Con la legge del 27 Maggio 1949 n. 60, il 2 Giugno è diventato ufficialmente la giornata dedicata alla Festa della Repubblica Italiana. La classe dirigente politica ed economica ha potuto commemorare la sua gloriosa giornata di liberazione da un regime vetusto – quale era la “monarchia-fascismo” –, riaprendo le porte ad un mondo che, nel successivo quarantennio, sarebbe stato diviso in due e tre blocchi (NATO, Patto di Varsavia e Non Allineati), salvo poi scindersi, negli ultimi 30 anni circa, in vari settori e unioni capitalistici regionali e continentali.
Ma oltre al tripudio borghese, il 2 Giugno rappresenta, fin dalla sua istituzione, la sfilata della macchina militarista (intesa come economia e gestione della cosa pubblica in tempi di crisi) italiano, oltre alle solite fanfaronate del mondo politico partitico (dall’esaltazione dei nostri soldati in missione alla difesa della Costituzione Italiana).
In 75 anni questo Paese ha visto attraversare la peggior reazione e repressione esistente: tentativi di colpi di Stato, collusioni tra borghesie legali e illegali, cultura azzerata, esaltazione delle logiche consumistiche, distruzione di qualsiasi tentativo che potesse uscire dall’ordine delle cose esistenti, leggi sempre più liberticide e via dicendo.
Il tutto per compiacere e difendere una classe che, in questi tempi di crisi, vede sempre più sfilare dalle proprie mani i privilegi acquisiti con estrema violenza grazie a norme ad hoc e azioni chirurgiche delle forze dell’ordine,
Non crediamo di dover aggiungere altro a questa introduzione di un articolo che, vecchio di quasi 75 anni, espone in modo attuale e cristallino ciò che era, è e sarà questo apparato borghese, politico e militarista di nome “Repubblica Italiana”.
La borghesia nazionale – alta e piccola – si è inebriata d’orgoglio in occasione della parata militare in via dei Fori Imperiali. Erano anni che non si vedeva una cosa simile: tanti uomini armati, tanti cannoni, tanti carri d’assalto e le uniformi e il rombo degli aerei.
Il cuore del borghese nostrano si è gonfiato di gioia febbrile di fronte al miracolo di acciaio (nell’animo loro i borghesi stavolta compiaciuti si dicono che quello è acciaio vero, tempratissimo, made in USA; non latta di Mussolini. E l’alleato non è il tedesco ma la potentissima America). Di riflesso tutto il popolo, anche quello minuto, in una forma più abietta e miserabile si esalta nella frenesia delle mani e del cervello. Motivo dell’entusiasmo non è solo la persuasione che questa “insopprimibile realtà della patria” torna a marciare vestita in una corazza di ferro, ma un inestinto residuo nostalgico. Infatti in via dei Fori Imperiali tutti hanno capitolato in modo inconscio ed istintivo di fronte al richiamo di altre giornate, di altre parate, di altri tempi.
Nella folla vi erano certo molti monarchici che acclamavano l’esercito della repubblica; molti fascisti che andavano in visibilio al passaggio di truppe presumibilmente antifasciste; molti, moltissimi comunisti (convocati all’uopo, dall’organizzazione di partito) che plaudivano alle forze armate della repubblica democratica, dimenticando per un’ora che quelli erano i reparti avanzati del blocco atlantico.
Perchè tutto questo?
La risposta l’hanno data le vecchie e fesse trombe del nazionalismo: perché essi dicono, il sentimento di patria e di italianità ha preso per un momento il sopravvento sugli odi di parte e di classe.
Ed è vero purtroppo: tutta quella gente è oggi in preda di quel facile irragionevole volgarissimo patriottismo che fa parte del costume italiano.
Senza riandare ad altre crisi nella storia del nostro paese basti ricordare i fatti di cui tutti noi siamo stati recentemente spettatori. Per cinque anni di guerra gli italiani hanno acclamato Mussolini e lo hanno maledetto, hanno invocato l’intervento del re e lo hanno cacciato, hanno prima salutato i tedeschi come generosi collaboratori e poi hanno chiamato gli angloamericani a liberarli dai tedeschi, si sono battuti fra loro cambiando spesso due o tre volte di bandiera, ma tutto in nome dell’Italia. Badoglio consumava il suo colpo di Stato gridando “Viva l’Italia!”; e Ciano moriva sotto il piombo della milizia allo stesso grido. Sarebbe ormai l’ora di accorgersi che questa Italia non esiste e che l’Italia che sfilava in via dei Fori Imperiali era l’Italia del governo, dei padroni, dei generali italo-americani e che l’Italia che a quell’ora lavorava nelle fabbriche, negli uffici e nei cantieri era un’altra Italia.
Ed una altra Italia ancora era quella lontana dai fasti della Capitale e dispersa sulle montagne e nelle pianure della penisola. Per questo oggi si può affermare che la restaurazione non avanza con i carri d’assalto della Celere o con le blinde dei carabinieri ma con i motivi del più provinciale nazionalismo che ha ritrovato il suo posto nell’anima delle folle. Questa mattina di Giugno a Roma non erano certo le armi moderne lucide e anche impressionanti a preoccuparci. Sappiamo che quelle armi ad un certo momento potranno rovesciare il loro fuoco contro chi vorrebbe usarle per massacrarci o farci massacrare. Ma preoccupava davvero vedere una folla indifferenziata ed incitrullita che perdeva il lume dell’intelletto e smaniava lungo il percorso, correva e si rizzava in piedi per vedere i soldati della Repubblica. Molti forse hanno sognato l’impero nel sole di Roma, almeno fino a quando non è sopravvenuta la pioggia a rompere la fantasia.