La questione palestinese tra le due guerre mondiali – Ottava Parte

Settima Parte

Durante il mese di Ottobre continuò aspra e violenta la lotta araba contro i sionisti e gli Inglesi. Gli incarceramenti dei capi politici arabi, lo scioglimento dei partiti arabi non arrestarono la lotta. Sembra proprio che all’incremento dell’azione repressiva inglese corrisponda un aumento della lotta condotta dagli Arabi. Il 14 Ottobre il Mufti di Gerusalemme riparò in Libano. Pare che abbia attraversato la frontiera travestito da donna, ma sembra anche con la complicità degli Inglesi 1, che lasciarono fuggire con tutta calma l’incomodo personaggio per non provocare reazioni incalcolabili in tutto il mondo musulmano sotto controllo britannico.2

Il 27 Novembre del 1937 ha luogo uno degli atti più odiosi compiuti dagli Inglesi in Palestina: l’impiccagione dello sceicco Farhan es-Saidi, un vecchio patriota di settantacinque anni, che prima di essere catturato dagli Inglesi aveva comandato la cavalleria delle forze ribelli agli ordini di Fawzi-el-Qawuqgi e nel 1936 era stato ferito due volte in combattimento.3

Nei combattimenti del mese di Dicembre gli Inglesi usarono sistematicamente l’aviazione e i carri armati contro i ribelli arabi, provocando così paurosi vuoti nelle file dei patrioti arabi. Si registravano inoltre rastrellamenti inglesi nelle zone di Tiberiade e di Nazareth e demolizioni con la dinamite di case arabe appartenenti a persone che i comandi britannici ritenevano ribelli o con questi collegate.4

Il ministro inglese delle Colonie, Ormsby-Gore, il 4 Gennaio 1938 inviò una lettera ufficiale all’Alto Commissario Sir Wauchope, nella quale annunziava la costituzione di una commissione tecnica per lo studio della spartizione della Palestina e per l’elaborazione di uno schema di divisione.5 Così la Gran Bretagna si ostinava nella politica di divisione della Palestina. Il 28 Febbraio del 1938 Sir Wauchope rientrava in patria e prima di partire volle tenere alla radio un discorso di saluto, nel quale così si esprimeva: “La differenza fra quel che speravamo e quel che è stato compiuto è profondamente scoraggiante e so che alcuni dei miei amici guardano agli anni venturi con tetre apprensioni. Io tuttavia confido nella misericordia di Dio e nel finale trionfo del bene…Credo che, salvo poche deplorevoli eccezioni, tutti ora comprendono che contro la legge e il buon ordine è inutile, che l’assassinio è sempre abominevole, che il vero progresso sta nella buona volontà e nella comprensione. Ciò che occorre nelle discussioni è la luce, non il colore: confido che la Commissione per la spartizione getterà molta luce sulla difficile questione…Il mio messaggio d’addio a tutti voi che mi ascoltate per l’ultima volta stasera è questo: guardate avanti, non indietro; ricordatevi che l’odio e il malvolere sono figli del pregiudizio e dell’ignoranza e che la migliore speranza per le popolazioni di questo paese è fondata sula fiducia nell’Inghilterra.”6

Queste parole dell’Alto Commissario, in verità degne di un vescovo, non toccarono minimamente gli Arabi che continuarono la lotta armata per tutto Marzo con grande slancio. Il 4 Marzo vi fu un violento scontro con gli Inglesi a Umm el-Fahm, località posta ad ovest di Genin.7

Il 9 Febbraio del 1938 il ministro delle Colonie Ormsby-Gore aveva fatto una grave dichiarazione in risposta ad una interpellanza: “Il governo ritiene il progetto di spartizione il miglior mezzo, nelle attuali circostanze, per dar esecuzione alla promessa di instaurare una Sede Nazionale Ebraica in Palestina. Il continuare degli atti di terrorismo non distoglierà il governo da ulteriori indagini necessarie ala preparazione di un progetto definitivo.”8

Questa presa di posizione inglese conferma ancora una volta quanto poco contassero per il governo inglese gli accordi e gli impegni presi con gli Arabi e anche in sede internazionale alla Società delle Nazioni. Infatti il mandato doveva servire ad emancipare politicamente la Palestina e a modernizzarne l’economia, in modo da condurla entro un certo periodo di tempo ala completa indipendenza; vi era poi la clausola della sede nazionale ebraica, che come più volte avevano dichiarato personalità politiche e di governo inglesi, tra cui lo stesso Churchill con il suo libro bianco del 1922 9, non significava assolutamente che la Palestina sarebbe diventata lo Stato ebraico o che in una parte della stessa sarebbe sorto uno Stato ebraico. Ma posto di fronte all’impossibilità di affrontare coerentemente una situazione da esso creata, il governo inglese scelse la via che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto risolvere il problema della Palestina, ma che invece acuì, forse, la tensione tra le due comunità. Nel 1938, infatti, la Palestina è ormai terreno di scontro continuo. La guerriglia araba, pur mal organizzata e decimata, è aggressiva e indistruttibile, uomini nuovi prendono il posto vuoto dai caduti e l’autorità inglese è costretta ad una vigilanza continua e cerca di piegare la resistenza araba con la repressione spietata organizzata su vasta scala con rastrellamenti, deportazioni, demolizioni di interi quartieri sospetti nelle città e nei villaggi arabi, con impiccagioni dei più decisi e coraggiosi ribelli. Gli Arabi resistono e attaccano con disperazione, la sensazione netta, precisa che si ha leggendo i resoconti delle battaglie e contando i morti e i feriti che gli Arabi lasciano sempre in numero cinque o dieci volte superiore a quello nemico, è appunto che essi si battono in questa lotta disperata con la coscienza di non avere assolutamente nulla da perdere. Da parte sionista si dimostra alla Gran Bretagna il desiderio di cementare sempre più l’alleanza, organizzando addirittura truppe sioniste al fianco di quelle inglesi.

Così scriveva il sindaco di Tel Aviv Rokach al comandante del reggimento inglese che aveva sostenuto uno scontro con gli Arabi: “Deploriamo continuamente che, malgrado le nostre ripetute richieste, non ci sia permesso servire, se non soli almeno accanto alle truppe britanniche, dividendo i loro pericoli e tribolazioni per restaurare la sicurezza e la legalità. Occorre non poco dominio di sé per tenersi da parte in relativa sicurezza, mentre i soldati britannici agiscono.10

I sionisti desiderosi di lottare al fianco delle truppe britanniche avevano però i loro corpi armati, anche se questi non costituivano organizzazioni militari ufficiali. Nel 1936 arrivò in Palestina un agente dell’Intelligence Service, il colonnello Orde Charles Wingate con spirito di “collaborazione e di amicizia,” secondo le sue parole, verso i sionisti.11

Così scrive lo scrittore sionista Giorgio Romano: “Wingate trasformò l’Haganà da formazione puramente statica e difensiva in forza dinamica e mobile, capace di scovare l’aggressore e di distruggerlo.” E più avanti lo stesso autore gratifica il colonnello Wingate del soprannome “il Lawrence della Giudea.”12

Questo ufficiale inglese, agente dell’Intelligence Service, che non era andato in Palestina come privato, ma evidentemente colà inviato dal governo di Londra, fu richiamato in patria nel 1939 dopo che per ben tre anni aveva prodigato la sua opera di istruttore e organizzatore militare dell’Haganà, i gruppi armati sionisti.

Ma non era solo attraverso l’Haganà, sorta per l’esigenza di difendere le colonie agricole ebraiche isolate e poi le proprietà ebraiche in generale, che i sionisti si organizzavano militarmente e prendevano parte alla repressione della rivolta araba. Sempre secondo attendibili cifre di fonte sionista riportate dal Romano nella sua biografia di Ben Gurion, citata sopra, negli anni che vanno dal 1936 al 1939 gli Ebrei chiamati dall’Alto Commissario ad entrare nelle fila della polizia soprannumeraria 13 erano ben 20mila. E il reclutamento di questi uomini avveniva attraverso l’Agenzia Ebraica ed in pratica attraverso il braccio armato della stessa, l’Haganà. Così avveniva che i combattenti sionisti venivano addestrati ed armati a spese del governo della Palestina 14, e ufficialmente incaricati della repressione, anche se indossavano l’uniforme della polizia inglese e quindi non agivano come corpo armato alleato, come auspicava il sindaco di Tel Aviv nella lettera che abbiamo visto sopra.15 Il 9 Marzo del 1938 il ministro delle Colonie, in un intervento alla Camera dei Comuni, riferiva che, secondo la relazione dell’Alto Commissario, nel 1936 furono demolite in Palestina dalle truppe inglesi 102 case di Arabi e nel 1937 14, senza contare le demolizioni operate nella città vecchia (il quartiere arabo) di Giaffa.16

Un giornale di Aleppo (“ash-Shabah”), in data 7 Aprile 1938, si occupava in un lungo articolo della situazione in Palestina e riferiva che le bande ribelli contavano circa un migliaio di uomini e quelle più importanti erano in numero di cinque, la prima delle quali agiva tra Tul Keram e Genin, la seconda tra Genin e Haifa, la terza nella zona di confine tra Siria, Transgiordania e Palestina, la quarta nella provincia di Hebron e la quinta tra Akko e Haifa. Oltre a queste grosse formazioni guerrigliere si potevano ancora contare piccoli gruppi di armati sparsi in tutto il paese e un discreto numero di terroristi e sabotatori.17

Il “Times” del 21 Aprile 1938 dava una notizia molto significativa: una banda guerrigliera aveva assalito la colonia ebraica di Telamal, la polizia aveva contrattaccato i patrioti arabi e questi avevano perso cinque uomini e si erano ritirati verso il confine con la Transgiordania dove erano stati inseguiti da truppe transgiordane di frontiera.18

Lo stesso numero del “Times” informava di scontri armati ovunque nel paese dall’inizio d’Aprile fino al 20.19 Così le truppe di Abdallah, comandate dall’ufficiale inglese J. Bagot Glubb Pascia, agivano di concerto con i comandi militari inglesi nella repressione della rivolta araba palestinese e ciò è confermato dallo stesso Gubb Pascia in un suo libro di memorie in cui racconta le operazioni da lui personalmente dirette contro i ribelli arabi palestinesi.20

Nel Maggio del 1938 vi è una presa di posizione di Abdallah di Transgiordania riguardo la questione della Palestina: egli propone la fusione della Palestina e della Transgiordania con un unico parlamento nazionale. Questo Stato avrebbe dovuto concedere l’autonomia ad una zona ebraica, la stessa assegnata ai sionisti dalla Commissione Peel del 1937 e gli Ebrei non avrebbero dovuto eccedere la quota percentuale del 35% sulla popolazione totale dello Stato.21

Ma questa proposta di Abdallah non ebbe nessuna influenza sulla lotta armata in Palestina, né provocò un’adeguata risposta dalle parti interessate. I morti negli scontri armati e negli attentati durante il 1936 furono: 28 inglesi, 81 ebrei e 203 arabi; i morti del 1937: 20 inglesi, 33 ebrei, 44 arabi e a tutto Giugno del 1938: 16 inglesi, 71 ebrei, 139 arabi. Queste cifre furono riportate dal Palestine Post del 21 Luglio 1938, giornale d’ispirazione governativa le cui fonti sono di solito quelle ufficiali inglesi.22

Il 25 Luglio del 1938 avvenne il fatto di sangue più tremendo dell’epoca della rivolta araba. I sionisti, probabilmente i revisionisti 23, compirono un cruento attentato dinamitardo al mercato arabo dei meloni di Haifa, facendo 45 morti e altrettanti feriti.24

Questo atto di estrema violenza fu condannato dall’Agenzia Ebraica, come del resto accadeva sempre; infatti le organizzazioni ufficiali sioniste e quelle arabe condannavano gli atti di violenza più crudeli di tipo essenzialmente criminale compiuti in nome delle rispettive parti, ma ciò non toglieva che un numero grandissimo di civili, soprattutto arabi, cadessero vittime dell’arroventato clima politico palestinese e di manovre politiche dirette da uomini di pochi scrupoli. Il mese di Agosto del 1938 registrò un altissimo numero di morti in combattimenti e in attentati terroristici. Ben 130 ribelli arabi caddero in battaglia e 52 civili arabi furono vittime di attentati compiuti da Ebrei. I civili ebrei vittime di attentati arabi furono 28. Furono uccisi inoltre 11 agenti di polizia ebrei, 3 agenti arabi, 15 militari inglesi e un funzionario britannico.25

C’è un momento in cui la lotta araba apparve parzialmente vittoriosa, tanto che il “Times” dall’1 Ottobre al 17 Ottobre del 1938 diede notizia di intere zone della Palestina controllate dai ribelli arabi.26 Infatti la rivolta araba era giunta alla fine del 1938 ad un certo grado di organizzazione; il Comando Supremo della rivolta, composto da Abd er-Rahim el-Hagg Mohammed, Arif Abd er-Razegi, Yusuf Abd el-Hadi e Yusuf Said Abu Durrah, divideva in quattro zone d’operazione la Palestina:

1) Nablus e Beisan, 2) Haifa, Giaffa e Lidda, 3) Gerusalemme e Tiberiade, 4) Palestina settentrionale.

Inoltre il Comando supremo della rivolta chiamava alle armi le classi dal 1916 al 1918. Questi fatti denotano una certa forza dei ribelli arabi e soprattutto dimostrano un fatto fondamentale, cioè che la rivolta non era opera di un gruppo di facinorosi, ma era un vero e proprio fatto di popolo. È notorio, infatti, come una guerriglia non possa esistere se dietro di essa e per essa non operi un numero di persone per lo meno dieci volte più numeroso della banda militare vera e propria. E così fu in Palestina, dietro i ribelli armati c’era la grande maggioranza del popolo arabo palestinese che li riforniva di viveri e di armi, li nascondeva e solidarizzava con loro in tutti i modi possibili. L’Ottobre del 1938 è il mese più incisivo della rivolta araba. Il 4 Ottobre si svolse un’accanita battaglia a Tiberiade che venne espugnata da una formazione di circa mille ribelli, che tennero la città per dieci ore e prima di ritirarsi distrussero gli uffici sionisti e la sinagoga. I morti, tra inglesi ed ebrei, furono in numero di cento circa, i feriti 150. Le perdite arabe non sono note.27

Questa azione spaventò i comandi militari inglesi che chiesero ed ottennero rinforzi di reparti di frontiera e di carri armati. Ma gli Arabi, sullo slancio e l’entusiasmo dell’azione vittoriosa di Tiberiade portano a compimento un’altra azione di vaste proporzioni, l’occupazione di tutta la città vecchia di Gerusalemme, effettuata il 14 Ottobre. I ribelli riuscirono a tenere la città fino al 23 Ottobre e poi si ritirarono sotto l’incalzare di preponderanti forze inglesi. Il governo inglese il 9 Novembre 1938 accompagnò la presentazione della relazione alla Commissione per la Spartizione della Palestina 28, che consigliava di abbandonare il progetto di dividere la Palestina tra Arabi ed Ebrei, con un “Palestine Statement of Policy29 pubblicato sotto forma di libro bianco. Il governo inglese rinunziava a un progetto di spartizione a causa “delle difficili politiche, amministrative e finanziarie inerenti al problema.30 Il libro bianco prospettava una conferenza tripartita tra Arabi, Ebrei e Gran Bretagna per decidere della Palestina, ma escludeva dalla partecipazione al vertice tripartito quei capi arabi “responsabili della campagna di assassini e violenze.31

Ciò equivaleva a non voler discutere con coloro che esprimevano realmente la volontà e le aspirazioni del popolo arabo palestinese e significava anche attribuire ad alcuni individui, trattati alla stregua di delinquenti comuni, la responsabilità di un fenomeno di massa così complesso come la rivolta araba di Palestina. Il Comando della rivolta araba respinse il libro bianco come una “nuova diavoleria britannica.”32 Il “Times” del 22 Novembre 1938 informava che in Palestina dall’inizio della rivolta furono uccisi dai ribelli per motivi politici 135 Arabi, tra i quali il sindaco di Hebron, il vice sindaco di Lidda, dieci noti mukthar (capi villaggio) e ventiquattro notabili.33

Questi Arabi furono colpiti perché considerati nemici della causa nazionale palestinese. Infatti le forze della rivoluzione nazionale palestinese consideravano come traditori coloro che, tra gli Arabi, intrattenevano rapporti economici con i sionisti e politici con gli Inglesi, invece di aiutare la causa della rivoluzione nazionale.

Il ministro delle Colonie inglesi dichiarò alla Camera dei Comuni il 1° Novembre 1938 che le truppe inglesi in Palestina erano costituite da: 18 battaglioni di fanteria, 2 reggimenti di cavalleria, una batteria di artiglieria leggera, alcuni gruppi di carri armati, alcune formazioni ausiliare.34

Il “Times” del 17 Novembre 1938 riportò le cifre complessive degli armati inglesi in Palestina: 7300 agenti di polizia, 700 uomini della RAF, 15500 soldati di fanteria.35

La cifra totale dei morti e dei feriti avutisi in scontri e in attentati nel corso del 1938 fu impressionante: 486 civili arabi uccisi e 630 feriti, 1138 ribelli arabi uccisi e 190 feriti (il numero dei feriti era sempre così esiguo perché si riferiva ai feriti che, rimasti sul campo di battaglia, venivano catturati poi dalle truppe inglesi), 292 Ebrei uccisi e 649 feriti, 69 soldati inglesi uccisi e 232 feriti.36

Febbraio e Marzo del 1939 registrarono massicci rastrellamenti inglesi in tutto il paese e frequenti azioni di rappresaglia dei sionisti. Il 27 Marzo fu un giorno di lutto per i ribelli arabi, cade in combattimento a Jafur, nei pressi di Nablus, uno dei membri del Comando Supremo della Rivolta, Abd er-Rahim el-Hagg Mohammed. Nello stesso combattimento venne colpito e preso prigioniero il luogotenente di Abd er-Rahim, Suleiman Abu Khalifah, che morì qualche giorno dopo per le gravi ferite riportate nella battaglia.37 Il movimento nazionale palestinese veniva così privato di uno dei suoi capi più dinamici e battaglieri. La notizia della morte del capo ribelle impressionò molto dolorosamente la grande maggioranza della popolazione araba palestinese, che volle dimostrare il proprio cordoglio e la propria solidarietà con i ribelli attuando uno sciopero di lutto a Nablus, Tul Keram, Hebron, Nazareth e Gerusalemme.38 In seguito alla morte di Abd er-Rahim, il comando della rivolta fu affidato ad un solo capo, il già ricordato Fawzi el-Qawuqgi.39

Possiamo trarre alcune conclusioni riguardo al rivolta araba e il suo andamento negli anni che interessano il nostro studio. Notiamo subito come ogni scoppio di rivolta non resti mai un fatto isolato ma tenda invece ad espandersi per tutto il paese. E questo è senza dubbio un segno evidente di come questa ribellione fosse sentita in tutta la Palestina. Spesso, però, la tensione politica si placa e all’improvviso il moto rivolto sembra cessare. E la stasi dura qualche tempo, a volte giorni a volte settimane a volte qualche mese. E poi all’improvviso il fuoco della ribellione torna nuovamente ad avvampare il paese per poi tornare ancora a covare sotto la cenere, in una finta calma politica e militare. Ci sembra che questo andamento a periodi quasi regolari dimostri il grande limite dell’azione araba (sia politica che militare) contro la Gran Bretagna e i sionisti: la mancanza quasi totale di organizzazione. La guerriglia e il terrorismo arabo sono, in modo particolare agli inizi della lotta armata, affidati quasi esclusivamente all’intelligenza, all’audacia e alla capacità di un capo, che però mantiene scarsi collegamenti con gli altri gruppi armati operanti nelle altre zone del paese. I comandanti della bande armate sono solitamente uomini formatisi nella lotta o capi villaggio che organizzano la loro gente e che quasi sempre restano nelle loro regioni. Molti di costoro sono uomini coraggiosi, buoni combattenti, ma mancano totalmente di preparazione militare e la loro coscienza politica è ad uno stadio primitivo. L’unico capo ribelle che avesse una preparazione militare è un ex ufficiale ottomano, l’iracheno Fawzi el-Qawuqgi40 che, come abbiamo scritto sopra, è il vero capo militare della rivolta negli anni in cui la guerra avrà delle vere e proprie battaglie in campo aperto, nelle quali naturalmente i fucili arabi ben poco potranno contro gli aerei, i carri armati e le autoblinde inglesi.

Coloro che formano l’esercito ribelle sono in grande maggioranza fellahin (contadini poveri) e pastori beduini che si distinsero particolarmente nei sabotaggi ai condotti petroliferi del deserto; il peso reale della lotta armata è sulle spalle delle masse povere, del numerosissimo contadinato, del nascente proletariato e del brulicante sottoproletariato urbano. Gli effendi (ricchi proprietari terrieri), gli agiati borghesi di città sono materialmente assenti dalla lotta quando addirittura non trafficano con gli avversari sionisti e inglesi. Non esiste una geografia politico-militare della rivolta per quanto riguarda gli anni da noi presi in considerazione, c’è soltanto da rilevare un’attività ribelle lievemente più intensa nella zona centro-settentrionale, ove maggiore è la concentrazione della popolazione, anche perché al sud c’è il deserto del Negev. Il fattore geografico della frontiera siriana e libanese assumerà la sua importanza negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale.41

Il 17 Maggio, a Londra, il governo inglese emanò una nuova dichiarazione ufficiale sulla Palestina42, sotto forma di libro bianco, conosciuto come “The White Paper of May 1939.” Questo documento è di estrema importanza, perché rappresentava la nuova politica inglese in Palestina, che secondo una linea già accennata nel 1938, tendeva a diminuire l’appoggio britannico ai sionisti, cercando di guadagnare alla Gran Bretagna, senza d’altronde troncare con i sionisti, l’appoggio degli Arabi moderati. In pratica l’immigrazione ebraica in Palestina veniva congelata a 5mila unità per cinque anni, più un totale di 25mila unità extra quota. In molte zone veniva vietata la vendita di terre arabe e, sempre per la fame di terra di decine e decine di migliaia di contadini arabi, veniva operata anche una restrizione della vendita di terre arabe agli Ebrei in tutte le zone escluse dal divieto.43 I sionisti furono decisamente colpiti da questo provvedimento, che essi giudicarono in modo estremamente negativo; gli Arabi, da parte loro, non poterono certo dimostrarsi soddisfatti di una linea politica che ancora una volta rimandava le decisioni sull’indipendenza, sul governo rappresentativo e sull’assemblea legislativa eletta proporzionalmente. Questo documento, quindi scontentò e deluse i sionisti dopo una lunga consuetudine raramente interrotta di appoggio quasi incondizionato da parte dell’Inghilterra, scontentò gli Arabi, perché ancora una volta l’Inghilterra aveva deluso le loro aspirazioni nazionali; tornò utile invece alla Gran Bretagna, che riuscì ad affermare il proprio dominio sulla terra palestinese.

Nonostante il libro bianco di Maggio venisse a turbare i buoni rapporti tra il governo inglese e i sionisti, a noi sembra che la tesi del sionismo concepito come alleato dell’imperialismo britannico, sia un fatto che scaturisce dalla stessa realtà della situazione palestinese, dalla storia della diplomazia, dalla politica sionista e dalla politica inglese nel Levante arabo e che questo documento inglese non venne a cancellare, ma semmai ad incrinare questa alleanza. Ci sembra illuminante, a questo proposito, l’opinione di David Ben Gurion, che all’indomani del libro bianco del 17 Maggio 1939, tra l’altro, affermava: “Al tempo della Dichiarazione Balfour c’erano soltanto 60mila Ebrei in Palestina; ora ce ne sono 400mila. Con la nostra operosità e la nostra intraprendenza li abbiamo integrati nella vita del paese; e anche l’Inghilterra ne ha tratto vantaggio per la sua politica imperialista.44

Ben Gurion vedeva la questione nei suoi termini reali. L’Inghilterra, infatti, ne trasse enormi vantaggi strategico-militari, di controllo di una via commerciale e di via del petrolio. Non ci risulta da molti documenti ufficiali inglesi, sia relazioni della commissione d’inchiesta, sia rapporti annuali alla Società delle Nazioni, che la potenza mandataria amministrasse ultimamente il denaro pubblico della Palestina e lo impiegasse in investimenti produttivi per il paese che amministrava. Risulta, invece, che l’amministrazione inglese utilizzasse le finanze statali della Palestina per le sue operazioni economiche coloniali e di controllo politico e militare di tutta la regione. Scrive K. Grunwald, a proposito della situazione delle finanze palestinesi: “Importa mettere in chiaro che la Palestina non ha ricevuto sussidi di sorta né per la sua amministrazione civile, né per le sue proprie truppe. Le forze militari britanniche nella Palestina e nella Transgiordania vengono mantenute direttamente dalla Gran Bretagna, ma la Palestina risponde della differenza tra le spese di mantenimento in Inghilterra e in Oriente, nonché di tutte le spese di trasporto etc. Anche in questo caso la Palestina sopporta con i suoi propri mezzi la parte della Transgiordania.45

Come afferma Grunwald, la Palestina non ebbe alcuna concessione di sussidi di sorta dalla Gran Bretagna, ma nel 1926 le fu concesso un prestito dal Ministero delle finanze inglese. Così Grunwald: “Quanto al prestito fu garanti dal Dicastero delle Finanze (Treasury) di Londra in conformità al Palestine ad East Africa Loan Act 1926, esso fu destinato ai seguenti scopi:

1. ferrovie Lst. 1640000
2. rimborso al governo britannico per ferrovie costruite e investimenti fatti all’Amministrazione militare durante la guerra ””” 1000000
3. costruzione del porto di Caifa e miglioramenti a quello di Giaffa ””” 1115000
4. pubblici fabbricati ””” 745000
Totale Lst. 450000046

Con questo prestito l’Inghilterra si ripagò per gli investimenti fatti a fini bellici (ferrovie e vie di comunicazione) dalla sua amministrazione militare durante la prima guerra mondiale all’interesse del 5% e facendo versare alla Palestina Lst. 120Mila per le spese di emissione del prestito.47 E concordiamo ancora con Grunwald quando questi nota che gran parte delle spese del governo inglese in Palestina ritornavano alla Gran Bretagna sotto forma di stipendi pagati dalla Palestina ai funzionari inglesi dell’amministrazione mandataria.48

Un’ultima osservazione sulle finanze statali della Palestina riguarda il pagamento della quota del Debito Pubblico Ottomano (compresa nel trattato di Losanna), che la Palestina estinse nel 1928, pagando anche la quota della Transgiordania.49 La Gran Bretagna, con il denaro pubblico della Palestina, sosteneva le finanze statali del suo fedele alleato Abdallah di Transgiordania, aiutando così questo sovrano arabo e la classe dei capi tribù e proprietari terrieri a governare il paese secondo i loro interessi particolari e secondo quelli imperialistici della Gran Bretagna stessa. Uno dei momenti rivelatori di un’amministrazione statale è rappresentato dalla sua politica scolastica, dall’indice di spesa per l’istruzione. La politica scolastica dell’amministrazione inglese in Palestina fu disastrosa. A questo proposito A. L. Tibawi, autore di uno studio sull’istruzione araba nella Palestina sotto mandato scrive: “…in breve il sistema non era niente più che un corso d’istruzione elementare di quattro-cinque anni, e un corso intermedio ristretto e altamente selettivo di due anni, e un corso secondario (di quattro-sei anni) principalmente concepito ai fini dell’insegnamento.50

Un’altra testimonianza della condizione della scuola nella Palestina araba ci è data dall’orientalista Virginia Vacca: “…per l’istruzione degli arabi fu fatto il meno possibile, tanto che l’analfabetismo arabo nei dieci anni dal 1920 al 1930 aumentò dal 75% all’85%. Si calcola che soltanto un decimo dei ragazzi arabi in età scolare trovino posto nelle scuole governative.51

Ma questa situazione così drammatica non era tale per mancanza di fondi, bensì perché, come scrive Vacca: “…s’economizza sull’istruzione per le spese di difesa…il fondo di riserva sul bilancio è nel 1935 di Lst. 4270000 e supera di un milione l’intero bilancio!52

La condizione scolastica ebraica invece era del tutto diversa per via della politica scolastica dell’Agenzia Ebraica, che convogliò grossi stanziamenti di denaro per le scuole ebraiche palestinesi, facendone uno dei perni della colonizzazione ebraica della Palestina. La situazione in Europa, intanto, precipitava verso la catastrofe e mentre in Palestina continuava la lotta araba e i sionisti manifestavano la loro delusione e la loro rabbia contro la potenza mandataria, la Germania nazista si apprestava a scatenare la guerra.

Il 1° Settembre 1939 le armate naziste oltrepassavano la frontiera polacca; iniziava la seconda guerra mondiale e la Palestina si apprestava a vivere uno dei periodi più drammatici di tutta la sua storia.53

 

Note

1 J. B. Schechtman, op. cit., p. 60

2 Nota del blog. Per capire meglio questo passaggio, occorre fare una piccola disanima sul Mufti di Gerusalemme e i suoi rapporti col regime fascista prima della fuga dalla Palestina. Il console generale italiano a Gerusalemme Mariano De Angelis prese contatto con il Mufti agli inizi di Maggio 1933. In un telespresso del 4 Maggio 1933, il console riportò le dichiarazioni dell’eminente personalità islamica riguardo la violenta repressione italiana ai danni della popolazione libica, nonché il suo giudizio personale (“il Mufti dev’essere di intelligenza mediocre e tarda, ma di carattere tenace, messo al servizio di un forte senso di ambizione”). De Angelis riconosceva che el-Huseini lavorasse per ergersi come santone dell’Islam e figura chiave panislamica (“Egli realizza giorno per giorno il suo programma di costituirsi una base nel mondo islamico, perciò nelle proprie azioni e manifestazioni, egli ostenta di ignorare le frontiere e di concepire la gente islamica come un popolo solo”), concludendo che bisognava far “discretamente sentire il peso della nostra azione politica” al Mufti (“Ho avuta l’impressione, anche al di fuori delle sue stesse dichiarazioni, che egli si renda conto della nuova forza che l’Italia rappresenta nel mondo, e che l’ammiri. Mi propongo, quindi, di non lasciar cadere i rapporti ora riallacciati.” ) (“Il console generale a Gerusalemme, De Angelis, al capo del governo e ministro degli esteri, Mussolini,” 4 Maggio 1933, Documenti Diplomatici Italiani (DDI), Settima Serie, Vol. XIII, pagg. 585-587). Per il regime di Mussolini, dunque, le interlocuzioni con il Mufti, così come con le altre figure politiche arabe quali Arslan, al-Jabri e Tabatabai, servirono per infastidire e danneggiare l’impero britannico. Nei successivi due anni (1933-1935), i rapporti con queste personalità e quelle legate al sionismo revisionista di Jabotinsky si consolidarono sempre più. Riguardo i sionisti revisionisti diremo qualcosa in una nota successiva. Tornando al discorso arabo palestinese, Goglia, nel saggio Il mufti e Mussolini: alcuni documenti italiani sui rapporti tra nazionalismo palestinese e fascismo negli anni trenta”, “Storia Contemporanea,” a. XVII, n. 6, Dicembre 1986, scriveva che se il Mufti e le personalità menzionate poc’anzi volevano una guerra aperta contro gli Inglesi, l’Italia fascista, invece, aveva il proposito di usare gli arabi come strumento “per creare diversivi e pressioni sulla Gran Bretagna che, viste le difficoltà della scena internazionale e visti i seri problemi che toccavano il suo sistema imperiale, non poteva che preoccuparsene.” (pag. 1208) Queste modalità italiane diventarono manifeste all’inizio del 1936, nel pieno periodo delle sanzioni economiche della Società delle Nazioni. Il regime fascista versò “100 mila sterline, una volta tanto,” al Mufti più “la corresponsione del prezzo di 10 mila fucili con munizioni (oppure di soltanto circa 6 mila, se si vorrà cedere l’accennata partita – circa 4 mila – già in possesso dell’amministrazione militare), più sei mitragliatrici con munizioni e un limitato quantitativo di esplosivo.” (“La Sezione Affari Segreti del Gabinetto al Capo del Governo e Ministro degli Esteri, Mussolini,” 15 Gennaio 1936, DDI, Ottava Serie, Vol. III, pagg. 81-82). Un paio di mesi dopo, Settembre 1936, in un appunto depositato presso il Gabinetto del Ministero degli Affari Esteri, il Mufti richiese “oltre le 13mila sterline già accordate” ulteriori aiuti per la causa palestinese: “altre 75mila sterline, possibilmente in una sola rata, o in poche rate da versarsi a breve scadenza; 10mila fucili con mille cartucce per ogni fucile; 5mila bombe a mano; 25 mitragliatrici leggere e 12 pesanti con relative munizioni; alcuni lanciabombe con relative bombe; possibilmente l’aiuto di personale tecnico per compiere sula conduttura del petrolio attentati di portata assai più grave […] qualche agente che sia in grado di organizzare l’inquinamento dell’acquedotto di Tel Aviv, città ove si trova […] rifugiata la maggioranza assoluta dell’elemento ebraico […]” (Goglia Luigi, “Il mufti e Mussolini…,” op. cit., pag. 1220) Il governo italiano, nel biennio Settembre 1936 – Giugno 1938, diede al Mufti complessivamente 138mila sterline (Goglia, “Il Mufti e Mussolini…”, op. cit., pagg. 1244-1245) e si impegnò, specie nel 1936, a fare un’attiva propaganda anti-britannica, richiedendo “documenti che possano illustrare nel modo più ampio atti inumani compiuti dagli inglesi nei confronti degli arabi e dei musulmani, nei territori sottoposti all’influenza e al dominio britannico” (“Il Ministro degli Esteri, Ciano, alle legazioni a Bagdad, Cairo, Gedda, Kabul, ai consolati generali a Beirut e Gerusalemme, e al consolato ad Aden,” 6 Ottobre 1936, DDI, Ottava Serie, Vol. V, pag. 176). Sulle armi, invece, queste dovevano passare per forza di cose dall’Arabia e in modo clandestino. Il re arabo dell’epoca, Ibn Saud, era dubbioso sulle intenzioni dell’Italia, specie dopo la guerra contro l’Etiopia. Come riportato dallo storico Renzo De Felice, “nell’agosto 1936 da parte saudita fu richiesto esplicitamente al ministro italiano a Gedda: “1) quale fosse la politica «permanente» dell’Italia rispetto alla Palestina, Libano […] 2) quale fosse la politica «reale» dell’Italia rispetto alla spartizione della Palestina e se essa considerasse la creazione di uno Stato ebraico «un pericolo futuro»; 3) fino a che punto gli arabi potessero fare conto sull’appoggio materiale e morale dell’Italia; 4) quale assistenza e quale appoggio avrebbe potuto fornire loro in caso di bisogno e di necessità.” La risposta italiana fu giudicata a Gedda sostanzialmente insufficiente, specie riguardo i punti terzo e quarto e il ministro saudita della Guerra, il 20 Ottobre 1937, informò il ministro italiano che Ibn Saud «vuole mantenersi in buoni rapporti con l’Inghilterra e tutti gli altri paesi, e non vuole la guerra ma ciò non gli impedirà di chiedere all’Inghilterra, con insistenza e fermezza [il] riconoscimento dei diritti degli arabi e di adottare ogni misura per giungere (attraverso vie legali) a una soluzione soddisfacente»; in questa logica si era rivolto anche all’Italia «onde assicurarsi fino a che punto poteva contare sull’appoggio del Governo fascista in caso di bisogno».” (“Il fascismo e l’oriente. Arabi, ebrei e indiani nella politica di Mussolini,” Il Mulino, Bologna, 1988, nota 28, pagg. 31-32). La risposta italiana citata da De Felice si riferisce, con ogni probabilità, all’Appunto dell’Agosto del 1937, dove, e ne riportiamo uno stralcio, “l’Italia resta fedele alla politica di simpatia verso le aspirazioni arabe, e seguirà ed appoggerà con ogni mezzo pacifico adatto alle circostanze gli sforzi arabi acchè lo statu quo nel Levante sotto mandato non venga peggiorato a detrimento degli interessi arabi,” mentre sulla Palestina il regime fascista manterrà un impegno morale per la sua indipendenza (“L’Ufficio III della Direzione Generale Affari d’Europa e del Mediterraneo al Ministro degli Esteri, Ciano”, 22 agosto 1937, DDI, Ottava Serie, Vol. VII, pagg. 279-280). Questo insieme di fattori portò, quindi, ad un blocco delle armi da parte dei sauditi con grande scorno del Mufti e dei dirigenti arabi palestinesi (specie durante la rivolta araba del 1936-1939): “Il movimento stesso [inteso come azioni degli insorti palestinesi, nota del blog] avrebbe già avuto il risultato che il Mufti si era prefisso se Ibn Saud avesse a suo tempo consentito – e non solo a parole – di farsi tramite per l’invio ai rivoluzionari palestinesi delle notevoli partite di armi, munizioni ed esplosivi che per circa due anni avevamo tenute inutilmente accantonate.” (“Appunto per il Ministro degli Esteri, Ciano”, 10 giugno 1938, DDI, Ottava Serie, Vol. IX, pag. 278-279). I rapporti tra il Mufti e il fascismo, nonostante questi fattori e gli “Accordi di Pasqua” tra Italia e Inghilterra (16 Aprile 1938), furono stabili e continuativi anche dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale.

3 Dicono che quando gli passarono la corda al collo nella fortezza di Akko prima di morire ebbe il tempo di urlare in faccia ai suoi carnefici: “Via l’Arabia libera!”

4 “Oriente Moderno,” n. 1 (1938), pp. 28-30

5 Cmd 5634

6 “Oriente Moderno,” n. 3 (1938), pp. 122-123

7 Ibidem, p. 123

8 Ibidem, p. 121

9 Cmd 1700

10 “Oriente Moderno,” n. 4 (1938), p. 165

11 G. Romano, op. cit., p. 103. Si vedano soprattutto i capitoli VI e VII della biografia di Wingate scritta dal figlio di Sir Mark Sykes, Cristopher Sykes, Orde Wingante, London, 1959

12 Ibidem, p. 103

13 Agenti in soprannumero che l’Alto Commissario aveva facoltà di nominare quando reputava che le circostanze lo richiedessero.

14 G. Romano, op. cit., p. 102. M. Bar-Zohar, op. cit., p. 59.

15 Nota del blog. Nel periodo preso in considerazione esistevano due gruppi paramilitari sionisti operanti in Palestina: l’Haganah e l’Irgun (o “Etzel”). Nati rispettivamente nel 1920 e 1935, i due gruppi operarono contro le violenze arabe e in difesa della popolazione ebraica e del futuro Stato ebraico. La realtà fu che queste compagini terroristiche politiche si macchiarono di diversi omicidi e stragi, colpendo gli arabi palestinesi e i loro sostenitori ebrei non sionisti e le autorità britanniche. Il fatto che uno dei due gruppi (Haganah) nel momento storico descritto da Goglia fosse difeso e rinforzato militarmente dalla Gran Bretagna (l’Irgun era impegnato nella lotta contro gli inglesi e gli arabi palestinesi, aiutato in parte dall’Italia fascista), rientrava appieno nelle azioni di controllo e repressione anti-araba perpetrata dalla potenza mandatoriale europea. Secondo lo storico Ilan Pappé, dopo la repressione britannica della “Grande Rivolta Araba” del 1936-1939 – in cui l’Irgun e l’Haganah giocarono un ruolo non di secondo piano -, “la leadership palestinese fu esiliata, e le unità paramilitari che avevano sostenuto la guerriglia contro le forze mandatarie furono smobilitate. Durante questo processo molti abitanti dei villaggi coinvolti furono arrestati, feriti o uccisi.” (“La pulizia etnica della Palestina, “Roma, Fazi Editore, 2008, Capitolo 2. “Gli sforzi per uno Stato esclusivamente ebraico”, paragrafo “La motivazione ideologica del sionismo”). La situazione creatasi portò i due gruppi sionisti citati a scontrarsi fra di loro in una guerra per l’egemonia e ad attaccare gli inglesi (tranne nella parentesi della Seconda Guerra Mondiale) e gli arabi palestinesi. Per vari approfondimenti sulla questione terroristica sionista del periodo mandatoriale rimandiamo ai seguenti testi: Tom Segev, “One Palestine…,” op. cit., Capitoli 18, 19 e 20; Bell John Bowyer, “Terror Out of Zion: Irgun Zvai Leumi, LEHI, and the Palestinian Underground, 1929-1949,” St. Martin’s Press, New York, 1996, pagg. 1-74; Ilan Pappe, “La pulizia etnica…,” op. e capitolo cit., di cui si menzionano due eventi presenti nella Cronologia di questo libro: “1931 Il gruppo paramilitare Irgun (iZL) viene costituito per assicurare una maggiore combattività contro gli arabi. […] 1938 Bombardamenti dell’Irgun uccidono 119 palestinesi. Bombe e mine palestinesi uccidono 8 ebrei. L’Inghilterra invia rinforzi per aiutare a reprimere la rivolta.”; Leonard Weinberg, Ami Pedahzur e Arie Perliger, “Political Parties and Terrorist Groups,Routledge, Londra, 2009, Seconda Edizione, pagg. 79-82. Inoltre, tra le note della voce wikipediana “Attacchi dell’Irgun,” si menziona il libro apologetico, scritto in ebraico, di Amrami e Melitz, “Cronache della guerra d’indipendenza”, Shelach Press, 1951.

16 “Oriente Moderno,” n. 4 (1938), p. 169

17 “Oriente Moderno,” n. 5 (1938), p. 236

18 Ibidem, p. 238

19 Ibidem

20 J. B. Glubb Pasha, The story of the Arab Legion, London, 1948, pp. 234-237. Questo fatto è degno di rilievo perché indica quale fosse la politica “reale” di Abdallah di Transgiordania nei confronti della rivolta palestinese e fino a che punto la sua politica di sovrano arabo fosse legata a quella coloniale del governo inglese.

21 “Oriente Moderno,” n. 6 (1938), p. 307-308

22 “Oriente Moderno,” n. 8 (1938), p. 439

23 I revisionisti costituivano l’ala sionista di estrema destra, che aveva il suo capo in Zeev Jabotinsky, il quale personalmente ed attraverso la sua organizzazione entrò in contatto con il regime fascista italiano, dal quale accettò aiuti politici inviando giovani revisionisti alla scuola del Partito Nazionale Fascista e aiuti tecnici con l’istituzione della scuola marittima di Civitavecchia, dalla quale uscirono i migliori quadri navali sionisti e che sono oggi i comandanti della Marina Militare Israeliana. Cfr. Renzo De Felice, Storia degli Ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, 1961, pp. 198-202. Autori vari, Scritti in onore di Leone Carpi, Gerusalemme, 1967, pp. 33-56. Leone Carpi, Come e dove nacque la marina d’Israele, Roma, 1967. G. Valabrega (a cura di), Gli Ebrei in Italia durante il fascismo, Milano, 1963, pp. 51-81. Zeev Jabotinsky, Verso lo Stato, Firenze, 1960, pp. 27-31. Nota del blog. Riportiamo, in forma di estratti, le pagine dell’opera di De Felice qui menzionata: “[…] i primi contatti tra Palazzo Chigi e i revisionisti risalgono al 1932, ma che concretamente, incominciarono a prendere corpo nel 1934, con la creazione della Sezione ebraica della scuola marittima di Civitavecchia, e a svilupparsi più intensamente con il 1935-36, quando i revisionisti ruppero con l’Agenzia ebraica e crearono una loro organizzazione. […] La scuola di Civitavecchia aprì i suoi battenti nel Dicembre 1934 […] L’autorizzazione, richiesta in un primo tempo al grand’ammiraglio P. Thaon di Revel, presidente del Consorzio delle scuole professionali marittime, era stata prontamente accordata dal ministero degli Affari esteri e dagli altri ministeri competenti. […].” (pagg. 198-199) I corsi si svolsero nell’arco di quattro anni, tutti sotto la guida del comandante Nicola Fusco. I revisionisti, secondo De Felice, non si limitarono solo alla Scuola Marittima di Civitavecchia. I rapporti tra fascismo e revisionismo sionista “erano costanti, tanto da trapelare a più riprese e suscitare da parte inglese e araba denunce e proteste. E se tali rapporti non si concretizzarono fu soprattutto dovuto prima al timore italiano di avventurarsi troppo su una strada che poteva portare sì a dei risultati positivi, ma poteva anche suscitare gravi difficoltà con gli arabi, con i quali Mussolini andava progressivamente legandosi sempre di più (e finanziandoli e armandoli nella stessa Palestina contro l’Inghilterra); e poi, al prevalere, anche in politica estera, di un orientamento sempre più chiaramente antiebraico. Per queste considerazioni furono lasciate cadere varie successive richieste dei revisionisti di collaborazione economica e militare […]” (pagg. 202-203)

24 “Oriente Moderno,” n. 8 (1938), p. 439

25 “Oriente Moderno,” n. 9 (1938), p. 510

26 “Oriente Moderno,” n. 10 (1938), p. 612. Nota del blog. La citazione riportata è errata. La notizia era stata pubblicata nel n. 11 di “Oriente Moderno” (1938), pagg. 611-612

27 “Oriente Moderno,” n. 10 (1938), p. 612. Nota del blog. Vedere nota correttiva precedente, pag. 612.

28 British Blue Book Cmd 5854

29 British White Paper Cmd 5893

30 J. C. Hurewitz, The struggle…, cit., p. 95

31 Ibidem, p. 95

32 “Oriente Moderno,” n. 12, (1938), p. 670

33 Ibidem, p. 671

34 Ibidem

35 Ibidem, p. 672

36 “Oriente Moderno,” n. 2 (1939), p. 98. Queste cifre sono state elaborate in base a dati ufficiali di fonte inglese.

37 “Oriente Moderno,” n. 4 (1939), p. 219

38 Ibidem

39 “Oriente Moderno,” n. 5 (1939), p. 284

40 “Oriente Moderno,” n. 12 (1936), p. 483. Virginia Vacca, Siria e Palestina in “Problemi attuali del mondo musulmano,” Roma, 1941, p. 119

41 Trattando della rivolta araba ci siamo dilungati spesso su notizie di cronaca riguardanti gli scontri più importanti e i fatti salienti di quell’episodio, a rischio di rompere l’equilibrio interno tra le varie componenti di questo lavoro; lo abbiamo fatto perché ne abbiamo sentito l’esigenza. Questa rivolta, infatti, è poco conosciuta, mentre è invece è uno dei momenti più significativi e illuminanti della lotta degli Arabi contro l’autorità mandataria e l’insediamento sionista. La rivolta armata è il momento più alto dell’azione di rifiuto degli Arabi ala penetrazione sionista nel paese e all’amministrazione coloniale inglese e, con tutti i suoi limiti, rappresenta il momento più vero della loro lotta per l’indipendenza nazionale.

42 British White Paper Cmd 6019

43 Il testo completo tradotto in italiano del Cmd 6019 sta in “Oriente Moderno,” n. 6 (1939), pp. 298-304

44 G. Romano, op. cit., p. 99

45 Kurt Grunwald, Le finanze statali dei territori sotto Mandato nel Vicino Oriente durante il loro primo decennio, Roma, 1933

46 K. Grunwald, ibidem, p. 63

47 Ibidem

48 Ibidem

49 Ibidem, p. 66

50 A. L. Tibawi, Arab education in mandatory Palestine, London, 1956, p. 42

51 V. Vacca, op. cit., p. 114

52 Ibidem

53 Nelle more di stampa del nostro lavoro è apparso un saggio di Isaiah Friedmann, The Husayn MacMahon Correspondence, in “Journal of Contemporary history,” n. 2, 1970. Friedmann sostiene la tesi della non inclusione della Palestina nella corrispondenza suddetta alla luce di documenti inglesi pubblicati dal Record Office di Londra e da una interpretazione, a nostro avviso eccessivamente estensiva, della parola “vilayet” usata nella corrispondenza. Non condividendo la tesi di Friedmann, né l’impostazione stessa della sua analisi, ci riserviamo d’intervenire sulla questione.