
Herzl morì nel 1904 e con la sua morte si accentuò la divisione nel movimento sionista: i “politici”, ovvero gli herzliani, erano disposti ad accettare dei compromessi riguardo ai luoghi della colonizzazione ebraica, ma l’altra ala del movimento, i “pratici”, era decisa a fare della Palestina la nuova Israele.1 Il VII Congresso sionista, svoltosi nel 1905, dette una larga maggioranza ai “pratici” e fu deciso che il movimento era interessato esclusivamente alla Palestina.
Ad Herzl successe l’uomo che più di tutti gli era stato vicino, David Wolffsohn (1856-1914), già suo segretario e capo del Jewish Colonial Trust. Il centro direttivo del sionismo si sposta da Vienna a Colonia, dove il nuovo presidente dell’organizzazione sionista aveva un florido commercio.2
A Wolffsohn successe, nel 1911, al X Congresso, Otto Warburg, che trasferì l’esecutivo da Colonia a Berlino.
In questi anni Chaim Weizmann 3 emerse come una grossa personalità politica nel movimento sionista. Egli, scienziato chimico russo, emigrato nel 1904 in Gran Bretagna, prese una posizione di mediazione 4, tendente all’unificazione del movimento. Weizmann risiedeva in Gran Bretagna e qui fu raggiunto da Sokolow e da Celnow5, due qualificati capi sionisti. Questa concentrazione di forze a Londra corrisponde alla doppia esigenza di conquistare la grande maggioranza degli Ebrei inglesi al sionismo e di interessare i leaders politici inglesi ad una alleanza con il sionismo internazionale.6
Nel 1906 Weizmann incontrò l’influente uomo politico inglese Lord Arthur Balfour; quest’ultimo ebbe a dire a proposito di questo incontro con Weizmann: “…l’uomo che mi fece diventare sionista.”7
L’amicizia di Balfour sarà molto importante, specialmente dal 1916 in poi, epoca in cui Balfour tornò al Governo come ministro degli Esteri. Nel 1914 Weizmann convinse lo Scott al sionismo, e questi presentò lui, Sokolow e Celnow a Lloyd George ed a Herbert Samuel, entrambi membri del Gabinetto.8 Samuel era ebreo e più tardi fu a capo dell’amministrazione britannica della Palestina sotto mandato. Sir Samuel era sionista fin da prima d’incontrare Weizmann. Egli aveva parlato a proposito della creazione dello Stato ebraico con Sir Edward Grey, ministro degli Esteri in quell’epoca. Taylor riporta questo passo di Samuel: “Grey disse che si sarebbe adoperato in futuro per la realizzazione di questo Stato e così era entrato nella schiera dei membri del Governo britannico favorevoli ai sionisti.”9
Per capire il significato che ebbe la nomina di Sir Samuel ad Alto Commissario in Palestina, è importante sottolineare la sua azione in questi anni. Samuel, nel 1915, scrisse un memorandum intitolato “Il futuro della Palestina”, nel quale sostenne la tesi della immigrazione dai tre ai quattro milioni di Ebrei in una Palestina sotto il protettorato britannico.10 Un noto giornalista dell’epoca, Herbert Sidebotham, organizzò il “Comitato Britannico per la Palestina” per divulgare il programma sionista nel Regno Unito. Egli sosteneva i sionisti dal punto di vista dell’interesse britannico e infatti, in uno dei suoi editoriali, riprendeva l’idea di Lord Kitchener a proposito della Palestina. Questo autorevole politico ed uomo d’armi dell’Impero britannico sosteneva l’importanza strategica della Palestina come baluardo a difesa del canale di Suez.11
Il 1916 fu caratterizzato dai famosi accordi detti Sykes-Picot. Tali accordi s’inseriscono nella linea fondamentale su cui si muoveva il movimento sionista e, come osserva Guido Valabrega: “Da Herzl a Weizmann, da Ussishkin a Ben Gurion quello che appare il costante riferimento d’una iniziativa comune pur vivace e multiforme, è l’impegno ad inserire il movimento sionistico nell’azione delle grandi potenze, a farlo accettare quale strumento di rilievo, degno di fiducia e d’appoggio, degli interessi strategici ed economici che via via Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Repubblica Federale tedesca (e, avanti la prima guerra mondiale, Russia, Turchia e Imperi Centrali) hanno manifesto per quella parte del mondo [la Palestina].”12
Nell’autunno del 1915, Sykes divenne sottosegretario (assistent secretary) al Gabinetto di Guerra. Poco prima del 1914, Sykes era stato messo a parte dei principi e dei piani del sionismo dal sionista britannico Moses Gaster, che il Sykes stesso riconobbe come l’uomo che lo aveva convertito alla causa sionista dopo la sua assunzione al sottosegretariato.13
Come abbiamo visto, molti tra gli uomini politici britannici più importanti e influenti erano chiaramente pro-sionisti. La Gran Bretagna era quindi pronta ad essere la potenza alleata e protettrice che i sionisti avevano sempre cercato. Gli accordi Sykes-Picot, e la dichiarazione Balfour, lo confermarono ufficialmente davanti a tutto il mondo.
Mentre i sionisti riuscivano in Gran Bretagna a trovare un terreno molto fertile alla loro azione politico-diplomatica, l’Oriente arabo era in fermento e viveva ovunque un momento di fervida attività patriottica. Nel 1909 venne fondato a Costantinopoli “Al Muntada al Arabi” (il circolo arabo), che raccoglieva principalmente i giovani arabi della capitale ottomana. Questo circolo, che funzionò fino al 1915, ebbe per presidente Abdel-Karim Qasim el-Khalif. In esso si tennero conferenza in lingua araba e rappresentazioni teatrali pure in arabo.14
Nello stesso anno, 1909, sempre a Costantinopoli, fu fondata un’associazione segreta a carattere nazionalistico “al-Qahtaniyyah” (da Qahtan, uno dei progenitori degli Arabi), composta in massima parte da ufficiali superiori arabi dell’esercito ottomano. Questa associazione finì in modo singolarissimo: i suoi membri non la sciolsero mai ufficialmente, ma la società segreta si esaurì da sola per inazione.15
Nell’Ottobre del 1913, ancora a Costantinopoli, il maggiore egiziano Aziz Ali al-Misri (già membro della Qahtaniyyah) fondò una nuova società segreta araba denominata al-Ahd (il patto); uno dei suoi membri (in prevalenza ufficiali della Mesopotamia che ebbero in seguito importanti incarichi militari e di Governo nel regno iracheno) era Nuri Al Said, schieratosi, dal 1916, al fianco di Faisal, figlio dello Sceriffo della Mecca.16
Questa società segreta voleva una monarchia dualistica sul tipo di quella austro-ungarica e il mantenimento del Califatto ottomano.17 Infine a Parigi, nel 1911, nacque la più importante delle associazioni segrete arabe: al-Giamiyyah al Arabiyyah al Fatah (La giovane associazione araba). I promotori furono giovani arabi che studiavano all’università parigina. La direzione centrale dell’associazione fu trasferita a Beirut nel 1912 e a Damasco fu costituita una sezione.
Dopo l’entrata in guerra della Turchia a fianco della Germania e dell’Austro-Ungheria, all’inizio del 1915, aderirono ad al-Fatah personalità come Faisal, il figlio dello sceriffo della Mecca.18 I membri di al-Fatah furono perseguitati dal Governo ottomano, torturati fino alla morte e al suicidio, ma nessuno di essi tradì, né svelò mai i nomi dei compagni.
Il 4 Aprile del 1913 al-Fatah scrisse al “Partito del decentramento” al Cairo, invitandolo, insieme a tutte le associazioni ad esse affiliate, ad un congresso arabo a Parigi.
La tesi di Antonius è che l’iniziativa partì da al-Fatah che, per non scoprirsi, agì tramite il “Partito del decentramento.”19 La ricostruzione dei fatti operata da George Antonius e i documenti raccolti da E. Rossi sembrano confermare questa tesi. Il testo dell’invito mandato da al-Fatah era firmato dal Consiglio d’amministrazione del congresso arabo-siriano e recava sulla testata queste significative parole: Appello alla nazione araba. Il testo era redatto in un vibrante stile patriottico e terminava proponendo i punti di discussione e di studio per il congresso da riunire:
1) l’esistenza nazionale e l’opposizione totale all’occupazione;
2) i diritti degli Arabi dell’impero ottomano;
3) necessità delle riforme sulla base del sistema di decentramento;
4) emigrazione ed immigrazione in Siria.20
Il congresso aprì i suoi lavori a Parigi il 18 Giugno del 1913, sotto la presidenza di Abd el-Hamid ez-Zahrawi (capo delegazione del Partito del decentramento), e terminò i propri lavori il 23 Giugno. Il documento conclusivo, approvato dal congresso, conteneva le seguenti deliberazioni:
1) necessità immediata delle riforme;
2) l’elevazione della lingua araba a lingua ufficiale nei territori arabi;
3) la limitazione del servizio militare degli Arabi ai territori arabi;
4) decentramento politico-amministrativo;
5) i membri del congresso non avrebbero dovuto accettare alcuna carica dal Governo ottomano, se questo non avesse accettato le deliberazioni del congresso.21
Questo documento fu presentato alle grandi Potenze e alla Porta.
Un decreto del Sultano, del 3 Agosto 1913, prometteva di accettare le richieste arabe, ma ben presto i rapporti tra Arabi e Turchi peggiorarono, quando questi ultimi iniziarono la “turchizzazione” degli arabi. Il 24 Gennaio del 1914 a Costantinopoli, in una riunione tenuta presso il Gran Visir Said Halimi Pascià, fu deciso di:
1) inviare nelle regioni turche (Anatolia e Tracia) gli ufficiali arabi di stanza a Costantinopoli, in numero di 490 (di cui ben 315 appartenenti alla già ricordata associazione al-Ahd);
2) dare il comando militare delle truppe di stanza nei paesi arabi ad ufficiali turchi e di allontanare gli ufficiali arabi;
3) accelerare la politica di “turchizzazione” degli Arabi dell’Impero;
4) combattere il movimento riformatore arabo;
5) abolire tutti i partiti e le associazioni arabe.22
Dopo l’entrata in guerra della Turchia la situazione precipitò. Il 21 Agosto 1915 ci furono le prime vittime della repressione turca. Undici patrioti arabi (dieci musulmani e uno cristiano) furono impiccati a Beirut: il capo d’accusa era di attività antiturca. Cadde così Abd el-Kerim al-Khalil, capo della gioventù araba. Si ebbero anche molte altre condanne a morte in contumacia. L’elenco delle impiccagioni è lungo. Gran parte degli uomini della resistenza araba ai Turchi cadde nella lotta di liberazione della patria araba. Il 5 Aprile del 1916, così, si ebbero altre impiccagioni; il 7 Maggio 1916, a Beirut e a Damasco, furono impiccati ventuno patrioti arabi (diciassette musulmani e quattro cristiani), tra i quali il presidente del congresso di Parigi, il senatore Abd el-Hamid ez-Zahrawi, e l’emiro Omar el-Giazairi, discendente del capo della prima resistenza algerina ai francesi, l’emiro Abd el Kader.
Le forche furono innalzate ancora una volta a Beirut il 6 Giugno 1916.23
Ma lo Sceriffo della Mecca Husein Alì, d’accordo con il Governo britannico, come abbiamo visto sopra, scatenò l’offensiva militare contro le truppe turche d’occupazione.
Ciò contribuì a darci un’idea di cosa è stato il movimento nazionale arabo, le sue prime lotte, i suoi programmi e la progressiva presa di coscienza degli Arabi, dalla rinascita del sentimento nazionale fino alla lotta armata per la liberazione della patria.
Il nazionalismo arabo, allora, ci si presenta come un fenomeno potremmo dire “classico”, cioè tipico della rinascita di un popolo o di più popoli aventi un comune passato. Possiamo ora fare un paragone con il movimento sionista, che ha voluto anch’esso, come abbiamo visto, caratterizzarsi come il movimento nazionale degli Ebrei di tutto il mondo. La lotta degli Arabi aveva come motivo generale e fondamentale quello di scuotere il giogo straniero dai loro paesi, perciò abbiamo prima parlato del nazionalismo arabo come di un fenomeno tipico. La lotta dei sionisti aveva come scopo quello di dare una patria agli Ebrei, e precisamente di ritornare in Palestina, antica sede del popolo della Bibbia. Come ignorare che la Palestina era da quasi cinque secoli una provincia della porta e, da ancora più tempo, una terra abitata prevalentemente da popolazioni di stirpe araba e da altri gruppi etnici minori arabizzati?
Il nazionalismo arabo, anche se manovrato all’inizio da classi conservatrici o da gruppi moderati, si presenta con il compito essenzialmente positivo, e storicamente giusto, di riscattare la propria patria.24 Il sionismo, invece, vuole “trovare”, o meglio “ritrovare”, la patria, ormai politicamente (oltre che storicamente, giuridicamente ed etnicamente) non più tale. Senza inoltrarci in una lunga dissertazione su questo problema specifico, si può convenire che, dal punto di vista storico, il nazionalismo sionista è un fenomeno anomalo. Fenomeno, cioè che si riscontra come fatto storico assolutamente eccezionale 25 (almeno nell’epoca moderna e contemporanea) e che può avere una sua spiegazione realistica e vera soltanto se, come abbiamo tentato di dimostrare finora, concepiamo il sionismo non come movimento patriottico, ma come prodotto nazionalistico, figlio di quel nazionalismo europeo (con i motivi dell’esasperazione dei temi nazionali, dell’aggressività militare e del culto della forza militare, della xenofobia) che noi riscontriamo alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX.
E, come abbiamo già osservato, questo era il momento in cui le grandi potenze mondiali erano già arrivate alla spartizione del mondo e i vari monopoli finanziari erano in lotta tra loro per l’accaparramento delle materie prime e di nuovi mercati. A questo punto il sionismo divenne l’ideologia delle classi abbienti ebraiche e della piccola borghesia ebraica; l’ideologia che s’inserì nel quadro della politica nazionale dei vari Stati, e in quella internazionale, come interlocutrice infaticabile delle grandi Potenze e come alleata fedele del colonialismo europeo. Il sionismo riuscì ad ottenere le simpatie dell’opinione pubblica media europea e americana, oltre che con un’intelligente propaganda attraverso i canali d’informazione, anche per il fatto di una reazione psicologica elementare, e anche un po’ infantile, che porta sempre le simpatie sul piccolo Davide contro Golia. Le persecuzioni anti-ebraiche predisposero, cioè, l’opinione pubblica dell’America e dell’Europa democratiche ad una simpatia verso il sionismo. Ma questa simpatia fu anche un fatto politico di non secondaria importanza, sia per il vantaggio che ne trassero i sionisti, sia per la natura stessa di questa simpatia che andò al di là del mero atto di solidarietà sollecitato da un meccanismo psicologico più o meno istintivo. In realtà i sionisti non prospettarono, pur nella differenziazione tra le varie componenti politiche del movimento, nessuna soluzione che potesse urtare o soltanto infastidire l’opinione pubblica europea e americana. La grande maggioranza dei casi di simpatia e di solidarietà di non Ebrei americani ed europei verso il sionismo fu, a nostro avviso, di natura politica e solo in pochi casi ci fu solidarietà umana verso gente perseguitata. La tragedia della persecuzione ebraica, comunque, ha portato un certo vantaggio, nel senso da noi sopra esposto, al sionismo, alla sua politica e alle sue realizzazioni.
L’anno 1914 aveva visto lo scatenarsi della prima guerra mondiale, nel corso della quale le diplomazie dei due blocchi in lotta cercarono di attirare a sé quanti più alleati possibile per assicurarsi il maggior numero di vantaggi sull’avversario. In questo quadro va vista l’attività dell’Alto Commissario inglese al Cairo nei confronti dello Sceriffo della Mecca Husein Alì.
Sir Henry McMahon, che era l’Alto Commissario britannico in Egitto, ricevette istruzioni da Lord Kitchener, allora a capo del War Office, per prendere contatti con la famiglia hascemita della Mecca. Lord Kitchener voleva sapere quale sarebbe stato l’atteggiamento degli Arabi in caso di guerra tra la Porta e la Gran Bretagna.26 Fu così che iniziarono i contatti inglesi con Husein Alì. Lo Sceriffo della Mecca, nella sua prima lettera datata 14 Luglio 1915 27, tra l’altro scriveva: “La Gran Bretagna riconosce l’indipendenza dei paesi arabi delimitati, a Nord, dalla linea Mersin-Adana al 37° parallelo Nord e di lì lungo la linea Biregik, Urfa, Mardin, Midiat, Geziret (Ibn Omar), Amadia fino al confine persiano; ad Est dal confine persiano fino al Golfo di Bassora; a Sud dall’Oceano Indiano (esclusa Aden che rimarrà allo stato attuale); ad Ovest dal Mar Rosso e dal Mar Mediterraneo fino a Mersina.”28
Questi erano i confini dello Stato arabo che Husein chiedeva alla Gran Bretagna di riconoscere in cambio della guerra araba contro la Turchia: la Palestina era compresa entro questi confini.29
Husein nella stessa lettera chiedeva ancora: “La Gran Bretagna acconsentirà alla proclamazione di un Califfato arabo per l’Islam.”30
Con questa richiesta Husein Alì poneva la sua candidatura a Califfo, in quanto capo della famiglia hascemita, e quindi discendente diretto del Profeta, e Sceriffo della Mecca, il luogo santo più caro all’Islam. Sir McMahon, nella sua risposta, che come tutta la corrispondenza ha una veste ufficiale di note diplomatiche, accettò senz’altro il principio dell’indipendenza di uno Stato arabo unitario ed accettò anche, con grande accortezza, la proposta hascemita del Califatto arabo dell’Islam, rimandando, però, la discussione dei confini al termine della guerra, dopo la vittoria alleata sui Turchi. McMahon affermò, infatti, che era prematuro discutere della sorte dei territori che erano ancora da conquistare. Egli così si espresse in data 30 Agosto 1915: “…Vi confermiamo con ciò la dichiarazione di Lord Kitchener trasmessavi tramite Alì Efendi, nella quale erano manifesti il nostro desiderio di indipendenza dei Paesi arabi e delle loro popolazioni, e la nostra buonda disposizione per il riconoscimento di un Califatto arabo alla sua proclamazione…Per quanto riguarda la questione dei confini, i negoziati sembrano prematuri ed è tempo perso entrare in particolari in questo momento, con la guerra in corso e con i Turchi che di fatto occupano la maggior parte di questa regione.”31
Nella successiva nota di risposta, Husein insistette per una definizione dei confini dello Stato arabo. McMahon chiarì, allora, che la Gran Bretagna aveva degli interessi nella regione di Baghdad e accennò, anche, ad interessi francesi nella zona vicino orientale. A questo proposito scrisse in data 13 Dicembre 1915: “Per quanto concerne le due province di Aleppo e Beirut, il Governo britannico ha capito perfettamente la vostra posizione al riguardo e ne ha sollecitamente preso nota. Ma poiché in queste due province sono coinvolti gli interessi del suo alleato francese, la questione richiede un’attenta considerazione. Ci metteremo di nuovo in contatto con voi a tempo opportuno.”32
Husein accettò il principio dell’interesse inglese per la regione di Baghdad, ma confermò la sua resistenza ad una penetrazione francese in territori che avrebbero dovuto far parte dello Stato arabo. E, prendendo lo spunto da quando McMahon scrisse a conclusione della sua nota, e cioè: “In queste circostanze il Governo britannico mi ha autorizzato a dichiarare a Vostra Eccellenza che può essere sicura che la Gran Bretagna non intende concludere nessun trattato di pace, in cui la libertà dei popoli arabi e la loro liberazione dal dominio tedesco e turco non costituiscano una imprescindibile condizione”, Husein, nella sua quarta nota del 1 Gennaio 1916, sostenne: “Perciò ogni concessione che preveda che la Francia e qualche altra Potenza ottengano il possesso di un solo metro quadrato di territorio in quei luoghi e completamente fuori discussione. Proclamando ciò, io ripongo tutta la mia fiducia nelle dichiarazioni che concludono la vostra nota, e questa fiducia è tale alla nostra morte passerà in eredità a coloro che verranno dopo di noi.”33
Husein, quindi, cercò di tenere duro sulla questione della penetrazione francese in quei territori che avrebbero dovuto far parte dello Stato arabo indipendente, ma ventimila sterline date dalla Gran Bretagna allo Sceriffo della Mecca, come pegno della “buona fede britannica” (espressione di McMahon), aiutarono molto Husein Alì a riporre fiducia nel generoso donatore.34
Da questa corrispondenza emerge anche un dato molto interessante, e cioè che Husein Alì considerava la Palestina terra araba e la includeva nei confini dello Stato arabo indipendente da lui rivendicato. Ancora più interessante è che la Gran Bretagna, per bocca di McMahon, non sollevò alcuna obiezione al riguardo. Il risultato di questa corrispondenza epistolare fu che gli Arabi del deserto iniziarono la lotta contro le truppe ottomane di stanza nei loro territori e che la Gran Bretagna promise allo Sceriffo della Mecca di riconoscere un grande Stato arabo, pur rimandando alla conclusione vittoriosa del conflitto la delimitazione della linea di confine settentrionale e la questione della presenza francese nella zona del Mediterraneo Orientale.
Dopo gli accordi con gli Arabi, il Governo britannico, nel corso del 1916, s’impegnò con l’alleata Francia in un accordo detto Sykes-Picot, dai nomi dei capi-delegazione delle due nazioni che lo stipularono. Ne fu informato anche il Governo dello Zar. Infatti, il 26 Aprile 1916, a Pietrogrado, venne effettuato uno scambio di note tra il ministro degli Esteri dello Zar, Sazanoff, e l’ambasciatore francese Paléologue, e poche settimane dopo si ebbe uno scambio di note a Londra tra Sir Grey, ministro degli Esteri di Sua Maestà, e Benckendorff, ambasciatore dello Zar in Gran Bretagna.35
Tra il 9 e il 18 Maggio del 1916, con uno scambio di note diplomatiche tra l’ambasciatore francese a Londra, Cambon, e Sir Grey, i piani studiati e accuratamente preparati dagli esperti franco-britannici, guidati da Sir Sykes e da Picot, assunsero il valore di un accordo internazionale e divennero vincolanti per le due potenze interessate e per la Russia che ne era stata informata.

Continua…
Note
1Comunque questa distinzione tra sionisti politici e sionisti pratici sta soprattutto ad indicare la preminenza attribuita dai primi all’azione politico-diplomatica e, per contro, dai secondi all’azione pratica, cioè alla colonizzazione agricola.
2I. Cohen, op. cit., p. 57
3L. Stein, The Balfour Declaration, London, 1961, pp. 117-118
4Questa sua posizione fu chiamata di sintesi e la sua linea politica “sionismo sintetico”. D. Lattes, op. cit., p. 165
5Celnow, un fisico di Kiev, è con Ussishkin, il massimo rappresentante del sionismo russo.
6A. R. Taylor, op. cit., p. 10
7Ibidem, p. 9
8Ibidem, pp. 11-12 e L. Stein, op. cit., p. 118
9Ibidem, p. 13
10Ibidem, p. 13
11Ibidem, p. 14
12Rouleau, Held, Lacouture, Valabrega, Israele e gli Arabi, Milano, 1968, p. 10
13A. R. Taylor, op. cit., p. 15
14E. Rossi, op. cit., p. XX
15G. Antonius. op. cit., pp. 110-111; E. Rossi, op. cit., pp. XIX-XX
16Nuri Al Said fu uno dei costruttori del regno iracheno ed un uomo di fiducia del Governo britannico fino al 1958, anno in cui fu ucciso insieme con Faisal II, nipote di Faisal I, ultimo re dell’Iraq, travolto dalla rivolta guidata dal generale Kassem.
17G. Antonius, op. cit., p. 110; E. Rossi, op. cit., pp. XIX-XX
18G. Antonius, op. cit., p. 111-112; E. Rossi, op. cit., pp. XXI
19Questo partito era ufficialmente riconosciuto in Egitto e, in quanto tale, aveva un notevole margine d’azione, pur se il suo programma era limitato ad una riforma costituzionale e amministrativa della monarchia ottomana.
20E. Rossi, op. cit., p. 11
21E. Rossi, op. cit., p. 12; ibidem, pp. XXIII-XXIV; G. Antonius, op. cit., pp. 114-116
22E. Rossi, op. cit., pp. 15-16
23G. Antonius, op. cit., p. 189; E. Rossi, op. cit., pp. XXIV-XXVI; F. Gabrieli, Il risorgimento arabo, cit., pp. 58-59
24Nota del blog. Possiamo ritenere che all’epoca della stesura di questo saggio Goglia non abbia voluto criticare gli “eccessi” del panarabismo e apprezzato, invece, la lotta anti-coloniale dei popoli africani e mediorientali avvenuti in quella fase storica (anni ’40 – ’60 del Novecento). Seppur pubblichiamo a puntate questo interessante saggio, la frase in questione, espressa dal docente universitario, la critichiamo in quanto l’idea stessa di nazionalismo – o nazionalitarismo, come riportato agli inizi di questo suo scritto -, è un ulteriore strumento della classe dominante nel controllo sociale, economico e culturale di un’intera popolazione e territorio annesso.
25Appare evidente, pur con le dovute precauzioni, l’accostamento all’esperienza boera in Sud Africa.
26Ronald Storrs, Orientations, London, 1937, p. 173. Storrs, che all’epoca era al Cairo come segretario presso l’Alto Commissariato britannico, fu incaricato, tra l’altro, di scegliere il messaggero da inviare nell’Higiaz.
27G. Antonius, op. cit., appendice A, p. 410; E. Rossi, Documenti sull’origine e gli sviluppi della questione araba (1875-1944), Roma, 1944; tutta la corrispondenza alle pp. 18-40
28G. Antonius, op. cit., appendice A, p. 410. Per le questioni riguardanti la legittimità della corrispondenza pubblicata da George Antonius in una traduzione inglese che fu da lui curata sugli originali arabi, traduzione che non fu mai accettata dalla Gran Bretagna, si veda Ettore Rossi, op. cit., pp. 18-19 e note, in cui, con grande precisione e scrupolo, è ricostruita questa vertenza che, possiamo affermare, non è ancora pienamente risolta a livello dello studio dei trattati internazionali. La nostra opinione, comunque, è di accreditare la versione dello storico palestinese George Antonius e non quella ufficiale del Governo britannico, proprio perché tutta l’azione governativa inglese in questi anni, per la questione che abbiamo preso in esame, ci appare estremamente doppia e affaristica e tale, quindi, da non poter essere presa in considerazione senza gravi dubbi e molte più gravi incertezze.
29Francesco Gabrieli, Gli arabi, Firenze, pp. 200-201. “E qui cade la famigerata corrispondenza del 1915-1916 fra McMahon commissario inglese in Egitto e lo Sceriffo della Mecca Husein, cui in premio della insurrezione fu fatta balenare la prospettiva di un grande regno arabo nei territori del “crescente Fertile”, allora tutti soggetti a Costantinopoli. Fidando in queste premesse, Husein alzò nel 1916 la bandiera della rivolta nel deserto, che condusse suo figlio Faisal e Lawrence nell’autunno del 1918, a entrare vittoriosi a Damasco.” Francesco Gabrieli nel suo Risorgimento arabo, cit., p. 63, scrive: “Non una parola di discussione vi era stata invece sulla Palestina, coscientemente o no sorvolata nelle osservazioni da parte britannica; e benchè venti anni dopo il McMahon in una lettera al “Times” dichiarasse candidamente di non aver affatto allora pensato di includerla nei territori promessi, la logica e la geografia autorizzavano pienamente gli Arabi a considerarla inclusa nel territorio “limitato ad ovest dal Mar Rosso e dal Mediterraneo fino a Mersina”, come suonava per questa parte la loro richiesta.” Si veda, inoltre, la lettera di Sir Henry McMahon al “Times” del 23 Luglio 1937, riguardante la corrispondenza con Husein Alì, in cui egli sostiene che, all’epoca dello scambio di note, non credeva che la Palestina fosse compresa nel suo impegno e che aveva ragione di credere che anche re Husein sapesse che la Palestina era esclusa. Cfr. E. Rossi, op. cit., p. 40. Si veda anche la lettera di Abdallah, Emiro di Transgiordania, e all’epoca unico figlio vivente del defunto re Husein, indirizzata all’Alto Commissario britannico in Palestina, il 24 Luglio 1937, in cui il principe hascemita ribadisce la tesi della Palestina compresa nei confini di quello Stato unitario accettato dal Governo inglese tramite Sir McMahon nella corrispondenza tra il funzionario inglese e suo padre Husein. E. Rossi, op. cit., pp. 40-45
30G. Antonius, op. cit., p. 414
31Ibidem, pp. 415-416
32Ibidem, p. 423
33Ibidem, pp. 425-426
34Le ventimila sterline furono inviate da Sir McMahon il 13 Dicembre 1915 insieme con la sua terza nota. Cfr. G. Antonius, op. cit., p. 423
35Amedeo Giannini, Documenti per la pace orientale, Roma, 1933, p. 8