambiente circoscritto della sua poco numerosa ma potente classe, giacchè — badate bene — egli ama il danaro, il dominio economica, il prestigio sociale quanto, o forse più, della propria famiglia. Tutto ciò che è al’ di fuori di questa sacra orbita non rappresenta che materiale da sfruttare per essere convertito in pecunia sonante, da addizionare al suo vasto impero economico: materiale grezzo e semigrezzo, materiale rotabile, materiale umano, carbone, acciaio, manufatti, e così via di seguito…È una formula fredda, concisa, micidiale, come la canna di una mitra; un concetto sociale primitivo, in cui gli istinti dell’animale da preda sono appena appena velati; ma costituisce la quintessenza del sistema capitalista, che non ammette debolezze sentimentali nè deviazioni umanitarie nel suo barbaro complesso.
Non è necessario un esame psico-analitico per provare che il sadismo del cristianissimo lo relega fra i soggetti della patologia: raffinato nei gusti, conoscitore e apprezzatore delle belle arti e delle lettere, colto, delicatino, ombrosetto, sensibile, soffre dei dispiaceri domestici e si assicura che i suoi cani, i canarini, il pappagallo, siano ben nutriti e ben trattati. Ma ordina la chiusura delle sue fabbriche e getta sul lastrico migliaia di lavoratori che hanno l’ardire di chiedere un aumento di paga. Il terribile pensiero di migliaia di famiglie gementi nell’indigenza, di bambini affamati, di vecchi infermi, di esseri umani morenti in gelidi tuguri fra la sporcizia e l’abbandono, non disturba affatto i suoi sonni; anzi, ne gode perchè pensa che il buon Dio fu buono verso di lui risparmiandogli quella sorte, e perchè ravvisa nello strazio di quella gente la sferza di un ammonimento salutare che, intimidendo i lavoratori, li lega vieppiù al convoglio inumano del suo schiavismo.
Il cristianissimo va su tutte le furie ogni qualvolta gli operai delle sue industrie o delle sue miniere domandano un aumento di paga: allora l’animale da preda domina su ogni fibra del suo essere. Ma v’è qualcosa che è per lui anche più provocante e gli mantiene la bava alla bocca in permanenza, gli rode il cuore di macigno, gli sgretola il sistema nervoso come una lima sorda, tenace, irresistibile: e questo è l’odio per i sovversivi, per i rivoluzionari, per gli anarchici soprattutto, che gli sembrano tanto fuori dall’umanità da non meritare nemmeno, molte volte, d’essere da lui nominati.
Animati da un grande ideale, costoro si meritano d’altronde il suo odio implacabile: attaccano le ingiustizie sociali, denunciano la schiavitù, combattono la chiesa e la religione, mettono in ridicolo il clero, dileggiano i suoi costumi, le sue istituzioni, la sua morale, accusano la borghesia di essere nemica dell’umanità e del progresso, e a grandi colpi scalzano le fondamenta del sistema capitalista.
Il cristianissimo non è digiuno di storia, di intelligenza, di facoltà induttive; quindi sa benissimo che nulla è eterno, che le società umane sono soggette a cambiamenti repentini per mezzo di rivoluzioni sanguinose, qualora un sistema sociale sia divenuto troppo insopportabile ai popoli, all’umanità. Per di più, egli nutre segretamente il sospetto vago, ma continuo e seccante, che il sistema capitalista stia volgendo rapidamente al suo tramonto, che la sua diletta società borghese sia troppo odiata dai popoli della terra, che sia in fondo marcia in molti punti vitali, e che vada sfaldandosi un po’ dappertutto.
Inutile insistere che tutti i mezzi repressivi delle leggi, stimolati dal mortale rancore del cristianissimo, vengono messi in moto nel tentativo inane di fermare la marcia del progresso. Potete star sicuri che ogni giorno, ogni ora, ogni momento del cristianissimo sono dedicati alla titanica impresa di rinforzare, ingrandire i privilegi della propria classe e di eliminare senza pietà i suoi nemici. A questo compito egli si dedica con l’efficienza, la tenacia e l’astuzia felina dei suoi pari. Ciononostante, v’è un breve periodo, verso la fine dell’anno, in cui il cristianissimo pirata ammaina le vele del suo sanguinario vascello, per assumere la grottesca apparenza di un uomo onesto. Diversi sono i fattori che contribuiscono a questa istrionica metamorfosi di breve durata, che getta un vivido sprazzo di luce sulla sua incommensurabile ipocrisia: la tradizione secolare che si manifesta nel far rivivere nella propria figliolanza le gioie infantili coincidenti con la massima festa della cristianità : l’intima profonda soddisfazione di apparire generoso, di spargere intorno a sè regali a destra e a manca.
Naturalmente, non va dimenticato l’esempio, che il cristianissimo, come solida colonna del Sistema, deve dare al popolo in quanto credente, sincero, devoto, ardente, appassionato del Cristo che nasce per immolarsi sulla croce, onde salvare l’umanità da chissà quali terribili disastri. Tuttavia, è lecito supporre che il Natale ricorra come benvenuto sollievo al suo cuore indurito nella frode, nello scrocco e nel fratricidio; e che il ristoro di una insolita espansione di sentimenti, di affetti lungamente repressi, oltre la gioia autentica del momento, gli rinnovi le forze di riprendere per un altro anno la sua antisociale funzione di animale da preda.
Comunque sia, verso la metà di dicembre il cristianissimo comincia a sorridere, a comprare e ad accumulare doni; attitudine che va intensificandosi fino al 24 dicembre, data memorabile in cui il suo cuore si scioglie in un’apoteosi di incredibile generosità al punto da augurare pubblicamente che i diseredati abbiano quel giorno di che saziarsi.
Una volta all’anno. Non di più. In nome di Cristo.
Il cristianissimo distribuì somme di danaro a parecchie istituzioni di carità; e i suoi rappresentanti portarono ceste colme di vivande negli squallidi quartieri abitati dai più poveri fra i diseredati, da bambini cenciosi e macilenti, da donne dall’apparenza spettrale.
La notte di Natale si genuflette sul banco della chiesa, dove officiano sacerdoti dal collo lardoso dall’epa sporgente; e mentre sotto le grandi navate risuonano gli inni sacri, lui, il cristianissimo, pensa con animo grato al Cristo che sali il Golgota affinchè fossero costruite grandi cattedrali di marmo, dove preti briachi di salute e d’orgoglio e cristianissimi vili e ingordi potessero, osannare alla generosità del padreterno, dopo duemila anni di adorazione il 25 dicembre, dopo un pranzo luculliano alticcio di champagne, si siede vicino all’albero natalizio carico di luci sfolgoranti, di ninnoli e di orpelli multicolori; e il suo sentimentalismo trabocca di riconoscenza per la grandezza di questa sua civiltà capitalista, questo suo ordine sociale perfetto, insuperato e insuperabile, eterno — e, se Dio vuole, incrollabile. Si congratula innanzitutto seco stesso, giacché – come cristianissimo – la civiltà deve ad uomini come lui i suoi trionfi e la sua gloria, mentre egli non deve che al proprio ingegno i suoi successi.
Se non che, la maschera umanitario-religiosa, assunta per la ricorrenza del Natale, cade e svanisce con la stessa rapidità con cui fu messa, per rimettere a nudo le abituali sembianze del falco della finanza, del filibustiere dell’industria, del fondatore d’imperi economici, del pirata col coltello fra i denti, dell’uomo-belva che tutto piega al suo passaggio nella tragica jungla della vita.
Durante la prima settimana di gennaio, l’umile Cristo, il martirio del calvario, la passione del Golgota, lo strazio dei popoli, la strage degli innocenti l’agonia delle moltitudini diseredate, lo schianto delle plebi sfruttate ed oppresse, riassumono il ruolo storico assegnato loro dalla moralità cristiana nell’ordine economico, politico, sociale di questo mondo dedicato alla gloria del sistema capitalista, della società borghese, del cristianissimo.
La produzione, la speculazione, l’interesse, i profitti, i dividendi, lo scrigno, la cassaforte, l’ingordigia del danaro, la lussuria dell’oro, la libidine del potere riprendono possesso del suo cuore di carnefice e della sua mente ammalata. E per altri 350 giorni fa affamare, imprigionare, fucilare i lavoratori, intere popolazioni… tracciando sulla china del tempo una larga scia di sangue.
Poi, per una decina di giorni torna a versare l’effusione, grottesca dei suoi sentimentalismi esagerati. E tutti gli anni ripete la commedia. Nel nome di cristo e della civiltà, si capisce.
E noi che conosciamo bene questa civiltà, tracciamo con ripugnanza il presente orribile profilo del cristianissimo, che n’è il prototipo, l’esponente.