Debito e accaparramento di terre
In una recente indagine di Reuters 1 si è scoperto come le nazioni legate al G7 abbiano applicato dei tassi interessi alti ai paesi poveri (ricchi di forza lavoro a basso costo e materie prime). Il quadro tracciato dalla testata mainstream internazionale è abbastanza inquietante ma non è una notizia nuova. Piuttosto, questa news sul finanziamento e debito creato ad hoc potrebbe rientrare benissimo nel contesto sempreverde del “segreto di Pulcinella”: un problema plurisecolare, risaputo e denunciato a più riprese e in tutti i luoghi pubblici dalle persone appartenenti a gruppi sociali nativi e organizzazioni non governative, movimenti politici e via dicendo. Uscendo fuori dal linguaggio giornalistico, la questione del finanziamento e indebitamento è una parte integrante del colonialismo verde.
Il debito, generalmente parlando, serve per costruire e affermare la gerarchia e disuguaglianza esistente eriflette appieno i modelli di dominio basati sulla razza, specie, genere e classe.
Questa narrazione dominante, scrivono Miriam Lang, Alberto Acosta ed Esperanza Martínez, “individua la responsabilità dell’indebitamento e delle sue conseguenze di ogni tipo nelle classi popolari, nei gruppi sociali razzializzati o nei Paesi del Sud globale, classificati come “in via di sviluppo”. 2 I creditori – ovvero gli Stati e le aziende provenienti dal Nord Globale -, che “aiutano” generosamente le nazioni più poveri, rendono giustificabile e legittimo (a livello di normalizzazione e narrazione) il debito, trasformando il modello economico attuale in “un campo di gioco equo, il cui successo dipende esclusivamente dallo sforzo di ogni persona – o di ogni Paese – e che, nel mercato mondiale, i prezzi pagati derivino semplicemente dall’interazione tra domanda e offerta.”3
Ma come si è visto negli ultimi secoli, non vi è equità di sorta e/o giustezza dato da un modello produttivo e distributivo fondato su una gerarchia economica. Il possesso, l’egemonia, il controllo, lo sfruttamento, la produzione “infinita” e la forza bruta sono elementi cardine del Capitalismo e dello Stato. Il debito è uno dei tanti ingranaggi morali e materiali: esso serve a questo tipo di strutture istituzionali ed economiche desiderose di poter vivere ai danni di soggetti (umani e non) e territori annessi – possibilmente attraverso la costruzione di strutture inquinanti, obsolete e pericolose, utili, secondo la propaganda mediatica capitalistica, a “colmare” il divario economico e sociale tra i territori del Nord e Sud Globale (o, se vogliamo vederla anche nelle nostre latitudini, tra le zone ricche e depresse a livello socio-economico del Nord Globale 4).
In questo frangente entra in scena il “Fondo Monetario Internazionale” (FMI) che offre ai Paesi indebitati dei “programmi di aggiustamento strutturale”. E quest’ultimi, per ripianare i nuovi debiti contratti con il FMI, privatizzano o demoliscono i sistemi welfaristici (sanità, istruzione pubblica, previdenza sociale) instauratisi in periodi di crescita economica. Il Sud Globale, trovandosi in un vortice debitorio – a cui si sommano, come detto prima, le risorse vendute a prezzi irrisori al Nord Globale e un costo del lavoro molto basso -, non riesce a colmare i prestiti ottenuti tramite queste “ricette economiche” del FMI. L’instabilità politica ed economica che si viene a creare, quindi, va a vantaggio di coloro che controllano il debito, dove “i profitti vengono privatizzati e concentrati nelle mani di pochi, il costo del servizio del debito viene spesso distribuito tra i molti. Diventa uno strumento di redistribuzione dal basso verso l’alto, una macchina per ampliare le disuguaglianze.”5
Così “i governi indebitati sono estremamente vulnerabili […] rischiano la bancarotta e possono essere costretti dalle istituzioni finanziarie internazionali ad accettare politiche che richiedono la liberalizzazione dei mercati e la privatizzazione dei beni pubblici […].”6 La natura, con un contesto di questo tipo, diventa un bene prezioso e quantificabile a livello monetario. Le aziende, perseguendo fini coloniali verdi, valutano un territorio analizzando “il suo potenziale sotterraneo di stoccaggio del carbonio7, il suo assorbimento solare, il suo suolo e la sua acqua come potenziale per la produzione di biocarburanti (olio di palma, zucchero e Jatropha), i suoi alberi come fonte di finanziamento REDD (Reduced Emissions from Deforestation and Degradation, riduzione delle emissioni dalla deforestazione e dal degrado) […] e la sua biodiversità come fonte di finanziamento data dalla conservazione globale o dalle entrate turistiche. I nuovi mercati “verdi” moltiplicano e accrescono il valore finanziario della natura e trattano e speculano su questi nuovi valori.” 8
Questo fenomeno noto come “green grabbing” (traduzione “accaparramento delle terre verdi”), consente alle aziende di installare, in determinate zone, delle strutture che espletano servizi specifici (turistici, ambientali ed energetici).
Tali forme di investimenti servono alle imprese per ripulirsi l’immagine pubblica – in special modo seguendo i punti del programma internazionale qual è il “Reducing emissions from deforestation and forest degradation (REDD+)” 9 -, e nascondere le loro velleità speculative 10 e distruttive all’interno dei contesti in cui operano – in special modo in situazioni di sfollamento di gruppi umani nativi.11
Il profitto tratto in un contesto di accaparramento ha, quindi, la funzione di possedere e controllare dei servizi di vari natura (turistici, energetici, etc) e far dipendere i territori colonizzati attraverso il debito – che diventa sempre più insolvibile.
Note
1“Le nazioni ricche stanno guadagnando miliardi grazie al programma globale sugli effetti del cambiamento climatico”, Iene Anarchiche, 24-25 Maggio. Link: https://ieneanarchiche.noblogs.org/post/2024/05/24/le-nazioni-ricche-stanno-guadagnando-miliardi-grazie-al-programma-globale-sugli-effetti-del-cambiamento-climatico-prima-parte/
2“Taking on the Eternal Debts of the South” in “The geopolitics of green colonialism. Global justice and ecosocial transitions,” Pluto Press, Londra, 2024, pag. 106
3Ibidem, pagg. 106-7
4Grazie ai piani industriali dei governi democristiani degli anni ‘60 del Novecento, le multinazionali italiane riuscirono a incamerare una serie di finanziamenti provenienti dall’allora “Cassa del Mezzogiorno”, costruendo delle infrastrutture nel Sud Italia che 1) non sarebbero state completate, 2) mai avrebbero funzionato a pieno regime e 3) non avrebbero assorbito la forza lavoro inoccupata presente in quei territori. Questo fenomeno noto come “cattedrali nel deserto” portò all’arricchimento di una parte della classe economica dell’epoca, devastando i territori del Meridione italiano e rendendo quest’ultimo, nell’attuale presente, dipendente dai finanziamenti e debiti di origine statale ed europea.
5Ibidem, pag. 108
6James Fairhead, Melissa Leach e Ian Scoones,“Green Grabbing: a new appropriation of nature?”, The Journal of Peasant Studies, Volume 39, n. 2, pag. 246. Link: https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/03066150.2012.671770
7Vedere “The Power of Trees: How do trees store carbon and how do we measure it?”, Hamerkop, 18 Gennaio 2024. Link: https://www.hamerkop.co/blog/thepoweroftrees
8Ibidem, pag. 244
9Nel 2010 quando Gazprom e Shell siglarono un accordo con il governo indonesiano per conservare e difendere una foresta pluviale presente sull’isola del Borneo. L’obiettivo era quello di seguire le regolamentazioni del REDD+ e sfruttare questo bacino arboreo come abbattimento delle emissioni di CO2. Link: https://news.mongabay.com/2010/08/gazprom-shell-and-clinton-foundation-back-rainforest-carbon-deal-in-borneo/
10L’opportunità redditizia di ricavare prodotti energetici basati sul carbonio (biocombustibili nel nostro caso), implica una sorta di “bolla” economica con annesse speculazioni (aumento-ribasso dei prezzi, appropriazione di territori destinati alla produzione energetica non fossile etc).
11Gli esempi di sfollamento li abbiamo in varie parti del Sud Globale – in special modo nella cosiddetta America Latina e nell’Africa Sub-sahariana. Senza andare troppo lontano a livello geografico, una situazione di questo calibro la vediamo anche nell’Europa occidentale, precisamente in Svezia. Ebba Busch, vice primo ministro svedese e ministro dell’Economia e dell’Energia, ritiene che la “la Svezia ha davvero la risposta alla domanda da un milione di dollari se sia possibile avere obiettivi climatici molto elevati e allo stesso tempo una forte crescita economica”. Prendendo esempio dai benefici derivati dall’estrattivismo e dalla rendita petrolifera norvegese degli anni ‘60, Busch ha definito il giacimento di Kiruna, nella regione di Norrland, come un bacino minerario in grado di cambiare le sorti del futuro economico svedese. La “Luossavaara-Kiirunavaara Aktiebolag” (LKAB), azienda mineraria di Stato che opera in quel territorio, lavora “almeno l’80% del minerale di ferro in Europa” e ritiene che un “nuovo giacimento contenga circa 1,3 milioni di tonnellate di elementi di terre rare. Una tonnellata metrica di neodimio, uno degli elementi presenti nel giacimento utilizzato per i potenti magneti e per l’elettronica, ha attualmente un prezzo di circa 70.000 dollari.” La regione in questione è abitata dalla popolazione nativa Sami “che attualmente alleva le renne” e, fino a qualche secolo fa, “erano considerati razzialmente inferiori” dal governo centrale svedese. A causa delle attività minerarie in corso, i terremoti proliferano nella zona, tanto che la LKAB ha tracciato una grande linea rossa al centro della città di Kiruna dove “coloro che si trovavano su un lato, circa 6.000 case, avrebbero dovuto spostarsi di circa tre chilometri verso est, e la compagnia mineraria ne avrebbe pagato il costo – circa centinaia di milioni di dollari. […]”. Tale stato di cose ha portato a vari sfollamenti “volontari” (per non dire forzati da questo ennesimo atto coloniale svedese) delle persone sami. I virgolettati messi in questa nota sono degli estratti provenienti dall’articolo “Green colonialism” di Isobel Cockerell, pubblicato su “Noema”, 7 Dicembre 2023. Link: https://www.noemamag.com/green-colonialism/