La Palestina fu dichiarata territorio internazionale, tranne il Porto di Acri e quello di Caifa, che vennero affidati all’amministrazione britannica; una zona detta “blu”, comprendente il Libano e la Siria, cadde sotto mandato francese, e una zona detta “rossa”, comprendente la Mesopotamia e la Transgiordania, sotto mandato britannico. Il resto del territorio arabo venne ulteriormente diviso in due zone, A e B, che sarebbero state “aiutate” tecnicamente ed economicamente, rispettivamente dalla Francia e dal Regno Unito.1
Questo documento lascia comprendere con chiarezza di che tenore fossero le dichiarazioni di amicizia e di lealtà della Gran Bretagna verso l’alleato arabo e di come, in realtà, si trattasse di una operazione di spartizione tra le grandi Potenze imperialiste, in cui l’amicizia con gli Arabi non era niente più che una carta nel gioco del Governo britannico. Infatti i due impegni internazionali britannici, l’uno con gli Arabi, l’altro con la Francia, sono in palese contraddizione, e appare evidente che gli accordi Sykes-Picot vennero presi alle spalle degli Arabi. Ricordiamo che McMahon assicurava a Husein che la questione dei confini settentrionali e della presenza francese sui territori rivendicati dagli Arabi sarebbe stata esaminata solo a guerra finita e vinta e che sarebbe stato impossibile, per la Gran Bretagna, accettare qualsiasi condizione che non avesse tenuto conto dell’indipendenza degli Arabi. Con gli accordi anglo-francesi in questione, invece, non si trattava più, ovviamente, di una mera questione di frontiere, ma della stessa esistenza dello Stato arabo.2
A proposito dell’operato britannico in tale circostanza, il noto agente dell’Arab Bureau T. E. Lawerence fa notare: “Sir Henry [McMahon] fu il braccio destro dell’Inghilterra in oriente fino a che la ribellione non diventò un fatto compiuto. Sir Mark Sykes era il braccio sinistro, e se il Foreign Office avesse stabilito scambievoli rapporti fra queste braccia, la nostra reputazione in Oriente non avrebbe sofferto come purtroppo è accaduto.”3
Il 2 Novembre del 1917 i sionisti coronarono con un grosso successo diplomatico la prima parte del loro programma politico: l’amicizia e la protezione di una grande Potenza. Abbiamo visto come esponenti governativi, e altri personaggi influenti inglesi, fossero entrati in contatto e in amicizia con i sionisti inglesi e con il gruppo facente capo a Weizmann. Il frutto del lavoro di Weizmann e dei suoi amici fu la dichiarazione detta Balfour, dal nome del ministro degli Esteri britannico Lord Arthur James Balfour. Questi, il 2 Novembre 1917, così si esprimeva in una lettera da lui indirizzata a Lord Rothschild: “caro Lord Rothschild, ho il piacere di trasmettervi, a nome del Governo di Sua Maestà, la seguente dichiarazione di appoggio alle aspirazioni ebraico-sioniste, che sono state sottoposte al Consiglio dei Ministri e da esso approvate. Il Governo di Sua Maestà vede favorevolmente la creazione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico e si adopererà in ogni modo per facilitare la realizzazione di questo programma; è chiaramente inteso che niente pregiudicherà i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina, o i diritti e la posizione politica di cui godono gli Ebrei in ogni altro paese. Vi sarei grato se comunicaste questa dichiarazione alla Federazione sionista.”4
Il Regno Unito prendeva così su di sé il compito di aiutare i sionisti a costituire in Palestina un focolare nazionale per gli Ebrei di tutto il mondo che avessero voluto trasferirvisi e realizzava il suo terzo impegno nelle province arabe dell’impero ottomano. Una frase singolare e, alla luce dei fatti successivi, molto indicativa della dichiarazione è quella riferita al popolo arabo palestinese definito come “comunità non ebraica esistente in Palestina.” In quell’epoca in Palestina c’erano, molto probabilmente, all’incirca 60mila Ebrei contro circa 550mila Arabi. Dal tono e dalla lettera della dichiarazione di Balfour sembra invece che le “comunità non ebraiche esistenti in Palestina” fossero delle minoranze e come tali vengono considerate dalla dichiarazione inglese. Il sionismo appariva alla Gran Bretagna come un alleato prezioso.
I motivi dell’importanza di questa alleanza per la Gran Bretagna erano essenzialmente due:
1) la necessità, durante lo sforzo bellico, dell’appoggio della finanza dei grandi banchieri e capitalisti sionisti, soprattutto americani;
2) l’innegabile vantaggio di avere un alleato nella popolazione ebraica già stanziata in Palestina.
Leggiamo nel libro della commissione d’inchiesta presieduta da Lord Peel nel 1937: “Nella relazione fatta in nostra presenza da Lloyd George, che era a quel tempo Primo Ministro, si dichiara che, mentre la causa sionista era stata ampiamente sostenuta in Gran Bretagna e in America prima del Novembre 1917, la dichiarazione Balfour a quel tempo era “dovuta a ragioni propagandistiche” e sottolineò la grava situazione in cui si trovavano gli Alleati e le Potenze Alleate. I Rumeni erano stati annientati. L’esercito russo era demoralizzato. L’esercito francese non era in grado in quel momento di lanciare un’offensiva su vasta scala. Gli italiani avevano subito una grande disfatta a Caporetto. Erano state affondate dai sottomarini tedeschi milioni di tonnellate di naviglio inglese. Nessuna divisione americana era pronta per andare in linea. Si credette in questa situazione critica che l’appoggio agli Ebrei oppure il contrario sarebbe stato in un modo o nell’altro un fatto fondamentale per la causa degli Alleati. In particolare l’appoggio agli Ebrei avrebbe confermato la solidarietà degli Ebrei americani e avrebbero reso molto più difficile le commesse di materiale bellico alla Germania e le avrebbe reso più difficile migliorare la situazione economica sul fronte orientale.”5
E ancora con le stesse parole di Lloyd George: “I leaders sionisti fecero una promessa precisa: se gli Alleati si fossero impegnati a facilitare la creazione in Palestina di un focolare nazionale per gli Ebrei, essi avrebbero fatto il possibile per fare appello all’ideale degli Ebrei e appoggiare in ogni parte del mondo la causa degli Alleati. Essi mantennero la loro parola.”6
Quali erano gli interessi sionisti e quali quelli britannici nei confronti della Palestina?
Da parte sionista: la creazione di uno Stato ebraico, la nascita della nuova Israele.
Da parte britannica: 1) la creazione di una base strategica sulla costa del Mediterraneo orientale, 2) lo sbocco del petrolio mesopotamico attraverso i porti palestinesi, 3) il controllo del commercio tra l’Europa e la penisola araba, 4) l’esigenza di contrastare l’invadenza francese nell’area vicino orientale, 5) il controllo del retroterra dell’altra sponda del canale di Suez.
La politica britannica verso il sionismo fu dettata dall’intenzione di costruire un’alleanza tra due parti che intendevano trarre rispettivo vantaggio nello stabilirsi in un paese che non era né britannico, né sionista, né ebraico, ma al contrario arabo. L’alleanza britannica con il sionismo risultò così un atto politico estremamente chiaro che si inserì nella logica della politica espansionistica dell’imperialismo. Infatti, nella congiuntura internazionale descritta sopra, il sionismo fu parte integrante del piano imperialista elaborato per colonizzare e sfruttare l’Oriente arabo.
Mentre la dichiarazione di Lord Balfour veniva resa pubblica, il tenente colonnello T. E. Lawrence ed i suoi colleghi dell’Intelligence Service combattevano nel deserto, a fianco degli Arabi, la guerriglia contro i Turchi e sedevano consiglieri dei principi e capi tribù arabi fiduciosi nelle promesse di McMahon. Ma quando il governo bolscevico pubblicò a Mosca tutti i documenti diplomatici più importanti, facenti parte dell’archivio del Ministero degli Esteri zarista e del Gabinetto Nero dello Zar7, la fiducia araba nell’Inghilterra si tramutò in preoccupazione e sorsero dubbi sulle reali intenzioni dell’Alleata. Gli Arabi vennero così a conoscenza degli accordi Sykes-Picot e della dichiarazione Balfour e chiesero al Governo di Sua Maestà di riaffermare la validità degli impegni presi verso di loro. L’8 Febbraio 1918 il sostituto agente britannico a Gedda inviò una comunicazione del Governo britannico ad Husein Alì, Sceriffo della Mecca e Re dello Higiaz, ove tra l’altro si leggeva: “…il Governo di Sua Maestà riconferma il suo precedente impegno per la liberazione del popolo arabo…”8
La nota continuava, poi, con un discorso sulla necessità che nel mondo arabo prevalesse l’unità sulla rivalità, provocata artificialmente dalla Porta, sicché la legge potesse sostituire l’ingiustizia ottomana per l’ “establishment of an Arab world.”9
T. E. Lawrence, uomo dalla personalità contraddittoria ed estremamente complessa, ma, in tutti i casi, fedele esecutore della politica del suo governo, riconobbe, ad un certo momento, che l’Inghilterra aveva tradito la fiducia araba e giunse perfino a condannare i massacri degli Arabi effettuati dalle forze armate inglesi in Iraq, quando, per l’ostilità della popolazione, il Governo britannico non riuscì ad insediare l’amministrazione mandataria nel paese.
Ecco cosa scrisse in una lettera del 22 Luglio 1920 al redattore capo del “Times”: “Gli Arabi si sono ribellati ai Turchi durante la guerra non perché il Governo turco fosse particolarmente cattivo, ma perché volevano la loro indipendenza. Essi non hanno rischiato la vita sui campi di battaglia per diventare sudditi britannici o cittadini francesi, ma per vincere per conto loro.”10
E in un articolo apparso sul “Sunday-Times” del 22 Agosto 1920: “in nome del diritto dei popoli furono estorte in Mesopotamia nel 1919 alcune dichiarazioni favorevoli all’Inghilterra con pressioni ufficiali, con dimostrazioni aeree, con deportazioni in India…Il nostro governo è stato peggiore del vecchio sistema turco. I Turchi mantenevano 14mila coscritti nel paese, e in media uccidevano per la pace 200 Arabi l’anno. Noi abbiamo 90mila uomini con aerei, autoblinde, cannoniere e treni blindati. Abbiamo ucciso circa 10mila Arabi nella rivolta di questa estate.”11
Quando Lawrence riuscì ad ottenere che i suoi amici della famiglia hascemita avessero un trono, allora anche egli reputò l’onore del Regno Unito salvo.
Ma come mai la famiglia hascemita e quella wahabbita avevano accettato che terre arabe come la Siria, il Libano e la Palestina fossero sotto il mandato di potenze a loro alleate, rinunciando così al sogno dello Stato islamico, all’unione di tutti gli Arabi?
Il Governo britannico, anche in queste circostanze, aveva saputo manovrare abilmente il suo gioco politico, suscitando la rivalità tra gli hascemiti ed i wahabbiti e facendo sì che un capo tribù come Abd el-Aziz Ibn Saud divenisse re del Neged e premesse, da una parte, sullo Yemen e, dall’altra, sullo Higiaz. Con Saud aveva lavorato al-hagg Philby, colonnello britannico al servizio dell’Intelligence Service, che ebbe non pochi dissensi con il collega Lawrence sulla politica araba e il ruolo delle due famiglie citate. La Gran Bretagna riuscì a dividere gli Arabi del deserto e, nello stesso tempo, a legarli alla sua politica. In realtà, il Governo britannico era riuscito a legare a sé la classe dei proprietari terrieri e dei capi tribù arabi. La Gran Bretagna, infatti, non solo assicurò il trono ai suoi amici, ma concesse loro appannaggi personali e prestiti, e fornì consiglieri, chiedendo in cambio appoggio alla politica di espansione e di sfruttamento da essa condotta nel Vicino Oriente.
Ciò accadde alle spalle del popolo arabo. Possiamo quindi affermare, attraverso l’esame dei documenti, che sia la “politica araba” che la “politica sionista” del Governo di Sua Maestà rispondevano ad una sola esigenza dell’imperialismo britannico, quella del suo insediamento nell’area vicino orientale. In pratica sono due momenti differenti con giustificazioni diverse anche, ma convergenti in un punto solo: gli interessi del colonialismo britannico, e cioè del petrolio della Mesopotamia 12 dei porti della Palestina e del controllo del commercio arabo.
La prima guerra mondiale era stata combattuta anche nell’Oriente arabo 13 e i protagonisti arabi della guerra contro i Turchi e i Tedeschi non furono soltanto i 10mila14 combattenti, agli ordini di Faisal e Lawrence, che impegnarono con successo le truppe turco-tedesche nel deserto e che le incalzarono, di vittoria in vittoria, fino a Damasco. La guerra pesò terribilmente su tutta la popolazione del Libano, della Siria e della Palestina. Oltre agli arresti, le persecuzioni, le torture e le esecuzioni inflitte ai patrioti arabi, fu calcolato che perirono più di 600mila persone. Nel solo Libano, fino a Luglio 1917, erano morte 120mila persone. Interi villaggi non avevano più abitanti e altri erano dimezzati. La Siria (con la Palestina), su una popolazione di circa 4 milioni di abitanti, contava circa mezzo milione di morti 15, la quasi totalità dei quali fu causata dalla carestia e dalla mancanza quasi completa di medicinali. Le sofferenze delle popolazioni di Libano, Siria e Palestina pesarono su tutti gli abitanti di questi paesi: Arabi musulmani, Arabi cristiani ed Ebrei.
Gli Ebrei di Palestina costituirono un reparto militare che combattè a fianco degli Inglesi: il “Zion Muleteer Corps.” Sulla costituzione di tale reparto, come su tutte le questioni importanti, ci fu una spaccatura tra i capi sionisti. Zeev Jabotinsky desiderav costituire una Legione ebraica che conquistasse con le armi la Palestina e Weizmann sembrò in un primo tempo esitare, ma Celnow e Solokow si opposero e, alla fine, anche Weizmann bocciò il progetto di Jabotinsky. Fu deciso di costituire semplicemente un reparto armato ebraico che combattesse al fianco degli Inglesi. Nacque, così, il reparto di trasporto con muli, il “Zion Muleteer Corps”, inquadrato e comandato da un colonnello britannico. Questo reparto ausiliario fu trasferito in zone d’operazioni nel 1915, a Gallipoli; nel 1916 fu sciolto e gli effettivi vennero incorporati come volontari nell’esercito inglese.16
Nel 1918 fu costituita la Jewish Legion, ma neppure tutti i reparti di questo corpo riuscirono ad andare in linea. Il battaglione di cui Ben Gurion era caporale, ad esempio, arrivò in Palestina a guerra finita.17
Il sogno di Jabotinsky non si era avverato. Contro il comune nemico, l’impero ottomano, sia gli Arabi che i sionisti dettero il loro contributo al fianco degli Alleati. È bene sottolineare come questo contributo sia stato diverso, sia come misura, sia come natura. Abbiamo visto che la dichiarazione di Lord Balfour aveva come scopo di ottenere ufficialmente il riconoscimento della legittimità della immigrazione ebraica in Palestina ai fini della costituzione di un focolare nazionale ebraico. La corrispondenza Husein-McMahon voleva essere per gli Arabi un appoggio per la loro lotta d’indipendenza nazionale. L’ironia dei fatti e la realtà della situazione politica mondiale vollero che due movimenti diametralmente contrapposti, il sionismo e il nazionalismo arabo fossero, per un certo periodo, oggettivamente alleati della Gran Bretagna nella guerra contro l’impero ottomano. Alla fine della prima guerra mondiale, l’antagonismo tra il sionismo e gli Arabi si delineò in modo molto chiaro. Fu questo, infatti, il momento in cui le grandi Potenze, e prima fra tutte la Gran Bretagna, dovettero mantenere gli impegni presi con l’alleato arabo e con quello sionista.
Abbiamo visto come gli accordi Sykes-Picot, stipulati tra il Regno Unito e la Francia, mirassero alla spartizione dell’Oriente Arabo in due zone di influenza sia diretta (con il mandato), sia indiretta (con gli accordi di cooperazione economica, tecnica, militare e amministrativa), una francese e l’altra inglese. Con questi accordi le aspirazioni arabe furono completamente ignorate e gli accordi tra il Regno Unito e lo Sceriffo della Mecca Husein (corrispondenza Husein-McMahon) assunsero il significato di un vero e proprio inganno agli Arabi.
Le rivendicazioni degli Arabi furono terribilmente mutilate e, soprattutto, alla loro aspirazione unitaria (che nella famiglia hascemita aveva un’origine prevalentemente dinastica, mentre per la maggioranza degli Arabi costituiva un fondamentale obiettivo politico) veniva contrapposta la divisione, anche artificiale, vecchio e tipico espediente di ogni dominazione coloniale. Con la dichiarazione ufficiale di Lord Balfour, di sostegno alla causa sionista, la situazione degli Arabi divenne ancora più precaria. Essi, dalla condizione di vincitori passavano ad una condizione di subordinazione assoluta alla Gran Bretagna ed alla Francia. Gli Arabi, quindi, al momento di raccogliere il frutto del loro impegno politico e militare anti-ottomano, si trovano ad essere degli “ospiti”, quasi degli intrusi, al tavolo della Conferenza della Pace e nelle varie assise internazionali che decisero dell’assetto del mondo dopo la vittoria degli Alleati. Gli Ebrei residenti in Palestina nel 1919, all’indomani della guerra, erano, secondo una statistica di fonte sionista, 57mila.18
Nello stesso 1919 gli Arabi palestinesi, sia cristiani che musulmani, erano 560mila circa. Alla Conferenza della Pace, i delegati arabi erano due e venivano entrambi dallo Higiaz: Faisal, figlio di Husein re dello Higiaz, e Rustem Heidar.
Furono i soli Arabi invitati a Parigi ed a loro fu demandata la difesa delle rivendicazioni di tutto il mondo arabo. Erano assistiti da T. E. Lawrence, diventato l’intermediario tra il Governo britannico e la famiglia hascemita, la quale, come abbiamo visto, aspirava, nella persona di Husein, Sceriffo della Mecca ed ora re dello Higiaz, al Califatto arabo.19
I delegati arabi andarono al tavolo della pace non conoscendo i modi e i mezzi della diplomazia internazionale. Essi, in un certo senso, erano indifesi, di fronte alle manovre delle grandi Potenze vincitrici, e anche impotenti di fronte ai colpi di forza delle stesse. Ma c’è un’altra osservazione da fare e niente affatto marginale; se Faisal, cioè, rappresentasse realmente gli interessi degli Arabi e, in che misura potesse essere considerato un campione della causa araba. Faisal era un principe appartenente ad una grande famiglia araba, rappresentante, perciò, di una classe precisa, quella dell’aristocrazia, dei grandi proprietari terrieri e dei capi tribù: era insomma l’espressione della classe dirigente dell’Asia araba. Egli, in pratica, difendeva gli interessi nazionali e unitari degli Arabi nella misura in cui coincidevano con i suoi interessi dinastici e di classe. Inoltre, non a caso gli Inglesi gradivano la presenza di Faisal a Parigi: ergli era un loro prezioso alleato del tempo di guerra e, insieme con la sua famiglia, si era sempre dimostrato favorevole ad una intesa con la Gran Bretagna. La famiglia hascemita, fin dall’epoca della corrispondenza Husein-McMahon, contava sulla Gran Bretagna come sulla grande Potenza con l’aiuto della quale avrebbe potuto instaurare il Califatto arabo e regnare, così, su di una grande nazione. In un certo senso, quindi, la famiglia hascemita, con tutto quanto essa rappresentava nel mondo arabo, ed il sionismo avevano, indipendentemente l’uno dall’altro, cercato e ottenuto l’alleanza britannica.
Ma questa convergenza d’interessi sionisti ed hascemiti verso la Gran Bretagna, che resterà un fatto duraturo (fino ai nostri giorni), venne in seguito assorbita dalla contraddizione generale che oppose gli interessi sionisti a quelli arabi e continua ad opporre, oggi, lo Stato sionista agli Stati arabi.
Faisal si recò a Parigi con molte speranze; infatti, malgrado le “Izvestija” (organo ufficiale del giovane Governo sovietico) del 22 Novembre 1917 pubblicassero il testo dell’accordo segreto Sykes-Picot, gli Arabi erano stati “rassicurati” dalle già ricordate dichiarazioni ufficiali inglesi e da quella anglo-francese. Questi documenti tutti avevano in comune un atteggiamento di distensione e di comprensione per le aspirazioni arabe e, pur nella loro ambiguità, affermavano la lealtà degli Alleati nei confronti degli Arabi, contenevano anche riferimenti, peraltro ambigui, all’unità araba; ma si distingueva tra i territori dell’impero ottomano liberati dagli Arabi stessi e gli altri liberati dalle truppe anglofrancesi.20
Malgrado tutte le ambiguità, questi documenti però miravano a riacquistare la fiducia degli Arabi ed a riaffermare il prestigio britannico scosso dalle rivelazioni del Governo sovietico. Faisal andò a Parigi pensando di riuscire ad ottenere, se non proprio tutto quanto promesso nella corrispondenza con McMahon, almeno la costituzione di un grande Stato arabo. Faisal, quindi, il 1o Gennaio 1919 consegnò alla Conferenza della pace un memorandum in cui rivendicò tutta l’Arabia tranne il possedimento britannico di Aden. In sostanza, i delegati arabi sostennero l’indipendenza dello Higiaz; indipendenza che appariva loro come un fatto già acquisito. Inoltre, essi affermarono l’unione dello Higiaz con la Siria, così da costituire un solo Stato dal punto di vista del diritto internazionale, ammettendo, peraltro, la penetrazione straniera in Siria sotto forma di aiuti tecnici. Chiesero, altresì, che il Neged e lo Yemen, i due emirati indipendenti, decidessero da soli la propria sorte. Per l’Iraq reclamarono un Governo arabo, ma poiché desideravano sfruttare subitole risorse economiche del paese, cioè il petrolio, concessero che tale Governo fosse sostenuto da una grande Potenza (la Gran Bretagna). Anche per la Palestina il memorandum arabo chiese una soluzione analoga a quella prospettata per la Mesopotamia (Iraq), in vista del coacervo di etnie presenti in questo territorio: e cioè la presenza di una grande Potenza (la Gran Bretagna), che avrebbe dovuto essere coadiuvata da un’amministrazione locale.21
Come si vede, Faisal cercò di andare incontro alla Gran Bretagna, facendo delle concessioni anche rispetto alla corrispondenza di suo padre con McMahon. In quest’atmosfera, i primi giorni dell’anno 1919 si registrarono un avvenimento che rimase unico nelle relazioni tra Arabi e sionisti: l’incontro di Londra, patrocinato dal Governo inglese tra Faisal e Chaim Weizmann.
In quest’incontro fu stabilito di redigere un documento d’intesa tra le due parti; documento che fu stilato il 3 Gennaio 1919.22 Il preambolo dell’accordo inizia con un richiamo alla parentela razziale tra Arabi ed Ebrei.23
In tutti gli articoli che seguono ci si riferisce sempre allo “Stato arabo” e, dopo l’articolo terzo, che approva la dichiarazione Balfour 24, l’articolo quarto è particolarmente importante. Ne riportiamo, perciò, il testo integrale: “Saranno presi tutti i provvedimenti necessari per incoraggiare e promuovere l’immigrazione degli Ebrei in Palestina su larga scala e per stabilire il più presto possibile nel paese gli Ebrei immigrati mediante denso stabilimento e coltivazione intensiva del suolo. Nel prendere tali provvedimenti i contadini Arabi e gli agricoltori affittuari dovranno essere assistiti per il progresso del loro sviluppo economico.”25
Il Governo britannico, con l’articolo nono dell’accordo, si garantiva la parte dell’arbitro in caso di controversie.26
Il testo dell’accordo dovette sembrare, però, a Faisal una concessione troppo grande senza alcuna reale contropartita e il 4 Gennaio si affrettò ad apporvi la seguente postilla: “Nell’eventualità che gli Arabi ottengano l’indipendenza, come è richiesta nel mio memorandum in data 4 Gennaio 1919 al ministro degli Esteri del Governo britannico, io mi atterrò agli articoli suddetti. Ma se fosse fatta la minima modificazione o infrazione, io non sarò legato da alcuna singola parola di questo accordo, che sarà considerato vuoto e privo di qualsiasi validità, e non sarò responsabile in alcun modo.”27
Sotto questa postilla apposero le firme Faisal ibn Husein e Chaim Weizmann.
David Ben Gurion, alla critica che da più parti e da sempre viene rivolta ai sionisti di non aver cercato l’accordo con gli Arabi come loro unici interlocutori possibili e legittimi, rispondeva citando, appunto, l’accordo di Londra del 1919 come prova di buona volontà sionista.28
La realtà dei fatti sembra, però, lontana dall’interpretazione del prestigioso leader.
È evidente che l’hascemita Faisal vide, nella concessione fatta ai sionisti, una contropartita necessaria affinché gli Arabi ottenessero il grande Stato unitario che, da anni, aveva interessato le mire politiche e l’azione diplomatica del padre Husein Alì. Ancora una volta, l’interesse dinastico della famiglia hascemita e il compromesso politico viziarono l’azione diplomatica araba così da indurre Faisal ad accettare la dichiarazione Balfour. La diplomazia sionista, allora, portò a termine un’operazione di vertice con il capo arabo più prestigioso, che agli occhi dei sionisti era soprattutto l’arabo amico dell’Inghilterra, la Potenza divenuta, ormai, loro protettrice. Questo fu l’accordo di Londra, un tentativo abile di strappare il consenso arabo per l’ebraicizzazione della Palestina. Faisal cedette al compromesso, ma volle garantirsi, come controparte, quello Stato arabo unitario che era il perno della politica hascemita e che, in una certa misura, rappresentava oggettivamente un passo avanti per la rinascita nazionale araba.29
Il 6 Febbraio del 1919 Faisal prese la parola alla Conferenza della pace e dichiarò che tutti i paesi situati a Sud della linea Alessandretta-Diyarbekir erano popolati da Arabi e che, di conseguenza, l’assetto auspicabile della zona sarebbe stato quello di una confederazione araba. Ribadì quanto era già espresso nel memorandum dell’1 Gennaio a proposito della Mesopotamia (Iraq) e della Palestina e aggiunse che il Libano reclamava l’autonomia col concorso francese.30
Ma ci furono dei dissenzienti, contrari alla soluzione confederale. Un gruppo di Siriani sotto l’influenza francese, con a capo Shukri Gabonen, sostenne la superiorità del popolo siriano nei confronti, ad esempio, dei rozzi beduini dello Higiaz e rivendicò, quindi, l’autonomia per la Siria e l’assistenza di una grande Potenza, la Francia, che l’educasse politicamente. Un altro gruppo di Siriani, guidati dal dr. Nimz chiese, invece, l’assistenza degli Stati Uniti d’America.
Anche alcuni Libanesi invocarono per il Libano un’autonomia all’interno dello Stato siriano; altri, invece, auspicarono il pieno distacco dalla Siria.
Al panarabismo di Faisal, in breve, si contrappose un buon numero di gruppi e di delegazioni arabe che, in sostanza, vennero manovrate dalla Francia, dalla Gran Bretagna e anche dagli Stati Uniti d’America, la nuova grande Potenza che si affacciava per la prima volta alla porta dell’Oriente arabo. È singolare notare come, malgrado tutto, fosse Faisal ad avere in questo movimento la posizione più avanzata, la posizione, cioè, che più avrebbe potuto giovare agli Arabi, quella dell’unione in un solo grande Stato. Già abbiamo detto che Faisal difendeva i suoi interessi dinastici. Egli era, però, l’unico capo arabo che si trovasse nella condizione, certo contingente, nella quale, in una certa misura, gli interessi della casa hascemita e quelli dell’unità araba coincidevano.
Ci sembra che Amedeo Giannini riassuma la situazione del problema arabo alla Conferenza della pace con notevole chiarezza:
“1) Francia e Inghilterra, legate da accordi per la Siria e la Mesopotamia, dichiarati decaduti da parte inglese, cercavano di modificare a proprio vantaggio la situazione dei due paesi;
2) il sovrano dello Higgiaz, con l’appoggio inglese, cercava pel tramite dei suoi figli di insediarsi a Damasco, atteggiandosi a vindice di tutta la causa araba ed aspirando a far risorgere il grande impero degli Omniadi;
3) L’Inghilterra, con la liberazione ed occupazione della Palestina, aveva posto la sua candidatura su quella regione, piegando a suo vantaggio il movimento sionista, di cui si era messa alla testa;
4) un’attiva propaganda veniva svolta a favore degli Stati Uniti perché assumessero il Mandato nel’Armenia e quindi nella Cilicia, ed impiegassero le loro ricchezze per l’immediata valorizzazione anche della Siria, soppiantando le aspirazioni francesi in Cilicia e Siria;
5) la Francia si difendeva sia direttamente, sia pel tramite delle varie accennate delegazioni, per conservare l’intera influenza nel Levante.”31
Essendo la situazione molto confusa, il Consiglio Supremo Alleato decise di inviare in Siria una commissione internazionale per verificare quale fosse la volontà di quelle popolazioni. In realtà la commissione fu composta soltanto dagli americani Henry C. King e Charles R. Crane, quest’ultimo presidente, perché le altre Potenze non designarono mai i propri commissari.
Il 28 Agosto del 1919 la commissione King-Crane rese pubblici i risultati del suo lavoro 32; la nota dei due commissari americani aveva forma di raccomandazione fatte alla Conferenza della Pace. Per la Siria si sconsigliò il mandato francese e si consigliò di lasciare che Faisal diventasse il capo dello Stato siriano (secondo quanto aveva espresso la maggioranza del popolo siriano e il Congresso Siriano riunitosi a Damasco il 2 Luglio 1919).
Per la Palestina si raccomandò, invece, una “seria modifica” al programma sionista, considerato estremista, di colonizzazione del paese, facendo presente che i sionisti intendevano fare del “focolare” della dichiarazione di Balfour un vero e proprio Stato ebraico. Inoltre, si affermò che i 9/10 della popolazione palestinese non ebrea avversavano decisamente il programma sionista.33 Si affermò, ancora, che non un solo ufficiale britannico di stanza nel paese pensava che il programma sionista potesse realizzarsi se non con l’aiuto delle armi. Alcuni ufficiali inglesi ritenevano che, per portare avanti la colonizzazione sionista, fossero necessari per lo meno 50mila soldati di stanza nel paese. King e Crane erano anche del parere che il “diritto” ebraico all’aliyà (il “ritorno”) in Palestina, inventato dai sionisti, fosse un argomento che non poteva assolutamente essere considerato con serietà.34
La sezione VII del Trattato di Pace tra le Potenze alleate e associate e la Turchia, firmato a Sèvres il 10 Agosto 1920, riguardò la Siria, la Mesopotamia e la Palestina.
La Siria e la Mesopotamia vennero riconosciute provvisoriamente come Stati indipendenti “a condizione che il consiglio e l’assistenza amministrativa di una Potenza mandataria sostengano il loro Governo, finché non saranno in grado di reggersi da sé.” Inoltre, “le frontiere di detti Stati saranno stabilite, come la scelta delle Potenze mandatarie, dalle principali Potenze alleate.”35
Ricordando il poco peso che ebbero i plenipotenziari italiani alla Conferenza della pace e in seno alle Potenze alleate e dopo che praticamente gli Stati Uniti d’America avevano lasciato (con le raccomandazioni della commissione King-Crane) che la questione controversa dell’assetto dell’Oriente arabo tornasse ad essere un problema di esclusivo interesse anglo-francese, ciò significò che gli arbitri della situazione delle regioni arabe del cosiddetto Vicino Oriente sarebbero stati i Governi britannico e francese. Per quanto riguarda la Palestina, i sionisti riportarono una grossa vittoria, ottenendo che l’art. 95 del trattato accogliesse la dichiarazione Balfour e che, quindi, la questione dell’insediamento ebraico in terra palestinese diventasse sempre più una questione di politica internazionale, come aveva desiderato Herzl.
Anche per la Palestina venne deciso un Governo mandatoriale e, anche in questo caso, fu lasciata alle “principali Potenze alleate” la scelta della Potenza mandataria.36
Alla Conferenza di Sanremo, le grandi Potenze si divisero i mandati il 5 Maggio del 1920, in attesa della ratifica della Società delle Nazioni. I mandati della Siria e del Libano furono attribuiti alla Francia e i mandati dell’Iraq e della Palestina (comprendente la Transgiordania) al Regno Unito.

Continua…
Note
1 Ibidem, pp. 8-11
2 Luigi Aldrovandi Marescotti (Guerra diplomatica, Milano, 1942, 9a edizione [1a edizione 1936], p. 36), che all’epoca era un ambasciatore italiano a Londra, scrisse nel suo diario, alla data 16 Gennaio 1917: “So che Sonnino, molto irritato per l’accordo intervenuto dopo la nostra entrata in guerra, tra Inglesi e Francesi, per l’Asia Minore (accordo Sykes-Picot), giunto per caso a nostra notizia, attraverso Salvago Raggi del Cairo, non ha nessuna intenzione di venire a Londra; e come dice lui “passare la spugna” su quell’atto che egli giudica severamente e considera sleale.” Nota del blog. Le pagine dell’opera di Aldrovandi Marescotti citati da Goglia sono 85-86.
3 T. E., Lawerence, La rivolta nel deserto, Milano, 1967, p. 8
4 Cmd 3530, Report of the Royal Commission on the disturbance of 1929, p. 11. Per gli schemi precedenti la dichiarazione vera e propria vedi L. Stein, op. cit., p. 564
6 Ibidem, p. 23
7 Nota del blog. Quando i bolscevichi presero il potere in Russia, Trotsky, in qualità di Commissario agli Affari Esteri, scoprì il trattato Sykes-Picot e altri accordi segreti tra gli Stati dell’Intesa. Nel giornale “Izvestiya”, allora diretto dai bolscevichi, venne pubblicato l’articolo “La diplomazia segreta e la questione palestinese” (n. 232, 22 Novembre 1917). L’articolo, che era un riassunto del trattato tra inglesi e francesi e le altre potenze alleate coinvolte nell’affaire della spartizione dell’impero ottomano, tra cui l’Italia, destò scalpore negli ambienti arabi e, più in generale, tra il pubblico degli Stati coinvolti nel primo conflitto mondiale. In Italia, “Il Corriere della Sera” pubblicò nei giorni 27, 28 e 29 Novembre 1917 diversi articoli sintetizzati degli accordi segreti tra le potenze dell’Intesa, inclusa la questione palestinese (“I documenti segreti pubblicati,” 27 Novembre 1917, pag. 3).
8 G. Antonius, op. cit., appendice C, p. 432; E. Rossi, op. cit., p. 67
9 G. Antonius, op. cit., appendice C, p. 432; E. Rossi, op. cit., p. 67. Altre dichiarazioni inglesi e francesi, fatte allo scopo di tranquillizzare gli Arabi, sono riportate da E. Rossi, op. cit., pp. 69-70, e sono: la dichiarazione britannica ai Sette, del 16 Giugno 1918; la dichiarazione di Sir Edmund Alleny a Faisal sull’avvenire dei paesi arabi del 17 Ottobre 1918 e la dichiarazione anglo-francese ai popoli staccati dall’impero ottomano dell’8 Novembre 1918.
10 “Les temps moderns” (1948), n. 32, p. 1964
11 Ibidem, pp. 1966-1967
12 A proposito del petrolio mesopotamico è importante ricordare che la Deutsche Bank ottenne concessioni petrolifere in Mesopotamia fin dal 1890. Ma soltanto nel 1912 fu formata una compagnia di sfruttamento petrolifero. Questo accadde quando altre società entrarono in concorrenza con i Tedeschi, e particolarmente la “d’Arcy Group” (società inglese partecipante alla Anglo-Persian Oil Company). Nel 1914 la compagnia fu ristrutturata e si ebbe la Turkish Petroleum Company (TPC), con un capitale di Lst. (lire sterline, nota del blog) 160mila. Il pacchetto azionario era così suddiviso: Deutsche Bank 25%, Anglo-Persian Oil Company 47,5%, Anglo-Saxson Petroleum Company 22,5%, Calouste Gulbekian 5%. L’atto costitutivo della TPC fu firmato a Londra (1915) nel Foreign Office delle società citate e dai rappresentati dei Governi della cui nazionalità erano le società. Nel 1920, a Sanremo, fu deciso che la Francia subentrasse alla Germania sconfitta in guerra. Così la quota della Deutsche Bank passò alla Compagnie Francaise du Pétrole. Si veda: C. Issawi and M. Yeganeh, The economics of Middle Eastern oil, London, Faber and Faber, 1962, pp. 101-102; E. Monroe, Britain’s Moment in the Middle East 1914-1956, Baltimore, 1963, pp. 101-103; “The British Survey” (1968), n. 226, p. 3; Karl Hoffman, The struggle for Oil in Iraq, sta in C. Issawi (a cura di), The Economic History of the Middle East, 1800-1914, The University of Chicago Press, 1966, pp. 201-202; Benjamin Shwadran, The Middel East Oil and the Great Powers, New York, 1956, (1955, 1a Edizione), pp. 194-216. Nota del blog. Riguardo la questione del petrolio nell’area mesopotamica e della TPC e gli argini inglesi ai danni dell’intraprendenza tedesca in quell’area del mondo, si citano alcuni stralci del libro di Canali Mauro, “Mussolini e il petrolio iracheno. L’Italia, gli interessi petroliferi e le grandi potenze”, Einaudi, Torino, 2007: “Il problema della disponibilità di risorse petrolifere si presentava cosi importante che per risolverlo il governo inglese violò per una volta i «sacri» principi del liberismo, acquistando nel maggio1914, su suggerimento di Churchill e di Lord Fisher, l’Anglo-Persian Oil Company (APOC), la maggiore compagnia petrolifera inglese […] L’acquisto dell’Apoc da parte dell’Ammiragliato consentiva al governo inglese d’impadronirsi contemporaneamente anche dei ricchi giacimenti petroliferi mesopotamici. Per ottenere da Costantinopoli l’autorizzazione al loro sfruttamento si erano affrontati sin dal gennaio 1911 l’Apoc e alcuni gruppi finanziari tedeschi e olandesi, che avevano costituito a tale scopo la Tpc, la Turkish Petroleum Company. A sostegno dell’Apoc, Londra aveva condotto, soprattutto contro i Tedeschi, un lungo conflitto politico-diplomatico, che s’era concluso il 16 marzo 1914 con un accordo, il cosiddetto Foreign Office Agreement, che consegnava alla compagnia petrolifera inglese, in quel momento di proprietà di D’Arcy, il pacchetto di maggioranza della Tpc. Subito dopo, nel maggio del 1914, l’Ammiragliato inglese, come s’è visto, aveva acquistato l’Apoc da D’Arcy, mettendo cosi le mani non solo sui pozzi petroliferi persiani direttamente posseduti dalla compagnia, ma anche, grazie al controllo ormai acquisito della Tpc, sulle enormi e accertate potenzialità dei giacimenti mesopotamici, per il cui sfruttamento essa si accingeva ad avanzare, con buone probabilità di successo, una richiesta formale al governo ottomano. […] La questione dello sfruttamento del petrolio mesopotamico s’era presentata sin dall’inizio collegata a quella riguardante la realizzazione di un imponente progetto, finanziato dalla Deutsche Bank, per la costruzione di una ferrovia, la Bagdadbahn, che avrebbe dovuto congiungere Costantinopoli al Golfo Persico, e avrebbe consentito ai Tedeschi d’insediarsi nel cuore stesso dell’impero inglese. L’intreccio tra progetto ferroviario e questione petrolifera era molto stretto. La compagnia ferroviaria tedesca aveva infatti ottenuto, insieme al contratto per la costruzione della Bagdadbahn, l’autorizzazione allo sfruttamento di tutti i giacimenti petroliferi presenti nei territori da essa attraversati, tra i quali Mossul e Kirkuk. […] L’acquisto della Tpc era perciò solo un aspetto dei problemi che Londra s’era trovata a dover affrontare in MedioOriente per porre un argine all’intraprendenza dell’imperialismo tedesco.” (pagg. 6-9)
13 Per la partecipazione militare italiana alle operazioni contro i Turchi in Palestina, si veda Gustavo Pesenti, In Palestina e in Siria durante e dopo la grande guerra, Milano, 1932, e Pietro Maravigna, Gli italiani nell’Oriente Balcanico, in Russia e in Palestina, 1915-1919, Roma, 1923.
14 Faisal, alla conferenza della Pace, diede la cifra di 100mila combattenti. Il divario notevole tra le due cifre si può spiegare tenendo presente due fattori: primo, la cifra di 10mila uomini si riferisce alle truppe ribelli dello Higiaz e la cifra di 100mila uomini si riferisce al nuovo complessivo degli Arabi in armi alla fine della guerra; secondo, Faisal esagerò il numero dei suoi soldati, allo scopo di esaltare il contributo arabo alla guerra.
15 G. Antonius, op. cit., pp. 240-242
16 L. Stein, op. cit., pp. 486-488
17 Michael Bar-Zohar, The Armed Prophet, London, 1967, pp. 30-31. Nota del blog. Riportiamo la traduzione di questo pezzo di Bar-Zohar: Ben-Gurion “e il suo inseparabile compagno, Ben-Zvi, erano in viaggio verso la Palestina con indosso l’uniforme dei soldati britannici. Il suo atteggiamento era notevolmente cambiato da quando aveva lasciato Alessandria per gli Stati Uniti. Ora che l’America era entrata in guerra, credeva che il suo dovere fosse quello di aiutare a liberare la Palestina. Non era il primo. Alcuni mesi prima, a Londra, il tenace Jabotinsky era riuscito a ottenere la sua Legione ebraica e, nel Giugno 1918, questa combatteva con l’esercito britannico in Palestina. Il battaglione di Ben-Gurion, composto da volontari reclutati negli Stati Uniti e in Canada, arrivò solo molto più tardi.”
18 Memorandum dell’Agenzia ebraica del 1938, p. 3. A questo proposito Maxime Rodinson nel suo Israel et le refus arabe, 75 ans d’histoire, Paris, 1968, p. 27, dà la cifra di 60mila Ebrei residenti in Palestina nell’immediato dopoguerra. Non c’è ragione di dubitare di tale cifra che trova conferma, con scarti molto lievi, anche in altre fonti. Se qualche imprecisione può esservi è certamente dovuta alla difficoltà, a causa delle perdite della guerra, delle emigrazioni di Ebrei russi verso l’Egitto (per non cadere in mano turca come cobelligeranti) e di altri Ebrei palestinesi verso altri paesi, di rilevare il totale esatto di Ebrei residenti in Palestina. Qualche confusione c’è, a proposito di queste cifre, soprattutto perché ci si riferisce agli Ebrei di Palestina senza specificare se prima o dopo la prima guerra mondiale. Maxime Rodinson, nel suo ultimo studio già citato, dà la cifra di 85mila Ebrei nel 1914 (p. 20). È necessariamente una cifra approssimativa, ma accettata, pur tenendo conto della mancanza di precisione assoluta, dalla grande maggioranza degli studiosi. Si veda, anche, Rouleau, Held, Lacoutre, Valabrega, op. cit., p. 261. Nota del blog. Il libro di Rouleau, Held, Lacoutre e Valabrega, “Israele e gli arabi”, confermano la cifra riportata da Rodinson per l’anno 1914, specificando che sia una cifra approssimativa.
19 A. Giannini, L’ultima fase, cit., p. 224. Nota del blog. Sulla questione del califatto, Giannini riporta e scrive quanto segue sulle rivendicazioni politiche e territoriali degli Arabi: “Il programma degli Arabi era, nei riguardi delle rivendicazioni politiche e territoriali, così espresso: «Noi vogliamo staccarci completamente dalla Turchia e fondare un impero arabo comprendente tutti i paesi arabi asiatici, stendentisi nei limiti delle sue frontiere naturali, dalla valle del Tigri e dell’Eufrate fino all’istmo di Suez e dal Mediterraneo fino al mare di Oman. La forma di governo sarà un Sultanato costituzionale, liberale e progressista. Il nostro sovrano sarà arabo e musulmano. Noi formeremo col vilàyet del Higiàz e la città e il territorio di Medina fino al golfo di ’Aqabah, un impero indipendente dal nostro, il cui sovrano, egualmente arabo, sarà nello stesso tempo Califfo universale dell’IsIam. Noi rispetteremo l’autonomia dei Libano, lo statu quo nei santuari cristiani della Palestina e nei principati indipendenti del Yemen, del Negd e dell’Iraq, ecc. ecc. …»” (pag. 221) L’estratto qui citato era il programma stilato tra il 1905 e il 1906. Durante il primo conflitto mondiale, gli inglesi accettarono questo programma e la figura del Califfo. Alla fine del conflitto, i delegati arabi presenti alla Conferenza di Pace, scrissero un memorandum dove “rivendicavano, in sostanza, tutta l’Arabia, tranne il possesso inglese di ‘Aden.” (pag. 224) Le azioni politiche panarabe di Faisal, secondo Giannini, vennero ostacolate dai vari movimenti siriani e assiri-caldei, oltre che da Francia e Inghilterra.
20 E. Rossi, op. cit., pp. 64-71; G. Antonius, op. cit., pp. 394, 268-269, 431, 252-258
21 A. Giannini, L’ultima fase, cit., pp. 224-225
23 E. Rossi, op. cit., p. 72
24 Ibidem, p. 72
25 Ibidem, pp. 72-73
26 Ibidem, p. 73
27 E. Rossi, op. cit., p. 73.
28 D. Ben Gurion, Israele e la grande sfida, Milano, 1967, pp. 16-17.
29 A. Giannini, L’ultima fase, cit., pp. 224-225
30 Ibidem, p. 225
31 Ibidem, p. 231
33Nota del blog. Si veda pag. 36 del documento King-Crane in pdf citato nella nota precedente.
34 Cfr. G. Antonius, op. cit., appendice G, p. 443, E. Rossi, op. cit., pp. 77-90. Nota del blog. King e Crane riportano quanto segue nel loro documento: “La Conferenza di Pace non dovrebbe chiudere gli occhi sul fatto che il sentimento anti-sionista in Palestina e Siria sia intenso e non può essere ignorato con leggerezza. Nessun ufficiale britannico, consultato dai commissari, credeva che il programma sionista potesse essere realizzato se non con la forza delle armi. Gli ufficiali ritenevano, in generale, che sarebbe stata necessaria una forza di almeno 50.000 soldati anche solo per avviare il programma. Questa è la prova di un forte senso di ingiustizia del programma sionista provato dalle popolazioni non ebree della Palestina e della Siria. A volte è necessario prendere decisioni che richiedono l’intervento dell’esercito; ma queste non devono essere prese gratuitamente e nell’interesse di una grave ingiustizia. Infatti, la rivendicazione iniziale, spesso avanzata dai rappresentanti sionisti, secondo cui avrebbero un “diritto” sulla Palestina – e basato su un’occupazione risalente a 2000 anni fa -, difficilmente può essere presa in seria considerazione.” (pagg. 36-37)
35 Cfr. A. Giannini, Documenti, cit., pp. 44-45
36 Ibidem, pp. 44-45