La corruzione del potere

 

In concomitanza con l’anniversario della rivoluzione spagnola, presentiamo l’ottavo capitolo del libro di Vernon Richards, (il cui vero nome era Vero Benvenuto Costantino Recchioni), “Insegnamenti della Rivoluzione Spagnola 1936-1939”, Edizioni Vallera, Pistoia, 1974, pagg. 71-85. Con questo estratto ribadiamo la lotta per cui si deve battere ogni anarchicu: il potere e tutto ciò che ruota e si inanella con esso. Nel capitolo in questione, Richards fa un analisi allargata, partendo da una critica al compromesso fatto tra CNT-FAI e gli apparati governativi e concludendo ad una questione socio-psicologica – dove le collaborazioni istituzionali e le decisioni assembleari anarchiche avevano creato sia un concentramento e accettazione del potere vigente sia numerose fratture e tensioni. Ma se prendiamo tutto il discorso corruttivo, distruttivo e alienante dato dal potere e descritto da Richards, vediamo che oggi giorno certi rapporti e questioni di potere esistano all’interno del movimento anarchico.

Così non stupisce se nelle tornate elettorali (europee, nazionali, locali e referendarie) vi sono anarchicu che votano o sostengono liste elettorali e le carte costituzionali. Oppure, per scendere nello specifico dei gruppi anarchici, si vengono a creare e a stabilizzare col tempo delle situazioni di potere (micro o macro che siano) esternate grazie alla propria appartenenza anagrafica oltre che di genere, razza, classe, abilità e specie.

Queste situazioni, come le vediamo oggi nel 2024, si sono acuite maggiormente dopo il biennio pandemico (2020-2021) con l’ondata repressiva e ristrutturante borghese attuale, la frammentazione politica anti-sistemica pluridecennale – che spesso si traduce come lotta per l’egemonia e l’affermazione dei gruppi comunisti marxisti in determinati ambiti di lotta – e la disaffezione politica e l’analfabetizzazione dilagante e generale della società del Nord Globale.

Alla luce di questi fatti così stringati e sintetizzati all’osso, non possiamo ignorare quindi tutta una serie di responsabilità individuali o collettive nelle relazioni politico-personali – specie su come si vanno a riflettere quest’ultime nei fenomeni distruttivi e di profitto dati da un sistema di poteri vigenti. Se “insegnamento” deve esserci, allora è d’uopo mettersi in discussione costantemente e smontare i propri privilegi o poteri insiti in ognunu di noi e costruire al contempo una serie di situazioni che portino ad un cambiamento radicale dell’attuale sistema vigente.

Quando avete da raccontare fatti che influenzano le idee e la vostra organizzazione, non nascondete nulla: dite tutto. Il bene servirà da lezione ed esempio alle nuove generazione e il male per poter procedere alle dovute rettifiche” (cit. di Max Nettlau in Manuel Buenacasa, “El Movimiento Obrero Español. Historia y crítica. 1886-1926. Figuras ejemplares”, Familia y amigos del Autor, Choysi-le-Roi (Val-de-Marne), 1966, pagg 307-308)

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Alcuni critici pensano che gli anarchici esagerino l’effetto corruttore del potere sugli individui. Essi sostengono altresì che quegli anarchici i quali considerano tutti i governi alla stessa tregua non sono realistici. La tesi sempre difesa è che dal punto di vista anarchico un governo che permetta libertà di parola e di stampa sia da preferire e da appoggiare contro un altro che soffochi le più elementari libertà e pretenda che tutti parlino all’unisono. Ciò può essere vero in un certo senso, ma è nondimeno una scelta tra due mali ed ignora il fatto che il governo il quale può permettere al popolo di criticarlo e attaccarlo a parole, è in realtà un governo più forte e più sicuro di un governo che nega ogni critica del sistema sociale e degli uomini al potere, ed è forse, quindi, da un punto di vista rivoluzionario, un ostacolo maggiore da superare. Molti anarchici sono stati influenzati da questa critica e da coloro che, mentre simpatizzano con la filosofia anarchica, la considerano tuttavia utopistica ed al di là del regno dell’applicazione pratica. “Forse fra mille anni”, dicono, mentre tornano alla realtà della bomba atomica ed ai problemi dell’ora. E questi anarchici, colpiti dall’accusa di “sognatori”, cercano di avanzare “soluzioni pratiche” suscettibili di realizzazioni nel presente. Ma per essere “pratiche”, queste soluzioni devono essere attuate attraverso le esistenti istituzioni governative e statali, e ciò può significare una cosa sola: il riconoscimento che i problemi della nostra epoca possano essere risolti dall’azione governativa. Ed ammettere ciò vuol dire distruggere tutta la critica anarchica del governo, critica basata non su emozioni o pregiudizi, ma sulla conoscenza ben fondata dello scopo e della funzione dei governi e dello Stato. Riconoscere che anarchici e sindacalisti rivoluzionari non possono far progredire utilmente le loro idee sociali entro, lo schema delle istituzioni statali non implica, secondo noi, che essi debbano quindi essere condannati all’impotenza e al silenzio. Ciò che fece della C.N.T. in Ispagna una forza tanto vitale in paragone alla U.G.T. — pari numericamente — fu proprio il fatto che fin dal principio essa fu contro lo Stato e contro tutti i governi, e la sua organizzazione era diametricalmente l’opposto di quella del governo essendone il controllo esercitato dai membri della organizzazione stessa e non da funzionari permanenti con poteri esecutivi. La U.G.T., invece, era controllata dai capi del Partito Socialista e quindi era soggetta a tutte le vicissitudini politiche di quel partito che usava la forza numerica della U.G.T. come arma politica, con conseguenze simili a quelle che ci sono fin troppo familiari nei Sindacati di Francia e d’Italia (dove troviamo i sindacati dominati da Cattolici, Socialisti e Comunisti), d’Inghilterra (dove essi fanno virtualmente parte della macchina statale) e della Russia (dove esistono ora solo di nome).

La forza della C.N.T. sta nella sua intransigente opposizione allo Stato e all’intrigo politico; nella sua struttura decentrata e nella sua opposizione alla pratica universale di funzionari pagati e permanenti; nel suo interesse per gli obiettivi del controllo dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori come passo necessario verso il comunismo libertario e, contemporaneamente, nella coraggiosa difesa delle immediate richieste delle masse lavoratrici per ottenere migliori condizioni di lavoro ed il riconoscimento delle loro più elementari libertà. Le concessioni strappate al governo con la forza della opposizione hanno il risultato positivo, dal punto di vista anarchico, di indebolire l’autorità del governo e non possono confondersi col riformismo politico.

Per capire come fu possibile agli Anarchici Spagnoli di buttare a mare tutti i loro principi, bisogna capire l’atmosfera particolare in cui fiorì l ’anarchismo spagnuolo. Esso era un movimento basato sull’azione.

La maggior parte dei militanti spagnoli vive per la rivoluzione, e pensa che si può realizzarla, non importa quando nè come, impegnandosi a fondo e permanentemente nella “azione”. Ciò influisce sulla sua mentalità fino al punto che le questioni ideologiche pure non lo interessano più, e, nel migliore dei casi, pensa che queste sono cose per domani. In generale, è questo il militante che sceglie la F.A .I. con l ’idea che questa sia il vero organismo d’azione, creata esclusivamente dalla azione e per l’azione rivoluzionaria. Questo tipo di militante finisce per essere, in realtà, nonostante la sua buona volontà e il suo spirito di abnegazione, il peso morto della F.A .I., poiché la priva di attività elevate e provoca la maggior parte delle divergenze che, futili o no, assorbono un tempo prezioso che resta perduto per cose migliori.”1

Lo stesso osservatore aggiunge che vi è una tendenza nelle file della C.N.T. ad accusare la stessa F.A.I. come responsabile di provocare questa “mentalità del militante” nei membri del movimento libertario, e a sostegno di questa tesi egli cita numerosi uomini che per molti anni dedicarono la vita all’azione, nella quale alcuni dettero perfino la vita. “Accecati dai risultati pratici e temporanei della loro attività, essi crearono una specie di dottrina dell’azione…E rimane il fatto che molti di questi elementi, trasportati dall’impeto della loro azione erano imbevuti di una concezione personale della rivoluzione, ed arrivarono al punto da avanzare l’idea di “conquista del potere” allo scopo di proclamare la libertà da una posizione di comando”.

All’altro estremo vi erano coloro che abbiamo già citati come i “politici della C.N.T.”. Abbiamo usato questa parola nel senso puro, in quanto questi uomini cercarono, non solo dopo il luglio 1936, ma durante gli anni precedenti, di orientare la C.N.T. fuori dell’influenza della F.A.I. (essi hanno parlato frequentemente di “dittatura” della F.A.I.) e verso un’aperta azione politica, tramite alleanze politiche, la partecipazione alle elezioni generali e municipali e anche la collaborazione al governo. Come tale attività sia compatibile con la struttura federalistica (controllata dal basso) dell’organizzazione, è al di là della nostra comprensione.

Potrebbe sembrare, quindi, che di queste due influenze nella C.N.T. fossero i “leaders” riformisti che riuscirono a far prevalere il loro punto di vista nel luglio 1936, determinando così la linea di condotta che la Confederazione avrebbe dovuto seguire durante quegli anni densi di avvenimenti. Ma questo ci sembra un riassunto troppo superficiale ed inesatto della situazione. Noi abbiamo già espresso la nostra opinione che fu un errore da parte dei capi della C.N.T. far convergere sin dal principio tutta la loro propaganda scritta e verbale sulla minaccia del “fascismo”. Ma siamo arrivati altresì alla conclusione che la preoccupazione dei capi C.N.T.-F.A.I. per la “minaccia fascista” era un sentimento genuino che paralizzò in loro, in misura notevole, l’obiettività di pensiero, proprio come tre anni dopo molti rivoluzionari in tutto il mondo furono pronti, contro le proprie più radicate opinioni, a sostenere “la guerra contro il Nazismo” credendo che essa avrebbe risolto il problema del totalitarismo e prodotto la rivoluzione sociale.

Più e più volte negli scritti dei Rivoluzionari Spagnoli che descrivono quei primi giorni di lotta contro Franco, si legge di quello spirito di cameratismo che cancellò tutte le barriere di partito o di classe tra gli uomini e le donne che avevano avuto parte nella sconfitta del putsch. E ciò dette origine alla falsa speranza, basata sull’idea che ognuno odiava i ribelli quanto i lavoratori della C.N.T., che il popolo sarebbe rimasto unito finché le forze di Franco fossero state finalmente sconfitte. Non è necessaria molta immaginazione, neanche dopo tanto tempo, per vivere quei momenti di esaltazione e comprendere la più che ottimistica valutazione politica da parte della C.N.T. dei suoi alleati contro Franco del luglio 19362. Ma, nello stesso tempo, è inconcepibile che tale stato di ottimismo e di eccitamento potesse durare a lungo in vecchi rivoluzionari, specialmente perché una settimana dopo l’insurrezione fu chiaro che il governo non condivideva quel genere di entusiasmo rivoluzionario, nè la decisione del popolo di portare la lotta contro Franco e contro il vecchio ordinamento economico fino ai suoi estremi.

Tuttavia, abbiamo espresso queste opinioni come spiegazione della origine nei dirigenti della C.N.T. dell’idea di collaborazione non solo con l’altra organizzazione operaia, la U.G.T., ma anche con i partiti politici. Una volta impegnati nell’idea di “unità” e “collaborazione” entrarono in scena altri fattori che minarono rapidamente l’indipendenza della C.N.T ., creando tra molti militanti un’ ansia di potere (sia come individui, sia come organizzazione) ed un atteggiamento legalistico secondo il quale le vittorie dei lavoratori nel campo economico potevano essere assicurate da decreti governativi. Questo sviluppo dei criteri legalistici e burocratici fu accompagnato da un rilassamento dei metodi organizzativi per cui le decisioni erano prese normalmente dalla C.N.T. In altri termini, fu creata una direzione — composta non soltanto dei politici e dei membri influenti della C.N.T ., ma anche dai molti membri che occupavano importanti posti amministrativi e comandi militari — la quale funzionava attraverso i Comitati e i dipartimenti governativi, e raramente consultava i ranghi dell’organizzazione (cioè i Sindacati) o dava loro conto delle sue azioni. Al principio del 1938 l’ultimo passo fu fatto con la creazione del Comitato Esecutivo del Movimento Libertario in Catalogna. […]

È vero che i capi potevano vantarsi che solo la C.N.T.-F.A.I., tra le organizzazioni, tenne in questo periodo molti Plenum in cui furono discusse le linee di condotta della Confederazione. Ma in realtà questi Plenum rappresentavano le opinioni dei membri non più di quanto un dibattito alla Camera dei Comuni rappresenti le ponderate opinioni degli elettori. Di tanto in tanto erano indetti Plenum con importanti ordini del giorno solo due o tre giorni prima della data fissata, così che era assolutamente impossibile ai sindacati e alle federazioni locali, dato il breve tempo concesso, avere l’opportunità di discutere le questioni sulle quali i delegati avrebbero dovuto parlare a loro nome. Spessissimo le deliberazioni emanate dopo tali Plenum consistevano solo in pochi slogans e vaghe espressioni di entusiasmo da parte dei delegati, in modo che i membri di base venivano a conoscenza delle decisioni prese solo quando si trovavano di fronte al fatto compiuto.

Neppure oggi, per esempio, lo storiografo della C.N.T. è in grado di stabilire se al Plenum Nazionale dei Comitati Regionali riunitosi nel settembre 1936 fu discussa la questione del Consiglio Nazionale di Difesa (che, bisogna ricordare, era l’alternativa della C.N.T.-F.A.I. al Governo Caballero). “La convocazione improvvisa (del Plenum), e le caute dichiarazioni circa gli accordi raggiunti non permettono di sapere (se fu discusso il Consiglio di Difesa Nazionale)”. Nonostante l’impossibilità di far riferimento ai documenti interni della C.N.T.-F.A.I. (cosa che ostacola seriamente ogni tentativo di studio obiettivo della Rivoluzione), vi sono prove sufficienti che i Plenum non facevano che dare il nulla osta alle decisioni prese dai capi della C.N.T.-F.A.I., non senza una certa apprensione, come dimostra il Plenum Regionale dei Sindacati convocato il 22 ottobre 1936 per il 26. In quei quattro giorni i Sindacati dovevano esaminare le minute del patto con la U.G.T., esprimere il loro atteggiamento verso i Consigli Municipali e trattare delle dimissioni del Segretario Regionale e della nomina del suo successore.

Al Plenum, e seguendo la relazione del Segretario, “la discussione si prolungò animatamente, e vi presero parte molle delegazioni esprimendo i loro vari punti di vista, senza che sorgessero serie divergenze, poiché tutta l’organizzazione riconosceva che in quelle circostanze non si poteva’ pretendere una rigida aderenza alle norme confederali. Tuttavia, la maggioranza delle delegazioni espresse il desiderio logico che ogni qualvolta fosse possibile, si consultassero i membri di base, e chiese che i Comitati non esercitassero le loro prerogative, se non in circostanze eccezionali.

Quando diciamo che il potere corrompe coloro che lo detengono, non intendiamo dire che costoro cedano necessariamente alle tentazioni e ai guadagni materiali come è il caso, per esempio, della vita politica americana. Ciò che crediamo fermamente è che nessuno può resistere all’effetto, che ha il potere, di modificare il pensiero e la personalità umana3. E solo poche forti personalità sono capaci, una volta coinvolte in esso, di rimanere indifferenti alla popolarità che accompagna il potere. La fragilità del genere umano da questo punto di vista è stata sempre chiaramente compresa dagli anarchici, e a causa di ciò essi hanno sempre difeso una società decentrata in opposizione all’accentramento nella società attuale che permette di concentrare il potere nelle mani di pochi. Nel loro movimento la forma generale di organizzazione è stata il gruppo per affinità o funzionale: ogni gruppo si mantiene in contatto con gli altri per mezzo di segretariati coordinatori o di corrispondenza, ma ciascuno mantiene la sua autonomia e libertà di azione. Nel movimento rivoluzionario sindacalista venivano applicati gli stessi principi, e il sindacato era l’ unità di organizzazione. Questi criteri erano condivisi in teoria dalla C.N.T.-F.A.I. spagnola, ma in pratica non erano sempre osservati e per ragioni che sono particolari del movimento spagnolo. Abbiamo già accennato alla “mentalità del militante”.

È da ricordare, altresì, che per lunghi periodi della sua storia la C.N.T.-F.A.I. fu dichiarata illegale e quindi non sempre in grado di funzionare organicamente. Ed il fatto che la C.N.T. era un movimento di massa portava con sè, secondo noi, i pericoli inerenti a tutti i movimenti di massa, della creazione tra i ranghi di gruppi di militanti influenti la cui preoccupazione è di salvaguardare la “purezza” del movimento dagli elementi riformisti. Come risultato di tutti questi fattori vi sono state sempre personalità di primo piano rappresentanti delle diverse tendenze, ma molto spesso le crisi interne nella C.N.T. non sono state ideologiche, bensì uno scontro tra queste personalità. È degno di nota, per esempio, che l’attuale crisi nella C.N.T. in esilio, apparentemente tra le tendenze “collaborazionista” e “purista” , è stata in effetti una lotta tra personalità che aspiravano al controllo dell’organizzazione. È significativo altresì che molti anarchici spagnuoli sembrano incapaci di discutere le idee senza scendere ai fatti personali. Una lettura attenta della loro stampa, particolarmente nel primo periodo dell’attuale crisi? conferma, a nostro parere, simile affermazione. Ma questa è anche la tecnica di ogni politico che si rispetti nel gioco per il potere politico !

La situazione creata dai successi dei lavoratori rivoluzionari nel luglio 1936 rese possibile un’ulteriore fabbrica di capi tra i ranghi della C.N.T.-F.A.I.. L ’intera macchina propagandistica nelle loro mani fu di colpo sviluppata oltre ogni dire. Oltre ad avere la propria Stazione Radio ed emanare giornalmente Bollettini d’informazione in numerose lingue, vi erano qualcosa come otto quotidiani ed innumerevoli settimanali e riviste mensili, relativi ad ogni aspetto dell’attività sociale.4 Grandi comizi furono tenuti in tutta la Spagna ai quali parlarono “i migliori oratori del movimento come Federica Montseny, Garcia Oliver, Gastón Leval, Higinio Noja Felice, ecc.5 E questo accentramento del potere politico nelle mani di pochi fu ulteriormente aggravato dal fatto che molti militanti attivi, la cui voce avrebbe potuto contrapporsi a quella dei “militanti influenti” , erano completamente impegnati nell’impresa delle collettività, oppure nelle colonne combattenti sui fronti di operazione. Infatti, è una conseguenza dell’integrità rivoluzionaria del movimento nel suo complesso che tanti degli uomini capaci di dirigere la macchina propagandistica e di occupare posti amministrativi abbiano evitato queste posizioni di dominio, e che nelle prime settimane di lotta non fosse possibile trovare uomini sufficienti per esplicare questo lavoro.

Per risolvere il problema l’Ufficio Informazioni e Propaganda della C.N.T.-F.A.I. di Barcellona decise di creare una Scuola per Militanti (Escuela de Militantes). In un discorso alla Radio che spiegava lo scopo di questa Scuola, fu precisato che essa era sorta “sotto gli auspici del Comitato Regionale della C.N.T. e della F.A .I. di Catalogna ed era da queste appoggiata e mantenuta”. Il suo scopo era di “creare un organismo con l’esclusivo fine di coltivare i militanti ed adattarli ed attrezzarli per il lavoro e per le idee della organizzazione nei suoi vari aspetti”. Per appartenere alla scuola era necessario avere “opinioni personali e cultura generale, specialmente su questioni sociali”.

[…] Era necessario altresì che tutti gli studenti della scuola “fossero appoggiati economicamente dal Sindacato al quale appartenevano”. Durante il discorso fu detto che : “Non vi è dubbio che uno dei maggiori successi della nostra organizzazione è stato di creare questo originale tipo di istituzione, in quanto gli studenti oltre ad acquistare un’ utile ed interessante conoscenza di tutti i rami del pensiero umano, raggiungono, contemporaneamente, con metodo, la massima perfezione nel loro particolare argomento”. (nostro il corsivo).

Lo storiografo della C.N.T. in esilio non fa alcun commento su questa tutt’altro che “originale” istituzione, perfezionata già da molto tempo dai dirigenti di Mosca ed usata dal Partito Laburista e dalle Trade Unions Britanniche come metodo per addestrare i futuri leaders del Partito ed i dirigenti delle Trade Unions. A nostro parere, simili incubatrici rivoluzionarie contengono più pericoli che vantaggi, particolarmente quando, come nel caso in discussione, esse sono organizzate dall’Ufficio Propaganda con lo scopo precipuo di fabbricare pubblici oratori e giornalisti che, evidentemente, se dovranno parlare o scrivere per l’Ufficio Propaganda, non potranno che esprimere “le direttive del partito” e non le proprie opinioni personali, e più che mai se sono propagandisti pagati.6 Così la linea ufficiale guadagna un serio e pericoloso vantaggio sulle opinioni delle minoranze col suo monopolio di tutti i mezzi di espressione. Se lo spazio ce lo avesse consentito, avremmo desiderato esaminare nei dettagli tutta la tecnica propagandistica; e la propaganda fu condotta in Spagna da tutti i partiti e da tutte le organizzazioni su così vasta scala7, che lo studio dei metodi usati fornirebbe ottimi insegnamenti per il futura. Ci contenteremo, tuttavia, di esprimere la nostra opinione secondo la quale i demagoghi dell’oratoria (al contrario dei conferenzieri ed oratori delle assemblee di gruppo e di riunioni simili) rappresentano il più grande pericolo per l’integrità del movimento rivoluzionario. E microfono è la maledizione dei tempi moderni. Ed in alcune regioni della Spagna, dove si coltiva la terra con l’aratro dei Romani, non mancavano e non mancano tuttora i microfoni cromati!

Una caratteristica della demagogia politica è che un giorno si dice una cosa ed il giorno dopo si immagina che il popolo possa credere il contrario. Abbiamo già avuto un esempio classico di questa tecnica nel documento del 3 settembre 1936 contro la collaborazione, seguito subito dopo da peana in lode del governo quando la C.N.T. si unì a Caballero. E ve ne sono molti altri. Garcia Oliver che si classificò tra i primi in quella che Federica Montseny ha eloquentemente definita la “dinastia anarchica” ci fornisce tutto il materiale necessario per uno studio dell’influenza corruttrice del potere. Fu lui a dire, ad un grande comizio tenuto a Barcellona il 10 agosto 1936:

…. Il Governo di Madrid pensa che si possa procedere alla formazione di un esercito per combattere il fascismo senza che questo esercito abbia uno spirito rivoluzionario. L’esercito può avere solo il carattere che emerge dalla voce del popolo, e deve essere proletario al 100%. Per dimostrare ciò debbo fare riferimento alle Guardie di assalto, Carabinieri e Guardie civili che si unirono alle masse lavoratrici nella lotta contro il fascismo, formando con esse un esercito popolare che in pratica si è dimostrato superiore alla classica concezione di corpi armati organizzati alle spalle del popolo.”

Il 4 dicembre 1936 ad un comizio a Valenza, lo stesso oratore (divenuto Ministro di Giustizia) dichiarò :

Abbiamo interesse a vincere la guerra? Allora, quali che siano le ideologie o i credos dei lavoratori o delle organizzazioni alle quali essi appartengono, per vincere essi devono usare gli stessi metodi del nemico, e specialmente disciplina e unità. Con disciplina e con una efficiente organizzazione militare, senza dubbio vinceremo. Disciplina per coloro che combattono al fronte ed al posto di lavoro, disciplina dovunque, questa e la base del trionfo.”

Sei mesi al Ministero di Giustizia avevano convertito questo coraggioso e popolare esponente dell’azione diretta in un apologeta del governo e dei campi di lavoro per prigionieri politici. In un comizio pubblico da lui tenuto a Valenza, il 30 maggio 1937, poco dopo la caduta del Governo Caballero e la esclusione dei Ministri della C.N.T., egli riferì sulla sua attività al governo.8 Fu la difesa (durata due ore e mezza) di Garcia Oliver del valore della legge e dell’efficienza del governo. Nell’iniziare il suo discorso, egli disse che il titolo avrebbe potuto essere “Dalla fabbrica di Barcellona al Ministero di Giustizia.”9 Cioè da operaio del Sindacato Tessile di Barcellona alla strutturazione di una nuova Spagna.” In seguito egli ricordò ancora la sua origine operaia aggiungendo : “E nessuno ne dubiti o lo ignori: Ministro della Giustizia fu, sebbene operaio, Garcia Oliver.

E dopo qualche frase : “Ed io fui Ministro di Giustizia, io, Garcia Oliver”, aggiungendo modestamente: “Ma non credete che facessi io ogni cosa……”. È particolarmente significativo, nel discorso di Garcia Oliver, che non solo egli non mostra alcun imbarazzo nell’esporre i Decreti Legge da lui redatti che camminavano lunghi anni di prigione per chi li infrangeva, e le sue proposte di riforma del sistema penale, ma dimostra altresì molto chiaramente la profonda influenza esercitata su di lui dal governamentalismo e la sua convinzione che la natura dei governi si trasformi quando sia inclusa la rappresentanza della C.N.T., argomento che poteva condurre in definitiva solo a dire, in comune con i Socialisti ed i riformisti, che quando il Parlamento fosse composto di Anarchici, avremo l ’Anarchismo!

Ho ragione di credere — dichiarò Oliver — “interpretando l’ordinamento economico, che vi sono cose che bisogna collettivizzare perchè possono essere collettivizzate; che vi sono cose che bisogna municipalizzare perchè non possono essere collettivizzate per considerazioni di efficienza economica o di produzione; che vi sono cose che bisogna nazionalizzare perchè nelle circostanze economiche attuali, transitorie o permanenti, non possono essere nè collettivizzate, né municipalizzate. Ho ragione di credere che vi sono cose che bisogna lasciare al libero sfruttamento dei piccoli proprietari e dei piccoli industriali. Tutti ì problemi esistenti possono e devono trovare una soluzione, con un buon governo fatto di gente che lavora, di gente che non viaggia troppo, di gente che dedica poco tempo alla politica e risolve i problem i e organizza il lavoro da fare.”

Dei quattro ministeri C.N.T.-F.A.I. al Governo Centrale, solo Federica Montseny ha pubblicamente “ritrattato”, sebbene non si possa essere sicuri, data la sua qualità di “oratrice” del movimento, fino a che punto ciò fu motivato da ragioni diverse da quelle di principio. In una lettera a Juan Lopez, scritta subito dopo la “liberazione” della Francia10, ella espresse l’opinione che la questione della collaborazione o astensione politica non era la sola, nè la più importante da discutere.

Il problema è di rendere la C.N.T. e il movimento libertario una forza organizzata e cosciente con una precisa “linea di condotta”, con un programma da attuare immediatamente e con una chiara visione del domani e delle sue possibilità sia in Spagna, che all’estero ..… Forse non siamo d’accordo su tutti i punti, ma sono sicura che saremo d’accordo su una questione fondamentale: sulla necessità di prepararci al ritorno in Spagna con una attrezzatura morale del tutto diversa da quella che esisteva nel 1936. L’esperienza deve servirci, cosi come gli insegnamenti da trarre dagli avvenimenti. E la C.N.T. deve essere veramente solida, massiccia, organizzata secondo direttive ferme, con disciplina ed obiettivi realistici, senza per ciò perdere di vista tutti i nostri obiettivi finali (norte ideal) se non vogliamo arrenderci agli altri (ai partiti politici)……”.

Lo stesso Juan Lopez che giustamente, secondo noi, nota lo “spirito autoritario” di questa lettera, è rimasto sostenitore della collaborazione. Egli si compiacque della partecipazione di un rappresentante della C.N.T. al Governo Spagnolo in esilio (capeggiato da Giral), e sostiene la collaborazione con tutti i partiti politici contrari a Franco, ad eccezione dei Comunisti, e la necessità di una politica “realistica” da parte della C.N.T., compresa la partecipazione al governo del paese. A suo favore, va ricordato che Juan Lopez non si dice anarchico; egli è un sindacalista che crede nella politica e nei governi “rivoluzionari.” Come abbiamo già osservato, non sappiamo come egli concilii la sua critica della “dittatura” della F.A.I. nella C.N.T., la quale avrebbe impedito la vera democrazia e il controllo da parte dei sindacati, con la sua difesa della “evoluzione” della C.N.T. verso il governamentalismo. Egli certamente non propone che il governo sia controllato dai governati. La nostra impressione è che auspicando la creazione di ciò che in effetti è un Consiglio

Esecutivo della C.N.T., responsabile verso il Governo e non verso l ’organizzazione, Lopez condivida quello “spirito autoritario” con Federica Montseny, col defunto Juan Peirò (un altro impenitente collaborazionista politico) e con Garcia Oliver (che attualmente nel deserto politico auspica un Partito Anarchico). E questi non sono i soli danni arrecati dal potere nelle file del movimento rivoluzionario. Esso ha avuto i suoi effetti su molti consiglieri da quattro soldi, dirigenti d’industria e direttori di giornali.

Noi non pretendiamo di sapere fino a che punto costoro determineranno la futura politica della C.N.T.. Forse l’esperimento sociale e le conquiste degli operai e dei contadini spagnoli durante gli anni 1936-39 hanno insegnato l’importanza di fare le cose da sè, senza governi e “dirigenti influenti.” In questo caso i politici e i demagoghi dovranno sostenere un’aspra lotta negli anni futuri, per foggiare la C.N.T.-F.A.I. secondo i loro voleri.

 

Note

1ldefonso Gonzales in una serie di articoli su “Il Movimento Libertario Spagnolo” pubblicati nella rivista anarchica Volontà (Napoli, Voi. 9, nn. 6-9, giugno-settembre 1952, in opuscolo, Napoli, 1953: pag. 14). L ’autore è un militante della C.N.T. in esilio. Questi articoli sono un importante contributo alla comprensione delle differenti sezioni ed influenze del movimento libertario spagnuolo. Nessuno sforzo è stato fatto per mascherare le debolezze del movimento e lo studio comprende un certo numero di interessanti documenti, particolarmente sulla F.A.I.

2In misura ridotta si potrebbe fare il parallelo col movimento della Resistenza durante la II Guerra mondiale. Il ritorno dei politici dopo la “liberazione” fece cessare ben presto quell’ottimismo.

3“Certi delegati anarchici, divenuti ministri o personaggi ufficiali di diverse categorie, presero sul serio il loro compito; il veleno del potere fece subito effetto”, Gaston Levai, op. cit., pag. 81.

4Peirats in “La C.N.T. en la Revolución Española”, Vol. II (Tolosa, 1952) dà una lista incompleta di più di cinquanta periodici della C.N.T.-F.A.I. pubblicati in quel periodo, oltre i quotidiani. Si veda anche l’interessante articolo di Juan Ferrer su “El ciclo Emancipador de Solidaridad Obrera” (S.O., Paris, 2-12-54). Secondo lui la media della tiratura di S.O. prima del luglio 1936 era di 7.000 copie. Nel 1937 era salita a 180.000 copie al giorno.

5Peirats, op. cit.

6Qualunque propaganda finanziata dall’Ufficio Propaganda doveva seguire le direttive ufficiali oppure rinunziare ad essere sovvenzionata. Un esempio di ciò si ebbe con l’eccellente periodico Espagne-Antifasciste, pubblicato in Francia, che ebbe grande diffusione tra gli operai e gli intellettuali francesi. Non appena esso osò criticare la politica dei capi della C.N.T.-F.A.I. le sovvenzioni furono interrotte e il giornale, sebbene non sospendesse completamente le pubblicazioni, fu notevolmente ridotto nel formato e non ebbe più la vasta risonanza del suo predecessore. In una lettera da Barcellona (febbr. 1937) il militante italiano Camillo Berneri scrisse che “Il n. 8 di Guerra di Classe (settimanale edito da Berneri) uscirà quando potrà. Il Comitato si è regolato con esso allo stesso modo che con l’Espagne Anti-Fasciste.” (Pensieri e Battaglie, 1938, pag. 261-2).

7Si veda la nota 23 relativa alla forza della stampa della C.N.T.-F.A.I. Essa era essenzialmente propagandistica e di conseguenza le notizie relative alla lotta armata esageravano le vittorie e minimizzavano le sconfitte. Ma la C.N.T. e la F.A.I. non usavano la loro stampa per attaccare le personalità dei partiti politici del Fronte Popolare o procurarsi vantaggi politici. Solo per costruire le proprie personalità nell’Esercito popolare e nel campo politico e sociale, semmai. Infatti si sente che molto di più poteva farsi per mezzo della stampa per guadagnare simpatie alla causa anarchica. Forse l’ossessione dell’unità antifascista che dominò il gruppo dirigente, nonché la linea “politica” adottata dalla C.N.T.-F.A.I.. rese impossibile metodi anarchici più diretti. I partiti politici, invece, non avevano di questi scrupoli circa l’uso della Stampa per fini di partito. E nessuno usò la propria stampa più efficacemente (o più disonestamente) dei Comunisti. Jesus Hernandez, leader spagnuolo del P.C., nel suo libro Jo fui Ministro de Stalin (Mexico, 1953) scrive: “(tutte le forze politiche e sindacali) si servivano della propaganda per farsi vedere e sentire a tutte le ore e in tutti i luoghi. Fummo solo noi Comunisti a metterne in pratica i dettami fondamentali, così da influire sui sentimenti più vivi delle masse e spingerle verso le nostre mete particolari. Se ci proponevamo di dimostrare che Largo Caballero, o Prieto, o Azaña, o Durruti erano responsabili delle nostre sconfitte, mezzo milione di uomini, decine di periodici, milioni di manifesti, centinaia di oratori confermavano la pericolosità di costoro in modo talmente, sistematico, con tanto fuoco e costanza, che in quindici giorni tutta la Spagna accettava l’idea, il sospetto, la convinzione di quanto avevamo lasciato cadere tra una parola e l’altra. È stato giustamente detto che una menzogna, se detta da una sola persona, resta semplicemente tale, se la ripetono migliaia di persone diventa una verità mescolata con dubbi; ma se la proclamano milioni eccola assunta al livello di sicura e ferma verità. Si tratta del resto di una tecnica che Stalin e i suoi compari sanno maneggiare a meraviglia.” (pagg. 134-35).

8Juan Garcia Oliver, Mi Gestión al Frente del Ministerio de Justicia (Ediciones C.N.T., Valencia, 1937). Alcuni brani sono citati da Peirats nel Vol. Il, ma purtroppo egli omette quelle osservazioni che dal punto di vista psico-patologico sono le più interessanti.

9Per una interessante coincidenza Juan Peirò intitolò effettivamente il proprio discorso “De la fabrica de vidrio de Mataro al Ministerio de Industria”. Non si può evitare l’impressione che sia Oliver sia Peirò considerarono il cambiamento di occupazione, da operaio a Ministro, come una notevole conquista ed un miglioramento di stato, e non un grandissimo sacrificio per quanto riguardava i principi anarchici.

10Citata da Juan Lopez in « Los Principios Libertarios ante la Politica Española » (Material de Discusión, Brighton, 15 febbraio 1946).